Terzjus  incontra la Presidente del Senato, Sen. Maria Elisabetta Alberti Casellati

Comunicato stampa

In occasione della pubblicazione del primo Quaderno dedicato ai rapporti tra le Pubbliche Amministrazioni e gli Enti del Terzo Settore, Terzjus, l’Osservatorio di diritto del Terzo Settore, della filantropia e dell’impresa sociale, incontra la Sen. Maria Elisabetta Alberti Casellati, Presidente del Senato della Repubblica.

7 ottobre 2020

Il primo volume dei Quaderni dell’Osservatorio Terzjus, a cura di Antonio Fici, Luciano Gallo e Fabio Giglioni,  fa il punto sull’ equilibrio e sul dialogo tra gli enti pubblici e quelli del Terzo Settore, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 131 di luglio 2020,  valorizzando un nuovo rapporto collaborativo tra i soggetti pubblici e gli Enti del Terzo Settore e realizzando un modello di amministrazione condivisa, ispirata alla valenza sociale, alla sussidiarietà e alla solidarietà.

“A pochi mesi dalla nascita dell’Osservatorio – dichiara Luigi Bobba, Presidente di Terzjus – è per noi un privilegio poterci confrontare con la Presidente del Senato sul cammino fatto e su quanto questo percorso vada sostenuto e riconosciuto dalle istituzioni in primis, partendo proprio dal messaggio che la Presidente Casellati ci aveva fatto pervenire in occasione della nascita di Terzjus, in cui sottolineava “l’alleanza che abbiamo il dovere di salvaguardare anche con interventi normativi che diano finalmente piena attuazione alla riforma del Terzo Settore e, soprattutto, che ne riconoscano il ruolo fondamentale nella costruzione di una società sempre più equa, libera e solidale.””

Segnali in questo senso recepiti anche da recenti provvedimenti legislativi  e da alcuni esempi regionali che stanno andando nella medesima direzione, come in Toscana:  “Il Dl semplificazioni infatti  – prosegue Bobba – approvato l’11 settembre e pubblicato il 14 settembre 2020, grazie ad un emendamento  supportato da Anci e accolto dal Senato, chiarisce il rapporto tra il Codice dei Contratti pubblici e il Codice del Terzo Settore, stabilendo che si fa riferimento a quest’ultimo prioritariamente ogni qual volta  in cui per le amministrazioni pubbliche gli Enti di Terzo settore assumono il ruolo di “partner di progetto”. Un chiarimento normativo essenziale per concretizzare l’auspicio della Presidente Casellati. Sarà anche l’occasione – conclude Bobba – per condividere le prossime attività dell’Osservatorio che vanta soci fondatori con varie e differenti anime  e un autorevole comitato scientifico e che intende misurarsi con sfide importanti, come il supportare le amministrazioni regionali nell’avvio e nell’implementazione del Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS) e i municipi nella piena applicazione del Codice del Terzo settore.”

Dott.ssa Sara Vinciguerra

Responsabile comunicazione e stampa
Terzjus
Osservatorio di diritto del Terzo Settore, della filantropia e dell’impresa sociale
mob: 338.8580945
Luigi BobbaTerzjus  incontra la Presidente del Senato, Sen. Maria Elisabetta Alberti Casellati
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Elena Zanella, “Raccolta di fondi”. Prefazione di Luigi Bobba

Elena Zanella, “Raccolta di fondi. La buona causa non basta più. Bisogna essere bravi, tecnicamente bravi” (Elena Zanella Editore, 2020)

Prefazione di Luigi Bobba

Seneca diceva che “la nostra società è molto simile ad una volta di pietre: cadrebbe se esse non si sostenessero a vicenda”. Questa metafora ben si sposa con i valori che stanno alla base del Terzo Settore, un universo complesso ed eterogeneo che nel nostro Paese conta oltre 350 mila organizzazioni che operano grazie alla forza e all’impegno di più di 7 milioni di volontari e oltre 800 mila addetti, alla luce di quel principio di sussidiarietà inserito di recente nella nostra Costituzione, attraverso il quale viene favorita “l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, nello svolgimento di attività di interesse generale”. Questo ruolo del Terzo Settore come motore di sviluppo e produttore di coesione sociale lo si è sperimentato proprio nel corso degli ultimi mesi: mai come in questo periodo di profonda crisi, il non profit ha infatti fornito un supporto determinante nella gestione e nel contenimento degli effetti negativi che l’emergenza legata alla diffusione della pandemia ha provocato nel nostro Paese e in tutte le economie del globo. La rilevanza del non profit, quale antidoto contro la disgregazione del tessuto sociale, ha fatto emergere la consapevolezza che, a fronte di scenari futuri in parte ancora ignoti, le reti di solidarietà, assistenza e cura che questo universo è in grado di offrire, rappresentano un tassello fondamentale per la tenuta complessiva del Paese. Se dunque il Terzo Settore ha contribuito a mitigare gli effetti della crisi sui territori, è sicuramente vero che il peggioramento del quadro economico, accompagnato da una riduzione dei redditi e da un possibile aumento del rischio di esclusione sociale per molti, richiederà una presenza ancora più forte da parte delle organizzazioni della società civile per poter rispondere ai nuovi bisogni che emergeranno nel futuro prossimo. In questo senso, la capacità degli enti di attrarre risorse filantropiche in modo più strutturato (e innovativo) diventa elemento decisivo per garantire continuità all’azione di moltissime realtà sui territori.  Come ben evidenziato da Elena Zanella all’interno di questo utile “manuale d’istruzioni per il fundraising”, i cambiamenti generazionali che portano con sé un nuovo modo di intendere il dono e la filantropia (le nuove generazioni sono, ad esempio, più sensibili ai temi della sostenibilità e dell’impatto sociale) stanno avendo riflessi profondi sulle strategie delle organizzazioni nel ricercare le risorse utili a svolgere la propria attività. In sintesi, riprendendo una citazione contenuta nel libro, possiamo dire che “Essere buoni non basta più, occorre anche essere bravi”. In un contesto come quello odierno caratterizzato, da un lato, dal moltiplicarsi di nuovi bisogni e dall’altro dalla razionalizzazione dei capitali filantropici, bisogna essere in grado di comunicare chiaramente la propria visione, il “valore sociale aggiunto” che contraddistingue la singola organizzazione e i principi che quotidianamente ne muovono l’operato. Il ruolo del fundraiser, letteralmente colui che fa crescere i fondi, si sta ormai affermando quale figura imprescindibile all’interno delle realtà non profit che sempre più necessitano di competenze specifiche e di accompagnamento nell’identificazione e definizione di azioni chiare ed efficaci in grado sia di aumentare la propria base di donatori che di fidelizzare i propri sostenitori facendoli sentire parte integrante delle attività intraprese. 

Nel corso del mio mandato come Sottosegretario al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (2014-2018), mi sono occupato in prima persona della Riforma del Terzo settore, un esteso lavoro di razionalizzazione e revisione organica della disciplina degli enti non profit che ha incluso tra le altre cose, per la prima volta, un riconoscimento normativo dell’attività di fundraising svolta dagli enti del Terzo Settore. L’innovatività della previsione, raggiunta grazie alle sollecitazioni e ai costruttivi scambi avuti con una rappresentanza di fundraiser, sta proprio nel riconoscere come queste attività siano intenzionali e frutto di azioni e strategie precise e organizzate. Non a caso, per dare seguito operativo a tali disposizioni, la Direzione generale Terzo settore del MLPS sta completando le “linee guida” per la raccolta fondi in modo da poi sottoporle alla valutazione e approvazione del Consiglio Nazionale del Terzo settore e della Cabina di regia costituita presso la Presidenza del Consiglio. Se da una parte dunque l’attività di fundraising e le professioni ad essa connessa trovano spazio all’interno della norma e assumono rilevanza giuridica, un’altra importante innovazione introdotta con la Riforma è quella relativa ai vantaggi fiscali connessi alle erogazioni liberali. Nello specifico, al fine di stimolare i comportamenti donativi, sono state innalzate le soglie di detrazione e deduzione rendendo più vantaggioso sostenere una buona causa. Ancora, è utile ricordare la recente disposizione volta a favorire le donazioni, sia da parte delle imprese che dei privati, di beni in natura, rendendo alquanto più’ semplificata e vantaggiosa la precedente procedura. Attraverso poi l’introduzione del Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS) si è voluto assolvere alla crescente importanza data alla trasparenza e rendicontazione anche da parte dei donatori che ricercano, in un mondo sempre più digitale e interconnesso, informazioni puntuali e precise sulle attività, sull’impatto generato e sull’utilizzo dei fondi ricevuti. Il principio guida di queste norme si regge sulla convinzione che, poiché lo Stato non può  fare tutto da se’, ha però la possibilità di sostenere fiscalmente la “mano privata” che concorre alla realizzazione di attività di interesse generale.

Il Terzo settore si trova davanti a nuove sfide: la pandemia, purtroppo, tra i tanti effetti negativi ha avuto anche quello di mettere in crisi una buona parte del mondo del volontariato, che oggi soffre per le minori donazioni, ridottesi drasticamente, come evidenziato dalle molte ricerche effettuate in questi mesi. In questo contesto di forti cambiamenti, il fundraising assume ancora più importanza in quanto rappresenta un’occasione per le organizzazioni di riflettere sui modi in cui ci si relaziona verso l’esterno, si comunica e si rende conto del proprio operato nelle comunità di riferimento anche alla luce dei nuovi bisogni che si verranno a creare. L’agile volume di Elena Zanella, nel fornire una panoramica del tema anche alla luce delle evoluzioni della nostra società, aiuta a navigare e a mettere ordine ad una serie di questioni che, oggi più che mai, assumono rilevanza per la crescita del Terzo settore nel nostro Paese. Merita dunque di essere letto, per poter rispondere efficacemente alle sfide sociali che investiranno le nostre società negli anni a venire. 

Luigi BobbaElena Zanella, “Raccolta di fondi”. Prefazione di Luigi Bobba
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Alessandro Lombardi: “Registro unico nazionale del Terzo settore e riforma dell’istituto del cinque per mille”

Con il DPCM del 23/07/2020 è arrivata al traguardo la riforma dell’istituto del cinque per mille, inserita all’interno del più ampio processo di riforma del Terzo settore. La legge delega n.106/2016, nel ricomprendere il tema all’interno delle misure agevolative e di sostegno economico in favore degli ETS, prevedeva, tra i vari principi e criteri direttivi, la razionalizzazione e revisione dei criteri di accreditamento dei soggetti beneficiari e dei requisiti per l’accesso al beneficio nonché la semplificazione e accelerazione delle procedure per il calcolo e l’erogazione dei contributi spettanti agli enti; l’introduzione, per i soggetti beneficiari, di obblighi di pubblicità delle risorse ad essi destinate, in un sistema improntato alla massima trasparenza e rafforzato dalla previsione di sanzioni in caso di inadempimento a detti obblighi [art.9, comma 1, lettere c) e d)].

In sede di recepimento dei principi, il legislatore delegato ha operato una scelta attuativa bifasica, per effetto della quale nella fonte di rango primario (il d.lgs. n.111/2017) hanno trovato posto le regole di portata generale dell’istituto del cinque per mille, lasciando alla fonte di rango secondario l’individuazione della disciplina di dettaglio. Risulta evidente la ratio di tale scelta: in continuità con la pregressa disciplina, il ricorso ad uno strumento normativo più agile, rispetto alla legge, potrà consentire, anche in futuro, una maggiore elasticità della risposta ordinamentale ai mutamenti di contesto.

L’analisi del DPCM del 23/07/2020 può essere affrontata sia sotto il profilo procedimentale che sotto quello di merito. In ordine al primo aspetto, l’articolo 4 del d.lgs. n.111/2017 prevede un procedimento rafforzato per l’adozione del DPCM, il quale, oltre al concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, prevede l’acquisizione del parere delle commissioni parlamentari per materia e per i profili finanziari. 

In questa sede, i contenuti del DPCM vengono esaminati con specifico riguardo agli aspetti che riguardano gli ETS: in tale prospettiva, l’articolo 1 individua, tra le categorie dei beneficiari, gli ETS iscritti nel Registro unico nazionale del Terzo settore, comprese le cooperative sociali, con la sola esclusione delle imprese sociali costituite in forma societaria. L’individuazione della platea dei beneficiari ricalca esattamente quella dei beneficiari delle erogazioni liberali per le quali è prevista la detrazione o deduzione ai sensi dell’articolo 86 del codice del Terzo settore. L’esclusione delle imprese sociali costituite in forma societaria trova la sua giustificazione nella – sia pur limitata – possibilità per queste ultime di operare la distribuzione di utili fra i soci. L’inserimento tra i beneficiari delle cooperative sociali, imprese sociali di diritto, ai sensi dell’articolo 1, comma 4, del d.lgs. n.112/2017, è confermativo del precedente regime giuridico, poiché le cooperative sociali, in quanto ONLUS di diritto ex articolo 10, comma 8 del d.lgs. n. 460/1997, già beneficiano del contributo del cinque per mille.

Tale perimetrazione sarà applicata a partire dal primo anno successivo a quello di operatività del RUNTS, al fine di permettere l’ordinato allineamento della disciplina del cinque per mille con quella attuativa del RUNTS, per il quale l’art. 53 del CTS demanda ad un decreto ministeriale, attualmente n fase di finalizzazione, l’adozione della disciplina di dettaglio relativa al funzionamento del RUNTS, all’interno del quale dovrà ragionevolmente trovare spazio il tema dell’operatività del RUNTS. Nel periodo antecedente, la platea dei beneficiari, riconducibile alla categoria di enti del volontariato, continuerà ad essere individuata sulla base dell’articolo 2, comma 4 -novies, lettera a) del D.L. n. 40/2010: ONLUS, iscritte nella relativa anagrafe, ODV iscritte nei registri regionali del volontariato, ONG, APS iscritte nei registri nazionale e regionali, cooperative sociali, associazioni e fondazioni di diritto privato iscritte nel registro delle persone giuridiche, che operano nei settori delle attività delle ONLUS. 

L’operatività del RUNTS si riflette anche ai fini del radicamento della competenza in ordine alla ricezione delle istanze di accreditamento per beneficiare del contributo del cinque per mille. A regime, gli ETS che intendono beneficiare del cinque per mille esprimeranno tale volontà all’atto della presentazione della domanda di iscrizione al RUNTS, ovvero anche in un momento successivo alla stessa, in fase di aggiornamento delle informazioni depositate presso il RUNTS. Giova al riguardo ricordare che il RUNTS è operativamente gestito su base territoriale dagli uffici incardinati presso le Regioni e le Province autonome, salvo che per quanto riguarda le reti associative, per le quali il legislatore ha individuato una competenza dell’ufficio statale, incardinato presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Sulla base delle istanze di accreditamento, il Ministero del lavoro delle politiche sociali trarrà dalla base informativa del RUNTS l’elenco degli ETS che hanno espresso la volontà di partecipare al riparto del cinque per mille. Fino all’operatività del RUNTS, resta ferma la competenza dell’Agenzia delle entrate per gli enti del volontariato. 

In ordine agli effetti dell’inserimento dell’ente all’interno di detto elenco, trova conferma la previsione già contenuta nell’articolo 6-bis del DPCM 23 aprile 2010, in forza della quale l’accreditamento al riparto del cinque per mille esplica effetti, permanendo i requisiti prescritti, anche per gli anni successivi. Ciascuna Amministrazione competente pubblica l’elenco permanente degli enti che risultano regolarmente accreditati negli esercizi precedenti, aggiornato annualmente con le variazioni intervenute L’iscrizione nell’elenco permanente consente di non dover reiterare annualmente la procedura di iscrizione, ferma restando, beninteso, l’attività di controllo di competenza delle singole amministrazioni coinvolte, in ordine al possesso dei requisiti per l’ammissione al riparto del cinque per mille. Sulla base delle istanze di accreditamento e delle risultanze dell’attività di controllo, ciascuna Amministrazione competente forma gli elenchi annuali degli enti ammessi al beneficio e di quelli esclusi, che sono trasmessi all’Agenzia delle entrate, che provvederà alle operazioni di riparto, quantificando le scelte attribuite e gli importi spettanti ad ogni ente. Anche tali elenchi sono soggetti a pubblicazione. 

La scelta della destinazione del cinque per mille da parte del contribuente può essere generica, attraverso l’apposizione della firma nel riquadro relativo ad una delle categorie di beneficiari, ovvero specifica, se accompagnata dall’indicazione del codice fiscale di un singolo ente. Nel caso di disallineamento tra la categoria indicata dal beneficiario e codice fiscale di un soggetto appartenente ad altra categoria, prevale, in ragione della sua specificità, l’indicazione del codice fiscale.

Di particolare interesse sono le novità introdotte in tema di riparto ed erogazione del contributo. Sotto il primo aspetto, l’articolo 11 del nuovo DPCM innalza dai precedenti 12 euro agli attuali 100 euro la soglia dell’importo minimo erogabile a ciascun beneficiario. Si tratta di una scelta dettata da ragioni di economicità dell’azione amministrativa, finalizzate ad evitare un’insostenibile parcellizzazione della spesa. Il medesimo articolo 11 tratta anche del cd. inoptato, vale a dire della ripartizione delle scelte espresse dal contribuente in forma generica (senza cioè l’indicazione del codice fiscale dell’ente beneficiario) ovvero con l’indicazione di un codice fiscale errato. In tali casi, è stata confermata la soluzione già prevista dalla precedente disciplina, incentrata sulla ripartizione delle somme corrispondenti in misura proporzionale alle scelte espresse nella medesima categoria. Si tratta di una soluzione che affonda le sue radici nelle conclusioni alle quali è pervenuta la giurisprudenza costituzionale, secondo la quale, per effetto della dichiarazione del contribuente, l’importo corrispondente alla quota del cinque per mille viene trattenuto dallo Stato non più a titolo di tributo erariale, ma come somma che lo Stato medesimo è obbligato, come mandatario necessario ex lege, a corrispondere ai soggetti indicati dal contribuente stesso, svolgenti attività ritenute meritevoli dall’ordinamento ed inclusi in appositi elenchi. La riconduzione del rapporto intercorrente tra lo Stato ed il contribuente allo schema civilistico del mandato, fa sì che il primo debba attenersi, nel compimento dell’atto giuridico in nome e per conto del contribuente (id est nel trasferimento delle risorse all’ente avente diritto) ai limiti fissati dal mandante con la sua dichiarazione di volontà. In tale prospettiva, pertanto, nell’attività delle P.A. coinvolte nell’attuazione dell’istituto del cinque per mille (Agenzia delle entrate nella formazione degli elenchi e nella quantificazione delle relative risorse spettanti; amministrazioni erogatrici nel trasferimento delle somme) è assente qualsiasi profilo di discrezionalità. La soluzione recepita nel DPCM appare pertanto la più rispettosa della volontà del contribuente, escludendo qualsiasi margine di discrezionalità in capo alla P.A. Una diversa soluzione, viceversa, proprio in quanto implicante l’esercizio di una discrezionalità amministrativa,  avrebbe determinato una sovrapposizione della volontà della P.A. rispetto a quella del contribuente, in evidente  contrasto la stessa ratio dell’istituto del cinque per mille, che si poggia, in una prospettiva di sussidiarietà orizzontale, sulla libera iniziativa del contribuente di sostenere con un proprio apporto finanziario attività considerate meritevoli di particolare tutela da parte dell’ordinamento giuridico, che vengono in tal modo sussidiate finanziariamente attraverso l’intermediazione necessaria dello Stato, in ossequio alla volontà del contribuente.  

Sempre in tema di riparto, un’importante novità è contenuta nell’articolo 12 del DPCM, il quale, riprendendo l’articolo 6 del d.lgs. n.111/2017, prevede che, al fine di accelerare le procedure di erogazione delle somme spettanti, non si tenga conto delle dichiarazioni integrative, ai fini della ripartizione del contributo: in termini pratici, ciò si traduce nel dimezzamento della forchetta temporale intercorrente tra l’anno in cui è stata resa la dichiarazione dei redditi e l’anno di erogazione del cinque per mille. Tale soluzione, prevista a regime con l’entrata in vigore del DPCM, è stata anticipata dall’articolo 156 del D.L. n. 34/2020, convertito dalla legge n.77/2020 (c.d. “decreto Rilancio”), che ne prevede l’applicazione al contributo del cinque per mille relativo all’anno 2019, da erogarsi da parte delle Amministrazioni competenti entro il 31 ottobre 2020 (Agenzia delle entrate, dal canto suo, ha provveduto alla pubblicazione degli elenchi degli enti ammessi e di quelli esclusi nel rispetto del termine del 31 luglio 2020, posto dall’articolo in esame). Tale previsione rientra nel complesso delle disposizioni previste dalla legislazione emergenziale in tema di Terzo settore ed è mossa dall’esigenza di assicurare, anche attraverso l’istituto del cinque per mille, agli enti beneficiari l’iniezione di liquidità necessaria a permettere loro la continuità operativa, fortemente compromessa dall’emergenza epidemiologica. 

Per quanto concerne la fase erogativa del contributo, il DPCM fissa una cadenza temporale molto precisa, sia dal lato delle comunicazioni obbligatorie da parte degli enti ammessi al beneficio che da quello del  trasferimento delle somme da parte delle amministrazioni competenti. Difatti, gli enti beneficiari sono tenuti a comunicare entro il 30 settembre del secondo esercizio finanziario successivo a quello di impegno contabile delle relative somme i dati necessari per l’emissione del titolo di spesa entro il termine di conservazione dei residui in bilancio (2 anni a decorrere dall’anno di assunzione dell’impegno di spesa). L’omessa o ritardata comunicazione da parte dei beneficiari dei dati occorrenti al pagamento comporto la decadenza dal beneficio finanziario, che pertanto non sarà più esigibile dall’ente. Dette disposizioni in materia di decadenza non si applicano in caso di contenzioso pendente con l’amministrazione erogatrice. Gli importi per i quali è maturata la decadenza andranno a rialimentare, previo  versamento all’entrata del bilancio dello Stato, la provvista finanziaria disponibile per il cinque per mille per le annualità successive.  

Particolarmente significative sono le disposizioni recate dal DPCM in tema di obblighi di pubblicità in capo agli ETS beneficiari del riparto del cinque per mille: esse contribuiscono all’attuazione di uno dei principi basilari della riforma, quello della trasparenza, finalizzato a rendere conoscibili in modo chiaro alla generalità dei consociati (che saranno in tal modo posti in condizione di operare una scelta maggiormente consapevole di sostenere o di non sostenere gli enti del Terzo settore) le informazioni più importanti attinenti alla struttura organizzativa dell’ente, alla titolarità delle cariche sociali, all’impiego delle risorse finanziarie disponibili, al perseguimento dei relativi fini statutari. Per cogliere appieno l’ottica con la quale sono state scritte le nuove disposizioni, pare utile effettuare un raffronto con la disciplina previgente. Orbene, in forza degli artt.11-bis, 12 e 12 -bis del D.P.C.M. 23.4.2010, come modificato ed integrato dal D.P.C.M. 7.7.2016, su tutti gli enti percettori del contributo grava l’obbligo di redigere il rendiconto del cinque per mille, nonché della relativa relazione illustrativa; solo gli enti che hanno percepito un contributo non inferiore ad € 20.000,00 hanno l’ulteriore obbligo di trasmettere detti documenti all’Amministrazione finanziatrice. Quest’ultima, dal canto suo, è tenuta ad un duplice obbligo di pubblicazione, riguardante, rispettivamente, l’elenco dei beneficiari e degli importi agli stessi erogati e i rendiconti e le relazioni illustrative trasmesse dai soggetti ai quali è stato erogato il contributo. Viceversa, sulla base dell’articolo 8 del d.lgs. n.111/2017 e degli artt. 15 e 16 del DPCM del 23/07/2020, nel confermare a carico degli enti percettori del contributo gli obblighi di redazione del rendiconto e della relazione illustrativa, entro un anno dalla data di ricezione delle somme, e di trasmissione degli stessi entro 13 mesi dalla ricezione delle somme, all’Amministrazione erogatrice (quest’ultimo obbligo di trasmissione scatta solo quando l’ente beneficiario ha ricevuto a titolo di cinque per mille un importo di ammontare pari o superiore a d euro 20.000,00) la nuova normativa ha introdotto l’ulteriore obbligo per i beneficiari del contributo di pubblicare sul proprio sito web, entro 14 mesi dalla ricezione delle somme, gli importi percepiti e il rendiconto con la relazione illustrativa dandone comunicazione entro i successivi sette giorni all’Amministrazione erogatrice. Il richiamo che il comma 5 dell’articolo 16 del DPCM fa al termine previsto al comma 2 sembra delimitare l’obbligo di pubblicazione ai soli enti tenuti alla trasmissione del rendiconto all’Amministrazione erogatrice (vale a dire sugli enti che hanno percepito un contributo di importo pari o superiore ad euro 20.000,00) Sulla P.A. erogatrice continua a sussistere l’obbligo di pubblicazione dell’elenco dei soggetti ai quali è stato erogato il contributo ed il relativo importo, laddove l’obbligo di pubblicazione del rendiconto e della relazione illustrativa da parte della P.A. viene sostituito dall’obbligo di pubblicazione del link al rendiconto pubblicato sul sito web del beneficiario. In caso di inadempimento degli obblighi di pubblicazione da parte degli enti percettori, nonostante la preventiva diffida, è prevista l’applicazione di una sanzione pecuniaria pari al 25% del contributo percepito. 

Il citato articolo 16 individua il contenuto minimo del rendiconto, che dovrà riportare, oltre ai dati identificativi del beneficiario e l’ammontare del contributo, l’utilizzo dello stesso a copertura delle spese di funzionamento dell’ente (incluse le spese per risorse umane e per acquisto di beni e servizi), riconducibili agli scopi statutari dell’ente, nonché delle altre voci di spesa comunque destinate ad attività riconducibili agli scopi medesimi. Il rendiconto deve essere redatto secondo il criterio di cassa e pertanto dovrà riportare le spese effettivamente sostenute, in termini di uscite. Unica eccezione riguarda la possibilità di operare degli accantonamenti delle somme percepite, che vengono destinate a sostenere progetti pluriennali: in tale caso, pertanto, il rendiconto evidenzierà tali importi in termini di competenza, in quanto su di essi è stato apposto da parte dell’ente beneficiario un vincolo di destinazione, che ne consente la spendibilità oltre il termine annuale. Naturalmente, l’ente sarà comunque tenuto a fornire successivamente il rendiconto attestante l’utilizzo delle somme accantonate. L’articolo in esame, al comma 4, contiene inoltre il divieto di utilizzare le somme introitate a titolo di cinque per mille per la copertura di spese di pubblicità sostenute dall’ente in relazione a campagne di sensibilizzazione sulla destinazione del cinque per mille: ciò in quanto tale attività è qualificabile di interesse generale e, come tale, meritevole del sostegno finanziario del cinque per mille.

 Sarà molto importante che gli ETS beneficiari interiorizzino la descritta logica di accountability, in quanto strettamente funzionale al consolidamento della relazione fiduciaria tra gli ETS e i cittadini che decidono di sostenerli anche attraverso il cinque per mille: ancora oggi, in media il 16,5% degli enti di volontariato tenuti a trasmettere il rendiconto al Ministero del lavoro e delle politiche sociali adempie a tale obbligo oltre il termine fissato, solo dopo formale sollecito dell’amministrazione erogatrice. 

Proprio una solida e puntuale accountability potrà ulteriormente giovare al peculiare sistema di finanziamento del Terzo settore attraverso l’istituto del cinque per mille, la cui centralità nell’ordinamento giuridico, ha trovato un’ulteriore significativa conferma nei diversi interventi fatti dal legislatore a partire da dicembre 2019  

                                                              Alessandro Lombardi

Direttore generale del Terzo settore e della responsabilità sociale delle imprese del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 

Le considerazioni contenute nel presente testo sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.

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Registro unico al via: ecco che cosa succede alle organizzazioni del Terzo settore

Dopo la firma del decreto attuativo da parte del ministro Catalfo, ci vorranno sei mesi prima che diventi operativo. Ecco che cosa devono fare in questo periodo associazioni, onlus ed enti

leggi l’articolo di Fabio Chiesa su Corriere Buone Notizie del 17 settembre 2020

Che cosa serve

Innanzitutto uno statuto scritto sulla base delle indicazioni previste dal Codice del Terzo settore. «Il più volte citato termine del 31 di ottobre – precisa Degani – non costituisce termine decadenziale per gli adeguamenti statutari, ma riguarda l’adozione delle modifiche di mero adeguamento con le maggioranze semplificate per gli enti aventi qualifica di Odv e Aps e per gli enti aventi qualifica di onlus.

Poi un indirizzo di posta elettronica certificata (Pec), perché le comunicazioni con il Registro unico avverranno tutte in via telematica. L’accesso al Registro unico impone anche obblighi di trasparenza: per iscriversi, gli enti dovranno presentare il bilancio dell’anno precedente (o dei due anni prima, se nati da più tempo).

 

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Chi prende in giro il Terzo settore? Le ipocrisie e i falsi alleati

Il capitale sociale del Paese durante la crisi ha fatto la differenza, ma ha falsi alleati e molte criticità sono irrisolte. La Riforma non è del tutto attuata e manca una politica specifica sulla «social economy» su cui l’Europa ha messo attenzione

A parole sono tutti d’accordo. Il capitale sociale italiano è la polizza assicurativa del Paese e il volontariato la spina dorsale della cittadinanza. Il Bene però ha due nemici: il conformismo e l’ipocrisia. E, dunque, troppi falsi alleati. Nel momento in cui Buone Notizie, dopo la pausa estiva, riprende il suo percorso, vorremmo rivolgere al governo e alla maggioranza che lo sostiene una semplice domanda. «Il futuro del Terzo Settore è tra le vostre priorità o lo state soltanto prendendo in giro con false promesse e pacche sulle spalle?». Chiediamo scusa per la brutalità del quesito ma spesso la sintesi estrema è indispensabile alla chiarezza.

leggi l’articolo di Ferruccio De Bortoli su Corriere Buone Notizie del 31 agosto 2020

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Fino al 31 ottobre iter semplificato per gli adeguamenti statutari

Doppio binario per il termine di adeguamento degli enti non profit alle disposizioni del Codice del Terzo settore (Cts, Dlgs 117/2017). Varie scadenze sono da tenere sotto controllo, per chi si appresta ad entrare a pieno regime nella riforma.

In vista del termine del 31 ottobre 2020 per gli adeguamenti degli statuti con le maggioranze semplificate e in attesa dell’emanazione del decreto attuativo del nuovo Registro unico nazionale (Runts, prevista per settembre), le Onlus, le organizzazioni di volontariato…

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Terzo settore, Bolzano si mette di traverso: ancora un rinvio per il registro unico

Rinvio a settembre: è questo l’esito dell’opposizione espressa dalla Provincia Autonoma nella seduta del 6 agosto della Conferenza Stato-Regioni, presieduta dal ministro Francesco Boccia. L’intervento del presidente di Terzjus (Osservatorio di diritto del Terzo settore, della filantropia e dell’impresa sociale): “Altri ritardi sarebbero non solo intollerabili ma rischierebbero di compromettere il cammino stesso della riforma, generando la sensazione che chi ha responsabilità politiche di governo non abbia la forza e la determinazione necessarie per dare completa ed efficace attuazione alla riforma del Terzo settore”

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Luigi Bobba: “Il contribuente diventa un motore di coesione sociale”

Ci sono quasi 16,5 milioni di persone che scelgono di avvalersi del 5 per mille, ovvero più della metà dei contribuenti italiani che presentano una dichiarazione dei redditi con una tassazione positiva. È da loro che bisogna ripartire se non vogliamo – come ha scritto su Vita Giuseppe De Rita – arrenderci allo statalismo dell’emergenza.

La coincidenza tra la campagna fiscale in corso e la Fase 2 della crisi epidemica, ci offre l’occasione per ripensare e rafforzare questo originale strumento di sussidiarietà fiscale – nato nel 2006 –, che viene utilizzato da un numero di contribuenti quasi pari a quelli che optano per l’8 per mille per le diverse confessioni religiose e cinque volte superiore a coloro che si avvalgono del 2 per mille destinato ai partiti politici. Il successo di questa misura evidenzia quanto gli italiani apprezzino il lavoro di tante associazioni, fondazioni e organizzazioni di volontariato che promuovono la ricerca scientifica per combattere malattie mortali, che operano in luoghi di conflitto e di miseria, che si impegnano per la cura e l’educazione dei bambini e dei ragazzi specialmente nei Paesi del Sud del Mondo, che sono vicine agli anziani e alle persone disabili e che proteggono e curano il nostro ambiente e i nostri beni culturali. Tra il 2013 e il 2014, il numero dei contribuenti che utilizzavano il 5 per mille conobbe un’impennata che portò il totale intorno ai 16 milioni per poi conoscere, negli anni successivi, una sostanziale stabilizzazione. Domanda: come raggiungere quell’altro quasi 50% di contribuenti che non si servono della facoltà di indirizzare per una buona causa una parte della tassazione dovuta, diventando così protagonisti della tenuta e della coesione sociale del Paese in un momento così difficile? Ci sono tre strade che si possono percorrere. 

La prima appartiene alla responsabilità del Governo: dimezzare i tempi per l’erogazione del 5 per mille ai beneficiari. Fino ad oggi la prassi era che trascorressero ben due anni da quando il cittadino indicava sul 730 il codice scale dell’ente a cui voleva destinare il suo 5 per mille, al momento in cui il beneficiario riceveva la somma spettante. La riduzione ad un anno darà al contribuente una maggior fiducia che le proprie risorse arrivino velocemente al destinatario e non si perdano nei meandri della burocrazia. 

Secondo: comunicare a un pubblico largo il volto positivo di questa misura di sussidiarietà fiscale, in modo da provare a persuadere anche quei 14 milioni di contribuenti che non hanno mai scelto di utilizzare il 5 per mille. La Rai, servizio pubblico, gioca un ruolo decisivo su questo versante, ma i media e le piattaforme interessate devono essere molteplici. E se questo porterà a rendere insufficienti le risorse del fondo dedicato – 500 milioni –, il Governo provveda a incrementarlo adeguatamente. 

Infine, ci si affretti a rendere operativo il Registro Unico degli Enti di Terzo settore, in modo che tutti coloro che saranno iscritti potranno accedere al 5 per mille, ampliando così la platea dei beneficiari. Platea che, tra l’altro, andrebbe riordinata in quanto vi sono squilibri evidenti tra gli enti di volontariato che ricevono mediamente un importo pari a 7.200 euro e gli enti della ricerca scientifica e della sanità a cui arriva invece una somma pari a circa 225mila euro. 

Parafrasando Giorgio Gaber, la sussidiarietà fiscale non è una bella affermazione da esibire in qualche convegno, ma una strada che può contribuire a rafforzare le reti della solidarietà e favorire la rinascita inclusiva delle nostre comunità. 

scarica la pagina con il mio editoriale nell’allegato alla rivista Vita.it di Giugno 2020

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