PD: al via la campagna “Insieme per il popolo afgano”

Al via la campagna “Insieme per il popolo afgano”. Dona per sostenere chi rimane. Per accogliere chi fugge. Per le #ONG in prima linea nel Paese e per i Comuni che gestiranno qui da noi l’accoglienza. Gli esponenti PD lo faranno per primi bit.ly/3D07WsI #Afghanistan

Il Partito Democratico mette a disposizione la propria organizzazione per una sottoscrizione straordinaria finalizzata a:

1. Sostenere chi lavora in Afghanistan da anni. Oltre ad EMERGENCY e CROCE ROSSA ITALIANA, PANGEA ONLUS, WOMEN FOR WOMEN INTERNATIONAL, NOVE ONLUS. Queste Associazioni saranno destinatarie delle donazioni raccolte.

2. Sostenere l’accoglienza dei profughi che arriveranno in Italia e che, attraverso i Comuni e il volontariato, saranno accompagnati in un percorso di inserimento. Anche l’ANCI – l’Associazione nazionale dei Comuni italiani – sarà destinataria delle risorse raccolte, che verranno poi distribuite alle singole amministrazioni coinvolte.

Attraverso la nostra comunità vogliamo, infine, fornire un supporto concreto alle donne e alle loro famiglie che arriveranno dall’Afghanistan.

A tal fine, chiunque ne abbia la volontà, può comunicarci la propria disponibilità per:

* l’accoglienza di donne o famiglie, offrendo sin d’ora un sostegno economico e morale per un periodo determinato;

* l’accompagnamento per il disbrigo di pratiche varie (anagrafe, scuola, università);

* l’insegnamento della lingua italiana;

* l’assistenza medica;

* la formazione e l’inserimento anche in piccoli contesti lavorativi.

Per farlo è sufficiente scrivere a info@ledonnexledonne.org indicando, oltre al nome e al cognome, comune di residenza, indirizzo email, numero di telefono e tipo di disponibilità da offrire.

 

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Ong straniere e fiducia nel non profit. Bobba: “Non confondersi con la politica”

L’ex sottosegretario al Welfare commenta le dichiarazioni del presidente di Ai.Bi. in merito ai dati Ipsos, al ruolo delle organizzazioni non italiane e alla necessità di maggiore trasparenza. “Con la riforma le regole già ci sono, devono diventare prassi”. Ma il non profit ora deve “investire in buona comunicazione”
Luigi BobbaOng straniere e fiducia nel non profit. Bobba: “Non confondersi con la politica”
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Migranti, la lezione all’Europa del Capitano della Sea Watch 3

(Editoriale del quotidiano Le Monde del 27/06/2019)

Ci sono volute due settimane perché i naufraghi soccorsi il 12 giugno dalla Sea Watch 3 nelle acque internazionali potessero alla fine arrivare, mercoledì 26 giugno, al largo dell’isola di Lampedusa. Due settimane e la volontà di una donna, la tedesca Carola Rackete, capitano della nave, che ha deciso di forzare il destino e i divieti del governo italiano per mettere al sicuro le 42 persone che aveva sul suo battello.

Facendo questa scelta, dopo aver fatto richiesta alla Corte europea dei diritti dell’uomo, il capitano della Sea Watch 3 mette l’Europa intera di fronte ai suoi anni di tergiversazioni. Rifiutandosi di conformarsi ad un ordine con le apparenze della legalità – ovvero riportare i naufraghi sulle coste libiche – Rackete ha ricordato a tutti l’esistenza delle convenzioni internazionali e di un certo numero di verità.

Sì, il salvataggio in mare è un imperativo che deve essere imposto a tutti, e non un’attività sospetta, che trasforma dei volontari delle ONG in complici – consapevoli o meno – dei trafficanti di esseri umani. Nessuna nelle ONG attaccata dal 2017 è stata oggetto della minima condanna giudiziaria. Non solo, la giustizia italiana non ha imbastito neanche un processo. Tuttavia, la calunnia si è fatta spazio in larghe frange dell’opinione pubblica in tutta Europa.

Calcoli politici
No, la Libia non è un “porto sicuro”, nel senso in cui lo intendono i testi del diritto internazionale del mare. E i migranti che cercano di fuggire da questo inferno non possono esservi portati contro la loro volontà per ragioni di convenienza politica. Tuttavia, questa evidenza riconosciuta dalla comunità internazionale non ha impedito all’Unione europea di stringere con Tripoli, a partire dal 2017, degli accordi di rimpatrio che contravvengono ai valori che l’Europa pretende di difendere ovunque nel mondo.

Rivendicando i risultati di una politica messa in opera dai suoi predecessori [il riferimento è all’ex Ministro dell’Interno Marco Minniti, ndr], Matteo Salvini è diventato l’uomo politico più popolare in Italia e il vero capo del governo Conte. Salvini continua ad accusare l’Europa di inerzia, e il silenzio delle autorità europee e dei partner dell’Italia, da mesi, lo aiuta a consolidare questa idea. Questo discorso è tanto più efficace in quanto nessuno in Europa ha il coraggio di cogliere il tema dell’immigrazione per formulare un’alternativa credibile e per mettere il ministro degli Interni italiano di fronte all’incoerenza delle sue posizioni.

L’Italia, secondo Salvini, auspica un meccanismo di rilocalizzazione automatica dei richiedenti asilo. Ma allora perché si allea coi Paesi del gruppo di Visegrad, visceralmente ostili a questa soluzione, Paesi che denunciano le potenze dell’Europa occidentale favorevoli a queste misure? Nello stesso tempo, secondo lui, la voce dell’Italia non è mai ascoltata. Allora perché il Signor Salvini non ha ritenuto utile essere presente a sei delle sette riunioni dei ministri dell’Interno [dell’Unione Europea, ndr] che si sono tenute dalla sua nomina nel giugno 2018?

Di fronte a questi calcoli politici, il gesto di Rackete mette in luce un’altra evidenza, la cui portata va molto al di là dell’Italia: un insieme di più di 500 milioni di cittadini, che vivono in una zona di prosperità senza equivalenti nel mondo, non può sentirsi minacciata dall’arrivo di una quarantina di rifugiati a bordo di un gommone fuggiti da un Paese in guerra

Luigi BobbaMigranti, la lezione all’Europa del Capitano della Sea Watch 3
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