I fondi ci sono. Tre nuovi passi con il Pnrr per un efficace apprendistato

I fondi ci sono, ora si perfezioni lo strumento di lavoro e formazione.

Caro direttore, si chiama apprendistato. È un contratto di lavoro di natura mista – lavoro e formazione – che dà luogo ordinariamente al conseguimento di un titolo di studio, dalla qualifica professionale alla laurea. È adottato in tutta Europa e rappresenta una strada rilevante sia per offrire un percorso di studio in forma duale, sia per facilitare l’inserimento lavorativo dei giovani. Fa eccezione l’Italia, dove con la parola ‘apprendistato’ si fa riferimento a istituti con una significativa differenza. Ci sono, in primis, gli apprendistati di primo e terzo livello. (segue)

leggi la mia lettera al Direttore di Avvenire di martedì 27 luglio 2021

Luigi BobbaI fondi ci sono. Tre nuovi passi con il Pnrr per un efficace apprendistato
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Caro ministro Orlando, ecco i 10 passi per compiere (finalmente) la Riforma del Terzo settore

Più dell’80% dei 1171 rispondenti, ha un giudizio positivo della riforma, in quanto ha introdotto una normativa unitaria per tutti gli enti del terzo settore (ETS); ma,altrettanti lamentano un iter troppo lungo e tempi di attuazione eccessivamente dilatati. La coincidenza della fase attuativa della Riforma con l’avvio delle misure del PNRR è un’occasione imperdibile per fare del Terzo settore – come ha detto il Presidente Mattarella “una struttura portante, non di supplenza ma di autonoma e specifica responsabilità per l’intero Paese.

di Luigi Bobba, 20 luglio 202, Vita.it

Luigi BobbaCaro ministro Orlando, ecco i 10 passi per compiere (finalmente) la Riforma del Terzo settore
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Luigi Bobba: “Dieci azioni per non sprecare una buona riforma” su Corriere Buone Notizie

Dieci azioni per non sprecare una buona riforma

Questo il titolo del decalogo che Terzjus ha consegnato al Ministro del Lavoro Orlando in occasione della presentazione del Terzjus Report 2021, il primo rapporto di monitoraggio della riforma del Terzo settore. Infatti, dalla survey digitale, “Riforma in Movimento”- i cui risultati sono pubblicati nella seconda parte del Rapporto (liberamente scaricabile dal sito www.terzjus.it), – si evincono tre dati essenziali. Più dell’80% dei 1171 rispondenti, ha un giudizio positivo della riforma, in quanto ha introdotto una normativa unitaria per tutti gli enti del terzo settore (ETS); ma, altrettanti lamentano un iter troppo lungo e tempi di attuazione eccessivamente dilatati. E, dato ancora più importante, la riforma è conosciuta più per gli aspetti regolamentari, che per le norme promozionali. Proprio a partire da queste macro tendenze, Terzjus ha formulato un decalogo di azioni volte ad accelerare il passo nell’attuazione onde evitare di rimanere in mezzo al guado.

Cinque azioni si presentano come particolarmente urgenti. Innanzitutto il RUNTS, il Registro unico nazionale non può più attendere. I sei mesi dall’emanazione del decreto che lo istituiva sono trascorsi. Con settembre, deve essere pienamente operativo in tutte le Regioni. In secondo luogo, dando credito alle prime dichiarazioni del Ministro Orlando, ci attendiamo entro l’anno l’emanazione dei decreti attuativi ancora mancanti, in particolar modo quello del Social bonus. Non vi è poi più alcuna ragione, per cui il Governo non invii alla Commissione Europea le norme fiscali soggette ad autorizzazione comunitaria. Ulteriori ritardi sono del tutto intollerabili, oltreché dannosi. Cosi come bisogna individuare al più presto un provvedimento  legislativo utile per introdurre alcune correzioni importanti – segnalate sia dall’Ordine dei commercialisti che dal Forum del Terzo settore, in particolar modo quelle relative agli art.79 e 85 del Codice del Terzo Settore (CTS). Infine, appare del tutto inspiegabile che risorse importanti , disposte nell’aprile scorso dal Governo nel primo dei provvedimenti di emergenza, – 100 milioni destinati agli ETS del Mezzogiorno – non siano ancora state messe a bando. È altresì evidente, che per far fronte alle numerose e gravose funzioni che la Riforma ha attribuito al Ministero del Lavoro, serva un robusto rafforzamento della Direzione generale Terzo settore.

Ma occorre alzare lo sguardo e indicare anche altrettante azioni che hanno invece come orizzonte il 2022. Mi riferisco alla necessità di una campagna promozionale del 5 per 1000 da parte della RAI. A 15 anni dalla sua istituzione, questa misura, che genera un importante apporto di risorse  per gli ETS, non viene utilizzata da quasi la metà dei contribuenti. Stesso musica si può suonare per le norme che favoriscono le donazioni in denaro e in beni , significativamente migliorate sia per le persone che per le imprese: anche su queste permane una spessa coltre di silenzio. Cosi come, gli effetti della importante sentenza (131/2020) della Corte Costituzionale relativa all’amministrazione condivisa (art.55 e 56 del CTS), potrebbero restare lettera morta se Ministero del Lavoro, Anci e Conferenza delle Regioni non decideranno rapidamente un significativo investimento formativo per i quadri e i dirigenti delle amministrazioni locali. Vi sono poi due organismi – la Cabina di regia, presieduta dal capo del Governo, e il Consiglio nazionale del Terzo settore – largamente sottoutilizzati, quando invece potrebbero essere un volano  sia nell’attuazione, sia per evitare l’introduzione di norme disarticolate dal CTS, come e’ accaduto con la recente riforma dello sport. Infine, il Governo contribuisca in nodo attivo  alla preparazione e al varo del “Piano di azione europeo per l’economia sociale” in modo da dare impulso a tutto il Terzo settore italiano e in particolar modo alle nuove imprese sociali. La coincidenza della fase attuativa della Riforma con  l’avvio delle misure del PNRR è un’occasione imperdibile per fare del Terzo settore – come ha detto il Presidente Mattarella “una struttura portante, non di supplenza ma di autonoma e specifica responsabilità per l’intero Paese.

Questo il titolo del decalogo che Terzjus ha consegnato al Ministro del Lavoro Orlando in occasione della presentazione del Terzjus Report 2021, il primo rapporto di monitoraggio della riforma del Terzo settore. Infatti, dalla survey digitale, “Riforma in Movimento”- i cui risultati sono pubblicati nella seconda parte del Rapporto (liberamente scaricabile dal sito www.terzjus.it), – si evincono tre dati essenziali. Più dell’80% dei 1171 rispondenti, ha un giudizio positivo della riforma, in quanto ha introdotto una normativa unitaria per tutti gli enti del terzo settore (ETS); ma, altrettanti lamentano un iter troppo lungo e tempi di attuazione eccessivamente dilatati. E, dato ancora più importante, la riforma è conosciuta più per gli aspetti regolamentari, che per le norme promozionali. Proprio a partire da queste macro tendenze, Terzjus ha formulato un decalogo di azioni volte ad accelerare il passo nell’attuazione onde evitare di rimanere in mezzo al guado.

Cinque azioni si presentano come particolarmente urgenti. Innanzitutto il RUNTS, il Registro unico nazionale non può più attendere. I sei mesi dall’emanazione del decreto che lo istituiva sono trascorsi. Con settembre, deve essere pienamente operativo in tutte le Regioni. In secondo luogo, dando credito alle prime dichiarazioni del Ministro Orlando, ci attendiamo entro l’anno l’emanazione dei decreti attuativi ancora mancanti, in particolar modo quello del Social bonus. Non vi è poi più alcuna ragione, per cui il Governo non invii alla Commissione Europea le norme fiscali soggette ad autorizzazione comunitaria. Ulteriori ritardi sono del tutto intollerabili, oltreché dannosi. Cosi come bisogna individuare al più presto un provvedimento  legislativo utile per introdurre alcune correzioni importanti – segnalate sia dall’Ordine dei commercialisti che dal Forum del Terzo settore, in particolar modo quelle relative agli art.79 e 85 del Codice del Terzo Settore (CTS). Infine, appare del tutto inspiegabile che risorse importanti , disposte nell’aprile scorso dal Governo nel primo dei provvedimenti di emergenza, – 100 milioni destinati agli ETS del Mezzogiorno – non siano ancora state messe a bando. È altresì evidente, che per far fronte alle numerose e gravose funzioni che la Riforma ha attribuito al Ministero del Lavoro, serva un robusto rafforzamento della Direzione generale Terzo settore.

Ma occorre alzare lo sguardo e indicare anche altrettante azioni che hanno invece come orizzonte il 2022. Mi riferisco alla necessità di una campagna promozionale del 5 per 1000 da parte della RAI. A 15 anni dalla sua istituzione, questa misura, che genera un importante apporto di risorse  per gli ETS, non viene utilizzata da quasi la metà dei contribuenti. Stesso musica si può suonare per le norme che favoriscono le donazioni in denaro e in beni , significativamente migliorate sia per le persone che per le imprese: anche su queste permane una spessa coltre di silenzio. Cosi come, gli effetti della importante sentenza (131/2020) della Corte Costituzionale relativa all’amministrazione condivisa (art.55 e 56 del CTS), potrebbero restare lettera morta se Ministero del Lavoro, Anci e Conferenza delle Regioni non decideranno rapidamente un significativo investimento formativo per i quadri e i dirigenti delle amministrazioni locali. Vi sono poi due organismi – la Cabina di regia, presieduta dal capo del Governo, e il Consiglio nazionale del Terzo settore – largamente sottoutilizzati, quando invece potrebbero essere un volano  sia nell’attuazione, sia per evitare l’introduzione di norme disarticolate dal CTS, come e’ accaduto con la recente riforma dello sport. Infine, il Governo contribuisca in nodo attivo  alla preparazione e al varo del “Piano di azione europeo per l’economia sociale” in modo da dare impulso a tutto il Terzo settore italiano e in particolar modo alle nuove imprese sociali. La coincidenza della fase attuativa della Riforma con  l’avvio delle misure del PNRR è un’occasione imperdibile per fare del Terzo settore – come ha detto il Presidente Mattarella “una struttura portante, non di supplenza ma di autonoma e specifica responsabilità per l’intero Paese.

leggi l’articolo su Corriere Buone Notizie di martedì 20.07.2021

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Cattolici, l’orizzonte globale tra identità e resilienza. Una riflessione di Luigi Bobba vent’anni dopo il G8 di Genova

Per ricordare il ventennale delle manifestazioni contro il vertice del G8 di Genova e i drammatici fatti di violenza, culminati nella orribile sanguinaria repressione, da parte delle forze dell’ordine, nei confronti dei manifestanti, nella Scuola Diaz, pubblichiamo, per gentile concessione dell’autore, questa riflessione di Luigi Bobba, all’epoca Presidente nazionale delle Acli. Una riflessione, quella di Bobba, che tocca le tematiche, ancora attuali, che portarono i cattolici a scendere in piazza per reclamare una autentica giustizia sociale nei rapporti mondiali*.

pubblicato anche su Rai News Confini del 14 luglio 2021

Nel luglio 2001, alla vigilia del vertice G8 di Genova, anche le associazioni della società civile di area cattolica come le ACLI, riunite sotto lo slogan “Sentinelle del mattino” lanciato da Giovanni Paolo II, fecero sentire la loro voce con una manifestazione pacifica e composta nel capoluogo ligure che appariva già in fermento nell’imminenza dell’evento politico di cui l’Italia del governo Berlusconi era il Paese organizzatore.

Non va dimenticato che il tema sul tappeto era la valutazione politica che il G8 era chiamato a dare sulla globalizzazione dell’economia e della finanza e che in quel momento storico la posizione più diffusa e prevalente tra i movimenti era quella dei cosiddetti antagonisti i “no global” il cui portavoce era allora Vittorio Agnoletto.

Ricordo benissimo che toccò proprio a me come Presidente nazionale delle Acli prendere la parola per dare voce alle Sentinelle del mattino e spiegare le ragioni della nostra originale posizione “new global” che non si limitava a condannare la globalizzazione in quanto tale, ma esprimeva la necessità di un discernimento tra gli aspetti ipositivi e negativi della globalizzazione. Tuttavia veniva rigettata senza mezzi termini una globalizzazione senza regole, non rispettosa dei diritti umani che era soltanto una forma aggiornata di colonizzazione globale. Una posizione chiara e netta sul giudizio degli effetti della globalizzazione ma con la quale, contestualmente, si prendevano le distanze dai movimenti no global per la loro posizione ambigua circa la condanna delle azioni violente perpetuate in diverse manifestazioni.

All’inizio del terzo millennio, quelle associazioni cattoliche volevano esprimere soprattutto la loro volontà di intraprendere un nuovo cammino certamente aperto alla globalità, ma da intendere sempre come pluralità culturale di valori e di colori, come convivialità delle differenze e ricchezza dei punti di vista, mai come omologazione, uniformità e conformismo.

Come denunciavo testualmente nel mio intervento di 20 anni fa, a Genova, “la globalizzazione senza regole aumenta la solitudine del cittadino, lo fa sentire ancor più inutile e impotente, lo indebolisce nella sua identità culturale e nel suo radicamento territoriale, lo rende omologato al sistema e al Pensiero Unico, riducendo la memoria collettiva e il suo legame vitale con il passato. Inoltre, rende più confuse le prospettive di futuro, rinchiudendo il suo orizzonte in un presente statico e piatto, rassegnato e in difesa.”.

Ebbene, il ventennio trascorso ha confermato non solo come la globalizzazione , insieme ad indubbi effetti positivi, quali l’uscita dall’area della poverta’ di centinaia di milioni di persone, abbia ristretto i confini del mondo ma soprattutto come abbia esasperato le sue contraddizioni, gli squilibri economici e le ingiustizie sociali, moltiplicato la crescente presenza delle periferie anche esistenziali e aumentato lo scandalo degli sprechi.

Negli anni più recenti è stato soprattutto papa Francesco a denunciare la perdita di umanità e di civiltà nel mondo attuale, dando voce ad una Chiesa sempre più consapevole di svolgere la sua missione di “ospedale da campo” dove alla già pesante pandemia sociale si è aggiunta quella sanitaria del Covid-19 che ha fatto percepire al mondo intero la minaccia del rischio planetario.

Nelle sue due encicliche Laudato si’ (2015) e Fratelli tutti (2020) ha indicato chiaramente quali siano i passi da compiere per fare spazio agli esclusi, ai non garantiti, agli emarginati, a coloro che sono considerati senza diritti, ai nuovi poveri, agli anziani abbandonati alla loro solitudine, alle donne che restano prive della parità di genere, ai giovani condannati al precariato e all’assenza di futuro, allo sfruttamento minorile e alle forme più vergognose di violenza sui bambini.

A dire il vero, non solo papa Francesco ma la stessa Onu è intervenuta con l’Agenda 2030,che contiene i 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile, un documento politico che è stato approvato da ben 193 Paesi, tra cui l’Italia. Tali sfide globali riguardano le persone, il pianeta, la prosperità, la pace e la partnership. Un’agenda per affrontare i drammi principali che riguardano i sette miliardi e mezzo di persone che abitano oggi sul pianeta e in particolare coloro che sono alle prese con la povertà, la fame, la salute, l’istruzione e la parità di genere.

Per intervenire e ridurre le disuguagliane di ogni tipo che impediscono all’ umanità di vivere in maniera decente e dignitosa si richiedono cambiamenti profondi e radicali. Si tratta di compiere una svolta non solo di natura economica ed ecologica, ma anche culturale e spirituale.  Il Papa stesso parla infatti di un “deterioramento etico e culturale che si accompagna a quello ecologico” (Laudato si’, 162). Ciò che più dovrebbe preoccupare è che “la gente ormai non sembra credere in un futuro felice, non confida ciecamente in un domani migliore a partire dalle attuali condizioni del mondo e delle capacità tecniche” (Laudato si’, 113)

Tutti coloro che per ragioni di studio guardano al futuro ci dicono che gli spazi dell’utopia si sono assai ridotti, mentre sono aumentati, come ha spiegato bene Bauman, gli spazi della retrotopia e, ancor più, soprattutto dopo l’avvento della pandemia, le previsioni catastrofiste della distopia.

Non potrà dunque bastare la conversione economica perché “il mercato da solo non garantisce lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale” (Laudato si’, 109).

È vero che papa Francesco sostiene convintamente le prospettive di tanti economisti di area cattolica impegnati da anni a promuovere una nuova e originale “economia civile” che ha il merito di coniugare insieme la cultura del dono e del bene comune con il principio del profitto e dell’interesse individuale.

Questi economisti spiegano in modo razionale che insieme alla categoria del dono e dell’azione gratuita è possibile valorizzare e fare spazio alle esperienze del non profit, ai soggetti del Terzo Settore, alle molteplici realtà dell’economia civile.

Si tratta di scoprire insieme la bellezza del dono, e contemporaneamente l’interesse per l’altro. Sta qui infatti, l’originalità dell’economia civile, ossia il valore di legame che è proprio del dono. In questo modo, oltre al valore d’uso e al valore di scambio (entrambi già noti all’economia tradizionale) acquista un ruolo di rilievo il “valore di legame” che è tipico dell’economia civile. Ed è ciò che diventa oggi prezioso per generare e rafforzare il legame comunitario.

L’accordo storico raggiunto in questi giorni nell’ultimo vertice del G7 che si è tenuto a Londra prevede, come è noto, una “global tax” del 15% sulle grandi imprese multinazionali. Non si conoscono ancora i dettagli, ma tale decisione dimostra con evidenza che cosa sia in grado di fare la politica quando si fa valere nei confronti della finanza e dell’economia. Inoltre, questa decisione andrebbe accompagnata con l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie speculative. Una proposta nota come “Tobin Tax”,che era stata sposata proprio dai movimenti e dalle organizzazioni del Terzo settore e che si rivela ancora oggi non solo giusta ma necessaria per poter disporre delle risorse necessarie per affrontare le sfide globali come quella ecologica o la mancanza di lavoro.

Alla conversione culturale si richiede poi di abbattere il predominio del paradigma tecnocratico sull’economia e sulla politica. Gli effetti dell’applicazione di questo modello a tutta la realtà umana e sociale si vedono chiaramente nel degrado dell’ambiente e della vita sociale in tutte le sue dimensioni. Occorre riconoscere che i prodotti della tecnica non sono neutri, perché creano una trama che finisce per condizionare gli stili di vita e orientare le possibilità sociali nella direzione degli interessi di determinati e ristretti gruppi di potere.

Così pure, non è affatto sufficiente una conversione ecologica perché sarebbe soltanto una risposta parziale. “Serve uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico. Cercare solamente un rimedio tecnico per ogni problema ambientale che si presenta, significa isolare cose che nella realtà sono connesse e nascondere i veri e più profondi problemi del sistema mondiale” (Laudato si’, 111).

Francesco invita ogni uomo a non chiudersi in se stesso o nel suo piccolo orticello, ma ad avere il cuore aperto al mondo intero. Come non bisogna separare e contrapporre globale e locale, così non bisogna separare e contrapporre l’identità e la differenza.

All’interno di ogni società, la fraternità universale e l’amicizia sociale devono essere alimentati come due poli inseparabili e coessenziali (Fratelli tutti, 144). Sta precisamente qui la conversione spirituale di cui oggi abbiamo urgente bisogno.

Dobbiamo essere leali con noi stessi e riconoscere che esistono narcisismi localistici che non esprimono un sano amore per il proprio popolo e la propria cultura. In realtà ogni cultura sana è per sua natura aperta e accogliente, così che “una cultura senza valori universali non è una cultura senza” (Fratelli tutti, 146).

Senza il rapporto ed il confronto con chi è diverso, è difficile avere una conoscenza chiara e completa di se stessi e della propria terra, perché le altre culture non sono nemici da cui bisogna difendersi, ma sono riflessi differenti della ricchezza inesauribile della vita umana” (Fratelli tutti, 147).

In questa visione aperta e dialogica della cultura umana è veramente difficile comprendere le posizioni che si autodefiniscono “sovraniste”, perché non si tratta di imporsi né di contrapporsi per prevalere sugli altri. L’atteggiamento da sostenere è quello che promuove amore civile e politico, solidarietà umana e amicizia sociale.

“Nessun popolo, nessuna cultura o persona può ottenere tutto da sé. Gli altri sono costitutivamente necessari per la costruzione di una vita piena” (Fratelli tutti, 150)

Che tipo di mondo desideriamo tramettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo? Questa domanda, dice papa Francesco, non riguarda solo l’ambiente in modo isolato perché non si può porre la questione in maniera parziale. Occorre rendersi conto che quello che è in gioco è la dignità di noi stessi. Siamo noi i primi interessati a trasmettere un pianeta abitabile per l’umanità che verrà dopo di noi. È un dramma per noi stessi, perché ciò chiama in causa il significato del nostro passaggio su questa terra (Laudato si’, 160).

Mi avvio a concludere esprimendo questa mia convinzione che è stata rafforzata dall’esperienza collettiva che abbiamo tutti pagato di persona a caro prezzo, ma da cui stiamo forse uscendo definitivamente: la pandemia. Non è vero che per salvare dal naufragio noi stessi, l’umanità e il pianeta non ci sia più niente da fare.

L’esperienza del Covid-19 ci ha aperto gli occhi e ha dimostrato palesemente che quando tutti siamo costretti a vivere una stessa situazione collettiva di paura e- strema e di illimitata fragilità, ciò che prima tutti ritenevano impossibile realizzare, diventa inaspettatamente possibile e alla nostra portata. È appunto questa la “lezione della pandemia”. Come afferma acutamente Mauro Ceruti: “è dalla cura della fragilità che si genera la creatività umana, non dalla forza della guerra contro il nemico”.

Sappiamo bene che ci sono coloro che non credono ai valori universali, né al bene comune e tanto meno alla fraternità globale perché mettono al primo posto il sovranismo e l’ideologia del nemico. Nella società attuale serve innanzi tutto la resilienza come capacità di assorbire l’urto di un evento traumatico e luttuoso, imparando a curare la ferita o il danno psichico per non restare schiacciati dal dolore e dalla sofferenza. La resilienza è molto più della resistenza, è una risorsa necessaria e di vitale importanza per continuare a vivere e a sperare. Come scrive Papa Francesco: “D’altra parte è  grande nobiltà   essere capaci di avviare processi i cui frutti saranno raccolti da altri, con la speranza riposta nella forza segreta del bene che si semina. La buona politica unisce all’amore, la speranza e la fiducia nelle riserve di bene che ci sono nel cuore della gente,malgrado tutto.”(Fratelli tutti,n.196) E’ tempo anche per la nostra Italia, arrocata e ferita, di rialzarsi in piedi e tornare ad avere fiducia nella rinascita, facendo leva su un’etica dei beni comuni e della solidarietà inclusiva, in continuità con la nostra migliore e più bella tradizione civile.

*(Il testo è stato pubblicato nel numero 18 della testata genovese “la Città. Giornale di Società Civile”.  Questo numero della rivista è dedicato, in larga parte, proprio al ventennale dei fatti del G8). 

 

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Bobba da Mattarella per il “report” di Terzjus

EVENTO / Riforma del 3° settore: «Serve un’accelerazione»

Si è svolto giovedì 1°luglio, l’incontro tra il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e una delegazione di Terzjus, formata dal presidente, Luigi Bobba, il segretario generale, Gabriele Sepio, e il direttore scientifco, Antonio Fici, per presentare e consegnare il primo Terzjus Report sulla Riforma del Terzo Settore, che è stato oggetto di un seminario nella Sala Capitolare del Senato della Repubblica.

«Siamo onorati – commenta Bobba – di avere avuto la possibilità di incontrare il presidente Mattarella e di potergli presentare il rapporto “Riforma in movimento”, redatto in occasione del primo compleanno diTerzjus. Con il presidente abbiamo sottolineato la novità della nuova legislazione, che si è proposta di dare un vestito unitario al mondo del Terzo Settore. Ma non bastano nuove norme per conseguire l’obiettivo di valorizzare quell’“Italia che ricuce”, è necessario infatti camminare tutti nella stessa direzione, solo così il Terzo Settore potrà veramente diventare struttura portante dell’intero Paese. Dai risultati del rapporto – conclude Bobba – viene un invito forte alle istituzioni preposte all’attuazione della riforma, non solo ad accelerare il passo, ma anche ad accompagnare con adeguate risorse questo importante cambiamento».

leggi l’articolo su Corriere Eusebiano di sabato 17 luglio 2021

Luigi BobbaBobba da Mattarella per il “report” di Terzjus
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Resistenza e resilienza: le caratteristiche delle cooperative sociali in tempo di pandemia

Si celebra oggi la giornata internazionale delle cooperative e il tema scelto per quest’anno dall’Onu e dall’Ica (International Cooperative Alliance) è “Ricostruire meglio insieme”. Quest’anno, inoltre, si celebra il 30esimo anniversario della nascita delle cooperative sociali, come forma originale di impresa, in quanto la legge che le regola è del 1991. La loro vera differenza, il valore aggiunto, sta nel fatto che incorporano non solo il valore mutualistico dei soci, ma generano anche un valore che si riverbera nella società. Non producono solo un vantaggio economico a favore dei soci, ma anche un valore sociale a vantaggio della comunità in cui sono inserite.

In particolare, c’è una categoria – le coop sociali di tipo B – che hanno una funzione molto importante: inserire nel mondo del lavoro persone che presentano una qualche forma di disabilità, che nel passato hanno avuto problemi di tossicodipendenza o quanti sono usciti dal carcere, insomma quei segmenti deboli del mercato del lavoro che farebbero fatica a trovare una collocazione o vocazione lavorativa.

L’Italia è stata la prima in Europa ad avere una legge così avanzata ed innovativa che supera il principio di mutualità e per incorporare quello di solidarietà, cioè genera del valore economico e sociale che va a favore delle categorie con maggiore svantaggio e delle comunità che presentano elementi di marginalità. Questa innovazione poi è stata “copiata” in molte parti d’Europa e oggi le imprese sociali – una categoria più larga e vasta di quella di cooperazione sociale – rappresentano una parte tutt’altro che irrilevante dal punto di vista delle generazione del valore economico, ovvero del Pil, e dell’occupazione a dimensione europea.

Soprattutto in questo tempo di pandemia, le cooperative legate al terzo settore hanno rappresentato una “manna dal cielo” per molte persone e territori. Molte di loro si sono riconvertite per rispondere a un bisogno che era inedito e, pur non perdendo la loro dimensione imprenditoriale originaria, hanno però accompagnato i soggetti più deboli, molte volte dimenticati dai provvedimenti governativi, oppure hanno reinventato la loro capacità produttiva. Più in generale hanno continuato a svolgere la loro attività che di per sé contiene già una dimensione solidaristica che il legislatore va a premiare con un trattamento fiscale di vantaggio.

leggi il mio articolo su Interris del 14 luglio 2021

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Terzo settore, decalogo per non sprecare una buona riforma (pronta da 4 anni)

di Silvia Morosi su Corriere Buone Notizie del 13 luglio 2021

Sono passati quattro anni dall’approvazione del decreto legislativo 117/2017, meglio conosciuto come Codice del Terzo Settore. Ma cosa pensano della riforma le organizzazioni? E che impatto ha avuto il provvedimento sulla struttura e sul vissuto quotidiano di quanti operano nel mondo del no profit e dell’impresa sociale? A raccontarlo sono i diretti interessati nelle pagine di “Riforma in movimento”, il primo rapporto sullo stato di salute e le prospettive della Riforma del Terzo settore. Promosso da Terzjus e Italia non profit, lo studio ha visto il coinvolgimento, per due mesi, di più di 1.500 organizzazioni (1.671 per la precisione) e 24 partner. Cosa emerge dall’indagine?

Se da un lato la quasi totalità degli intervistati (86%) ritiene che l’iter legislativo per l’approvazione del decreto sia stato troppo lungo, il giudizio sull’istituzione di un registro unico nazionale del Terzo Settore è molto positivo: il 56,7% degli operatori lo ritiene uno strumento di apertura verso l’esterno, utile a riorganizzare il sistema di registrazione degli enti che “volontariamente” desiderano registrarsi per ottenere le agevolazioni fiscali e, più in generale, della legislazione di favore collegata alla qualifica di “Ente del Terzo Settore” (Ets). Se un’organizzazione su tre ancora non conosce alla perfezione questa opportunità, ben l’87% dei soggetti dichiara di volersi iscrivere. E ancora, un ente su 2 ha già adeguato il proprio statuto al nuovo modello, in modo da essere pronto ad affrontare meglio le sfide future. Una rivoluzione accolta con ottimismo: più dell’80% degli intervistati guarda con favore alla riforma, e si aspetta un’azione delle istituzioni più incisiva su un mondo che solo nel nostro Paese coinvolge 300.000 associazioni, 1 milione di lavoratori e oltre 5 milioni di volontari.

Un mondo variegato, quello del volontariato e dell’associazionismo, che opera con un solo obiettivo: perseguire il bene comune. “La nostra ricerca – spiega Luigi Bobba, presidente di Terzjus (nella foto sopra) – è stata la prima occasione per dare la parola ai destinatari della Riforma del Terzo settore”. Una riforma, chiarisce, “conosciuta più per gli aspetti regolamentari e gli adempimenti, che per le norme promozionali e le opportunità che offre”. Per questo, ha aggiunto, è stato consegnato al Ministro del Lavoro Andrea Orlando un decalogo (10 azioni per non sprecare una buona riforma) che vuole essere “uno stimolo affinché le istituzioni preposte mettano in campo azioni informative e promozionali rivolte in particolare alle organizzazioni di piccole dimensioni”.

Qui il report completo.

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Verso una proposta di legge per l’apprendistato formativo ed il contratto di inserimento lavorativo

 

Dopo una iniziale forte accelerazione concomitante con la sperimentazione del sistema duale di apprendimento avviata nel 2016/2018, l’apprendistato formativo di I e III livello (D.Lgs 81/2015 – Titolo V) ha subito un sostanziale rallentamento. Il primo si attesta oggi attorno agli 11 mila apprendisti assunti annualmente, il secondo, non raggiunge i mille contratti (fonte COB – MLPS).

Lo strumento che, più di ogni altro, ha dimostrato di essere un efficace mezzo per ridurre la lunga transizione dei giovani italiani tra la fine degli studi e l’inserimento lavorativo e che ha dato buoni risultati nel contrastare la dispersione scolastica, rappresenta oggi in Italia un segmento del tutto marginale del mercato del lavoro, nonostante le forti aspettative che aveva suscitato. Oggi è la sfida del post covid 19 che ci obbliga a fare i conti con una forte ripresa della disoccupazione giovanile e con un inadeguato assetto delle politiche attive -soprattutto riguardanti le insufficienti sinergie con i sistemi di istruzione e formazione professionale-. Questa stessa sfida ci pone con forza la questione di rendere più incisivo l’intero assetto dell’apprendistato formativo sia per potenziare l’inserimento lavorativo dei giovani, sia per allargare l’area di intervento di questo contratto di formazione e lavoro verso i lavoratori in transizione, i giovani NEET, i disoccupati di lunga durata, i percettori di reddito di cittadinanza, i lavoratori in cassa integrazione o in Naspi. (continua)

 

leggi l’articolo di Luigi Bobba (Presidente di Terzjus), Maurizio Drezzadore (Consulente di Formazione), Marco Muzzarelli (Direzione Nazionale Fondazione ENGIM) su Bollettino ADAPT 12 luglio 2021, n. 27

Luigi BobbaVerso una proposta di legge per l’apprendistato formativo ed il contratto di inserimento lavorativo
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