Oltre il Covid-19, il futuro del welfare, il futuro del Paese

Riportiamo qui il testo dell’intervento del Presidente Bobba al terzo e ultimo incontro del ciclo “Oltre il Covid-19: il futuro del welfare, il futuro del Paese” che si è tenuto a Napoli il 18 maggio 2021. Promosso dalle ACLI provinciali di Napoli, i seminari hanno ospitato protagonisti delle istituzioni, del terzo settore, dell’università per fare il punto su come sarebbe cambiato il Paese quando fosse stata superata la drammatica fase emergenziale dovuta al Covid-19.

LUIGI BOBBA

È il padre del Codice del Terzo Settore. Dal 28 febbraio 2014 Sottosegretario di Stato al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nel I Governo Renzi e confermato il 29 dicembre 2016, nel I Governo Gentiloni Silveri. 

Dopo aver conseguito la laurea in Scienze Politiche presso l’Università di Torino nel 1979, ha esercitato l’attività di giornalista pubblicista, di ricercatore sociale ed è stato professore a contratto all’Università di Salerno nel 2002.

È animatore del Terzo Settore e protagonista della sua crescita. Partecipa alla creazione di Banca Etica, di cui è stato Vice Presidente dal 1998 al 2004. Ricopre il ruolo di Portavoce del Forum del Terzo Settore dal 1997 al 2000. Nelle ACLI assume prima la carica di Vice Presidente nazionale (1994-1998) e poi di Presidente (1998-2006).

Nei primi anni ’80 ha creato il Movimento Primo Lavoro ed è stato l’ideatore e il coordinatore di Job&Orienta, la manifestazione che si tiene dal 1991 ogni anno alla Fiera di Verona dedicata ai temi della scuola, dell’orientamento, della formazione e del lavoro.

È autore di numerose opere sui temi del lavoro, del welfare e della formazione, così come di numerosi articoli, saggi e pubblicazioni. 

Nelle elezioni del 2008, viene eletto alla Camera nelle liste del Partito Democratico dove ricopre il ruolo di Vice Presidente della Commissione Lavoro. Candidato alla Presidenza della Provincia di Vercelli per le Elezioni amministrative del 2011, diventa consigliere provinciale. Nella XVII Legislatura è stato rieletto Deputato, ed è stato membro della V Commissione Bilancio e Tesoro nonché della Commissione bicamerale per l’Infanzia e l’Adolescenza. Attualmente è presidente della Fondazione Terzjus. 

La pandemia è terminata, ma siamo ancora dentro questa vicenda che ci ha travolti nella vita quotidiana, travolti nel lavoro, travolti nelle relazioni fondamentali e altrettanto in quelle sociali e associative. Il rischio principale è rappresentato dal leggere questa situazione attraverso due immagini stereotipate.

La prima, quella nata all’inizio della crisi pandemica, per reagire un po’ alla situazione di paura e di incertezza, giacché non si sapeva a cosa si stava andava incontro, riassunta nello slogan “andrà tutto bene”, come a dire “in qualche modo cerchiamo di oltrepassare la crisi” senza andare a rivedere cosa questa metteva in discussione. E l’altra immagine “speriamo che presto tutto torni come prima”, come se il mondo di prima fosse il migliore dei mondi possibili e che la crisi pandemica fosse una semplice parentesi, una parentesi da rinchiudere per tornare a come eravamo. Né una né l’atra metafora possano darci la chiave per andare oltre questa crisi legata al Covid-19.

La prima perché è una metafora buonista ed eccessivamente ottimista, che non vede e forse non vuole vedere che dentro la crisi ci sono delle criticità e dei conflitti molto forti: pensiamo alla condizione dei soggetti più vulnerabili, agli anziani, al tema dell’occupazione (nonostante il blocco dei licenziamenti, si sono persi 444.000 posti di lavoro, in gran parte concentrati nelle fasce giovanili e tra le donne, un dato così evidente che non possiamo trascurare).  Pensiamo a come la solitudine, la mancanza di relazioni abbia colpito in modo preminente le persone con una qualche disabilità, con problemi di disagio, con qualche difficoltà perché non avevano sostegni, soprattutto di carattere familiare. Pensiamo al problema legato ai bambini, costretti in molti casi ad una forma di insegnamento a distanza, la cosiddetta D.A.D., che ha selezionato, a seconda delle condizioni di partenza delle famiglie, la disponibilità degli strumenti e delle connessioni, la cultura per poter non rinunciare ad un’educazione, ad un apprendimento, come elemento fondamentale per la crescita delle persone.

In questa pandemia ci sono state delle criticità forti che hanno ingigantito le diseguaglianze, tema che già condizionava fortemente la nostra società. Tema che rischia di essere un vero e proprio tarlo delle nostre comunità e anche della stessa convivenza democratica.

L’altra immagine usata, “torniamo come prima”, è invece un modo per dire che gli elementi che ci hanno portato ad evidenziare la crescita delle diseguaglianze e dei conflitti dentro la situazione pandemica, avevano già radici nel “come eravamo”. Elementi che non possiamo nascondere, ma dobbiamo portarli in emersione, perché questa “occasione” della crisi può essere occasione di trasformazione, se riusciamo a cogliere le opportunità che ci mette difronte, pur nella drammaticità della condizione di molti.

D’altra parte, questa criticità si è rivelata soprattutto nei legami associativi. Senza le relazioni, senza la costruzione delle reti comunitarie, del fare comunità perdiamo la nostra anima, la nostra missione. Ebbene, dentro la crisi ci siamo accorti di un dato, la relazione, che era la nostra risorsa, la nostra opportunità, la nostra potenzialità, è invece diventata un pericolo, un rischio, è diventato un elemento di inciampo.

Questo ci ha obbligato non solo a ripensare al nostro sistema di relazioni, ma anche ad utilizzare al meglio le potenzialità che le tecnologie ci danno per costruire delle relazioni che non sono così calde e intense come quando ci incontriamo per prendere un caffè insieme e scambiarci idee, pareri e battute, tuttavia ci consentono comunque di mantenere vivo un legame.

In questo momento c’è bisogno di ri-immergersi in una riscoperta dei valori fondamentali sui quali è costruita la nostra convivenza e sono costruite le nostre comunità.  Mi piace utilizzare la parola “ri-nascere”. Un pò come il viaggio controintuitivo che fanno i salmoni per depositare le uova, per generare, per dare vita nuova. Essi, anziché assecondare la corrente, vanno verso la foce, verso le origini, vanno verso la sorgente.

Allora, se la crisi è anche un’occasione per ritornare alla sorgente, per ritornare ai valori che riteniamo formativi per le nostre relazioni, per le nostre comunità, per il nostro fare sociale, evidentemente essa costituisce un’occasione da non buttare via.

Se non ci lasciamo imprigionare dalle due immagini “andrà tutto bene”, un ottimismo di facciata e buonista, e “torniamo presto come prima”, abbiamo però bisogno di immaginare, utilizzando un’espressione dello psicanalista Recalcati, abbiamo bisogno di “innamorarci di un futuro”.

Cosa significa innamorarci del futuro?  Significa che deve esserci qualcosa che ci proietti fuori di noi, che ci proietti fuori dalla crisi, che ci rimetta in gioco, che ci faccia tirar fuori il meglio dei nostri talenti per poter dare forma al futuro.

In tutto questo, cosa centra il Terzo Settore? Un libro dell’ex governatore della banca centrale indiana, Raghuram Rajan, intitolato “The third pillar”, il terzo pilastro, ha un sottotitolo ancora più esplicativo “La comunità dimenticata dallo Stato e dal mercato”. Raghuram Rajan scrive che una società non si regge unicamente sulle relazioni dello scambio, quelle del mercato, e sul comando della legge, lo Stato, ma si regge se c’è un terzo pilastro appunto, un Terzo Settore, che costituisce il tessuto connettivo delle relazioni comunitarie e sociali tra le persone.

Allora forse questa crisi e il Piano Nazionale per il Rilancio e la Resilienza, o mi piacerebbe dire “Piano per la Rinascita del Paese”, non possono dimenticare, ignorare o sottovalutare il terzo pilastro, il Terzo Settore, la comunità entro cui si svolge una parte importante della vita delle persone. Non può farlo poiché, altrimenti, il mercato subirebbe dei contraccolpi competitivi e lo Stato non riuscirebbe a stare dietro alla miriade di bisogni emergenti, largamente insoddisfatti (quanti ne abbiamo visti durante questa situazione di crisi).

La riforma che ha portato all’approvazione del Codice del Terzo Settore aveva queste intenzionalità politico-culturali ovvero riconoscere il “terzo pilastro”. Riconoscere nel senso che già esiste, non lo crea la legge. La legge semplicemente lo riconosce e cerca di potenziarlo, di valorizzarlo, di favorirlo. Di creare delle condizioni per cui quella rete di relazioni comunitarie possa rigenerarsi e possa essere una fonte di produzione di beni comuni, di bene comune. Se il terzo settore non resta rilegato in una nicchia, un pò funzionalistica o emergenzialista – ci si ricorda del Terzo Settore quando ci sono problemi ai quali nessuno sa come dare risposta oppure ci si ricorda del Terzo Settore quando si devono ridurre i costi dello stato sociale, usciamo da questa tenaglia – si può guardare al Terzo Settore come un fattore di trasformazione della vita delle nostre società.

Nel 2020, nell’ambito dell’incontro ad Assisi per il “The Economy of Francesco”, che ha visto la partecipazione di 2000 giovani economisti, il Papa ha usato parole che sono sembrate ad alcun quasi abrasive nei confronti del Terzo Settore. Invece, leggendole nel loro insieme, si percepisce come Papa Francesco voleva attribuire proprio alle organizzazioni del terzo settore il compito di affrontare strutturalmente, e non semplicemente di lenire i guai, gli squilibri che colpiscono le persone più escluse e con quest’opera un pò filantropica magari rischiare di perpetrare le ingiustizie che si vorrebbero contrastare. È una parola un po’ ruvida, come accade ad un Papa che ci dà sempre qualche salutare “pugno nello stomaco”, perché ci obbliga a pensare e a riflettere, ma non è di certo una negazione del ruolo cruciale del terzo settore nella generazione di una società dove questi squilibri vengano combattuti e superati.

Il Piano Nazionale per il Rilancio e la Resilienza, è un’occasione assolutamente unica e straordinaria, grazie alla quale avere a disposizione, nel giro di cinque anni 209miliardi di euro, di cui due terzi in prestito e un terzo a fondo perduto. Esso può effettivamente essere un volano per questa trasformazione.

Allo stesso tempo potrebbe, invece, essere un’occasione persa, rimanendo legati alle contraddizioni e all’incapacità di innovare delle nostre società. Innanzitutto, questo piano non deve  rinchiudere il terzo settore in una nicchia, come se fosse solo legato alla dimensione dello stato sociale, che certo è un elemento importante. Il terzo settore agisce in modo trasversale perché agisce nel campo della cultura, nel campo della sostenibilità, nel campo dell’inclusione lavorativa, nel campo del superamento del digital divide una trasversalità che attraversa un pò tutti i campi di azione della nostra società.

Primo approccio corretto è quello di avere uno sguardo di insieme, diverso dall’approccio utilizzato nei diversi provvedimenti emergenziali a cui abbiamo assistito in questi mesi. Occorre poi, per affrontare questo cambiamento, vedere il terzo settore come un generatore, un produttore di beni comuni: un capitolo importante della riforma è rappresentato dai rapporti della pubblica amministrazione con gli enti del terzo settore.

Il giudice Luca Antonini, che ha stilato la sentenza della Corte Costituzionale n. 231 del giugno 2020, ha individuato un punto cruciale quando ha detto che tra Pubblica Amministrazione e gli enti del terzo settore non c’è un controinteresse, ma c’è una comunione di scopo: entrambi, pure essendo un soggetto pubblico e un soggetto giuridicamente privato, perseguono un interesse generale. L’art. 118 della Costituzione prevede che lo Stato, le amministrazioni, hanno il compito di favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, la sussidiarietà, la capacità di agire con libertà per qualche buona causa, nello svolgimento di attività di interesse generale, cioè di attività che non sono rivolte ad interessi privati o ai pochi, ma sono rivolte a interessi pubblici e ad una dimensione comunitaria.

Un punto chiave nella gestione delle procedure e degli affidamenti che si dovranno fare per gestire queste numerose risorse è rappresentato da una piccola rivoluzione: non è il codice degli appalti che deve regolare il rapporto tra pubblica amministrazione ed enti del terzo, è il codice del terzo settore, cioè la capacità, quindi, di co-programmare, di co-progettare, di costruire qualcosa che ha un fine comune. Poi ciascuno metterà la sua capacità, le sue competenze e le sue risorse. L’amministrazione sicuramente dovrà gestire le procedure con evidenza pubblica e secondo il criterio della trasparenza.

Tutto questo rappresenterebbe una rivoluzione culturale. Il Piano Nazionale per il Rilancio e la Resilienza potrebbe essere un’occasione straordinaria per mettere alla prova gli enti del terzo settore e mettere alla prova un’innovazione forte nella pubblica amministrazione.

Che fine faranno le associazioni? Che potenzialità possono svolgere queste reti associative e comunitarie? Le associazioni hanno davanti a loro una duplice sfida. Da un lato quella di “tornare alle origini”, sentirsi parte della comunità e soprattutto sentirsi uno strumento di servizio di inclusione dei cittadini più deboli. Esse hanno il compito di mettere in campo tutte le risorse che sono in grado di mobilitare, non aspettando qualcuno che dia l’input, ma, secondo il principio di sussidiarietà, di fronte ai bisogni organizzare le risposte.

Durante questa pandemia avevamo di fronte i bisogni, le difficoltà delle persone più deboli, eravamo spinti dalla nostra natura e dai nostri valori, dalla nostra missione, a intervenire, non disinteressandoci delle regole, ma neanche ingessandoci in una dinamica meramente legalistica. Le persone, la vita vengono sempre prima delle regole e della legge. Se le ignoriamo tradiamo la nostra missione. Inoltre, dobbiamo immaginare di costruire una capacità di progettare risposte nuove ai problemi che sono venuti emergendo o meglio, esplodendo con questa crisi. Durante i primi mesi di pandemia mi telefonò una persona che avevo avuto il piacere di conoscere quando ero Presidente delle Acli perché aveva avuto questa intuizione: quella che si potesse utilizzare uno strumento che le Acli conoscono bene, quello del Servizio Civile per mettere in campo delle risorse dei nativi digitali per venire incontro ai bisogni delle famiglie con bambini più disagiati, “tagliati fuori” da quel diritto fondamentale che è il diritto all’educazione e il diritto all’istruzione. Si potrebbe quindi immaginare una forma originale di servizio civile che faccia leva sulle potenzialità e sulle capacità dei più giovani, che sicuramente hanno un rapporto più “amichevole” con le tecnologie, che si metta al servizio delle persone più in difficoltà e per rendere esigibile un diritto, quello all’istruzione per tutti.

Seguendo questa strada, sicuramente non facile, insieme ai tanti provvedimenti, necessari e giusti che sono stati presi, occorrerebbe mettere in capo qualcosa di più strategico, che guardi un pò più lontano, valorizzando quelle forme di imprenditorialità sociale che sono quelle che hanno dimostrato di reggere meglio il momento della crisi, di continuare a includere le persone più in difficoltà, di avere un fondo strategico perché queste realtà sappiano anche innovare, cioè tenersi al passo con i cambiamenti che il mercato e le attività produttive richiedono. Quindi, anziché tanti piccoli interventi servirebbe qualcosa che abbia questa visione strategica.

Negli anni scorsi, in Lombardia, è stato sperimentato il così detto “fondo Jeremy”: se uno investiva 10 euro in un’impresa sociale, l’attore pubblico ci metteva altrettanto in termini di capitale sociale. Se si scommette su un’idea che ha un valore economico produttivo ma che genera anche valore sociale, io, soggetto pubblico, scommetto con te con un intervento concreto.

Negli ultimi anni il Governo italiano non ha risposto in modo adeguato alle sollecitazioni della Commissione Europea. Il Commissario Nicolas Smith ha avuto una delega a costruire un action plan per l’economia sociale di prossimità, cioè ad avere un quadro strategico di riferimento su come gli attori del terzo settore contribuiscono al rilancio, attraverso quella componente di economia sociale di prossimità che si sta rivelando un elemento portante delle nostre realtà. Il Governo Italiano non ha neanche risposto alla lettera inviata alle ex-Ministre Catalfo e Bonetti e oggi il tema è importante.

Questa pandemia porta con sé molti motivi di preoccupazione e di ansia, ma ci sono anche motivi di speranza e di opportunità. Dobbiamo saper governare le preoccupazioni, non lasciandoci travolgere e soprattutto cogliere le opportunità per il nostro futuro e per il nostro futuro insieme.

Durante questa pandemia il Papa ha scritto un’enciclica “Fratelli tutti” che ha un interessante sottotitolo: “Lettera enciclica sulla fraternità e sull’amicizia sociale”. In genere, quando si parla di amicizia si pensa ad una questione personale, ma la fraternità ha come elemento basilare proprio l’amicizia sociale cioè il riconoscere che nell’altro c’è qualcosa di importante.

Ne “Il Visconte dimezzato”, opera del grande letterato Italo Calvino, il visconte che viveva sugli alberi riconosce che nel costruire e fare insieme con le persone si tira fuori non solo il meglio di se stessi, ma anche il meglio dagli altri e che, invece, se si sta isolati, gli uni contro gli altri, si è sempre pronti a “mettere mano alla spada”, a difendersi.

L’amicizia sociale deve essere oggi l’ispirazione che ci deve guidare, avendo due attenzioni, quella di “far lavorar le mani”, far sì che la linea che parte dal cuore e arriva alle mani, la capacità trasformativa e di affronto dei bisogni non si spenga della sua energia e non pensare che tocchi a qualcun altro affrontare i problemi.

E poi, quella di avere un’attenzione per l’innovazione, cioè avere attenzione per ciò che ancora non c’è, ma che intuiamo che potrebbe diventare. Ci sono tanti punti di snodo dove l’innovazione richiede un’iniziativa, non ci viene addosso. Gli strumenti per utilizzarla ci sono ma se non c’è anche una capacità di intraprendere da parte dei soggetti sociali, uscendo un pò anche dai loro schemi antichi e passati, c’è il rischio che l’immolazione corra da altre parti, perché il mondo comunque è in continuo cambiamento. Se viene meno questa anima sociale e solidale delle nostre comunità c’è un impoverimento che riguarda tutti, ma in particolare i soggetti più vulnerabili.

Se ci ispiriamo a quell’enciclica che ha anche un forte valore politico e che ci mette sotto gli occhi, già dai primi capitoli, gli elementi che sono difficili da accettare, ma sono la realtà del mondo. Poi, ci offre anche l’indicazione di una prospettiva e anche degli strumenti possibili. Abbeveriamoci da questa enciclica del Papa perché aiuti anche noi nel fare meglio il nostro antico ma sempre nuovo mestiere.

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Luigi BobbaOltre il Covid-19, il futuro del welfare, il futuro del Paese
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Cambia il 5 per mille: diventa più veloce e anche un po’ più ricco

5 per mille, le novità nella dichiarazione dei redditi

Cambia e migliora il 5 per mille, ovvero la facoltà che il contribuente italiano ha di destinare una quota delle proprie tasse (il 5 per mille, appunto) a opere di particolare rilievo sociale: dalla ricerca sanitaria ai comuni, dalle organizzazioni umanitarie a quelle per la tutela ambientale e paesaggistica.
Le novità introdotte riguardano l’ampliamento della platea dei soggetti ammessi al contributo, l’innalzamento della soglia minima erogabile a ciascun ente, l’obbligatorietà della rendicontazione delle attività realizzate, la riduzione a un anno dei tempi di assegnazione delle risorse, tutte introdotte dal Dpcm del 23 luglio 2020 in materia di 5 per mille, interventi che vanno incontro alle richieste espresse da tempo dal mondo del Terzo Settore.

 

leggi il servizio su Corriere Econiomia del 13 giugno 2021

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La riforma del Terzo settore e la tradizione sociale della Chiesa. Intervista a Bobba (Terzjus)

Volontariato in evoluzione e dottrina sociale della Chiesa: intervista di Interris.it a Luigi Bobba, presidente di Terzjus, l’Osservatorio di diritto del Terzo Settore, della filantropia e dell’impresa sociale

La lezione solidale della carità cristiana e l’apporto del Terzo Settore all’uscita dalla crisi Covid. Interris.it ha intervistato Luigi Bobba, tra i più autorevoli esponenti del cattolicesimo sociale italiano. Da sempre in prima linea nel volontariato, Bobba presiede Terzjus, osservatorio giuridico sui diritti del Terzo Settore.

leggi l’articolo su Interris.it del 12 febbraio 2021

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ll presidente di Terzjus Luigi Bobba è relatore al webinar UCID “Il ruolo del Terzo settore nella rinascita del paese post Covid-19”

COMUNICATO STAMPA

Venerdì 22 gennaio, alle ore 18:30, il presidente di Terzjus Luigi BOBBA è relatore al webinar UCID “Il ruolo del Terzo settore nella rinascita del paese post Covid-19”

Il presidente di Terzjus Luigi BOBBA è relatore al webinar “Il ruolo del Terzo settore nella rinascita del paese post Covid-19”, primo degli Incontri UCID Vercelli per il 2021, previsto per venerdì 22 gennaio alle ore 18,30, tramite la piattaforma Google Meet. L’incontro è dedicato al Terzo Settore con la consapevolezza che Stato, Mercato e Comunità debbano interagire in modo sistematico e con pari dignità nella definizione delle priorità degli interventi, nel reperimento delle risorse, nella individuazione dei modi ottimali di gestione degli interventi. 

“Oggi, per superare la crisi economica dovuta al Covid-19, non bastano le soluzioni di breve termine. Occorre utilizzare le difficoltà di questo momento come un’occasione per affrontare l’attuale modello di sviluppo, i cui limiti sono emersi chiaramente – esordisce Adriana SALA BREDDO, Presidente UCID di Vercelli –. Bisogna con decisione imboccare la strada della trasformazione per attivare una nuova sussidiarietà fra Stato, Aziende e Società civile. Con questi nostri incontri vogliamo approfondire le conoscenze e riflettere su queste nuove strade, affinché il cambiamento porti anche un miglioramento per il futuro delle nuove generazioni”.

Luigi BOBBA è sicuramente uno dei massimi esperti in materia, infatti è stato un animatore del Terzo Settore e protagonista della sua crescita, a partire dalla Presidenza nazionale delle ACLI.  Ha ricoperto il ruolo di Portavoce del Forum del Terzo Settore e ha siglato, nel 1998, il “Patto per la Solidarietà” insieme all’allora Presidente del Consiglio On. Romano Prodi. Nel 2014 viene nominato Sottosegretario al Ministero del Lavoro, prima con il governo guidato da Matteo Renzi, poi nell’esecutivo presieduto da Paolo Gentiloni. Come Sottosegretario ha curato in particolare la riforma del Terzo Settore, diventata legge nel 2016. Attualmente è Presidente di Terzjus, Osservatorio di diritto del Terzo settore, della filantropia e dell’impresa sociale.  

Interverrà all’incontro, Gian Luca GALLETTI, Presidente Nazionale UCID che si è espresso più volte su questa argomento.

L’incontro sarà condotto da Luca SOGNO, Direttore del “Corriere Eusebiano”.

Per partecipare all’evento collegarsi al link https://meet.google.com/ipz-kkqe-ove  oppure tramite il telefono chiamando il numero +39 02 3041 9408 e digitando il PIN 362 412 994#

Luigi Bobball presidente di Terzjus Luigi Bobba è relatore al webinar UCID “Il ruolo del Terzo settore nella rinascita del paese post Covid-19”
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Quale futuro per le donazioni

Gli italiani non sono mai stati così generosi come nell’anno della pandemia. E il 65% di loro ha visto nel Terzo settore il soggetto che maggiormente si è speso per il bene del Paese. Eppure il grosso delle donazioni è andato a enti pubblici, ossia Protezione Civile e ospedali. Ecco il 6° Italy Giving Report di Vita

Come per tutte le emergenza e insieme come mai nessun’altra emergenza prima, il Covid-19 ha segnato il 2020 in maniera indelebile anche nel campo delle donazioni. In Italia e nel mondo le donazioni hanno toccato cifre mai raggiunte, anche per effetto della incomparabile portata emozionale di qualcosa che ci riguarda tutti, che non ha confini geografici, che si distende nel tempo e che ha letteralmente monopolizzato da mesi ogni spazio comunicativo e informativo. Nel mondo le donazioni filantropiche per l’emergenza Covid-19 mappate da Candid.org (a cui vanno aggiunte infinite donazioni individuali piccole e/o anonime) ammontano a 20,6 miliardi di dollari contro i 13 del terremoto ad Haiti del 2010, mentre in Italia le donazioni alla Protezione Civile, solo per fare une esempio, valgono cinque volte tanto quelle del terremoto del 2016 (più di 181 milioni di euro contro i quasi 35 di allora). Il recente Non Profit Philantropy Social Good Covid-19 Report di Italia Non Profit dà conto di 975 iniziative attivate dalla filantropia per far fronte al Coronavirus, per un valore complessivo di 785,55 milioni di euro, mentre le statistiche sui donatori individuali (dati dell’indagine tracking Covid di Doxa condotta nella primavera 2020) raccontano di 13/15 milioni di italiani che tra marzo e aprile hanno fatto una donazione con causale emergenza Covid.

Leggi l’articolo di Sara De Carli su Vita.it del 07 gennaio 2021

Luigi BobbaQuale futuro per le donazioni
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Il tempo delle mediazioni è finito: il governo sopravvive solo se prende finalmente decisioni radicali

Mosse urgenti: meno favori e più riforme, la via obbligata per la ripresa

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 2 gennaio 2021

Durante i lunghi mesi del Covid-19, i dibattiti e le decisioni riguardanti gli aspetti economici della pandemia sono stati dedicati prevalentemente al nobile obiettivo di aiutare le categorie più colpite. La corsa al soccorso ha tuttavia provocato il meno nobile risultato di spargere benefici e incentivi in mille direzioni, ben oltre le intenzioni iniziali e lontano dagli obiettivi di sviluppo di lungo periodo: dall’acquisto di monopattini agli occhiali, dai mobili agli apparecchi televisivi e chi più ne ha più ne metta. Il tutto accompagnato dal messaggio subliminale che l’Unione Europea avrebbe poi pagato il conto senza tanti problemi.

L’ammontare del debito pubblico, che già viaggiava su livelli allarmanti, è quindi cresciuto a dismisura, raggiungendo ormai il 160% del nostro prodotto interno lordo.
Un aumento del deficit nei periodi di crisi non deve sorprendere perché è un evento consueto, ricorrente e, a volte, doveroso. Sorprende invece il fatto che le spinte corporative e le tensioni interne del governo abbiano relegato in secondo piano i problemi del dopo pandemia, mentre gli altri paesi europei si sono concentrati su progetti fondamentalmente dedicati alla crescita futura.

Fortunatamente un’opportuna intervista del Commissario Gentiloni, consapevole delle crescenti preoccupazioni dei nostri partner e delle autorità europee, ci ha richiamato alla realtà dei fatti, spiegando che i fondi europei sono rigorosamente condizionati al raggiungimento di precisi obiettivi e che tali fondi potranno essere versati all’Italia solo se i prescritti risultati saranno raggiunti.

Si tratta di condizioni illustrate con rigore e pignola chiarezza nelle 62 pagine di istruzioni (qui la prima parte, qui la seconda parte, ndr) inviate dalla Commissione ai governi il 17 settembre dello scorso anno.

L’Italia è destinataria della maggiore quantità di fondi rispetto a tutti i paesi europei (si tratta di ben 208 miliardi su un totale di 750) ma con l’obbligo di raggiungere precisi obiettivi di crescita, mettendo in atto un organico processo di riforme.

Si richiede di presentare un numero limitato di grandi progetti, accompagnati da piani dettagliati, con strumenti di controllo degli stati di avanzamento e l’elenco delle autorità responsabili dell’esecuzione dei diversi obiettivi, dedicati a rinnovare il paese in particolare su tre fronti: digitalizzazione, ambiente e coesione sociale.

Quindi pochi grandi compiti tra loro sinergici, in modo da organizzare una credibile strategia di sviluppo: proprio l’opposto di quello che si è fatto (o si è dovuto fare) fino ad ora a causa delle opposizioni esterne o, ancora di più, delle divisioni interne al Governo.

La ragione per cui è stata riservata all’Italia la quota maggiore dei fondi deriva proprio dal fatto che il nostro paese è così grande da essere determinante negli equilibri europei ma, nello stesso tempo, presenta rigidità tali da mettere a rischio l’intera economia dell’Unione.

E non si pensi che, da parte di Bruxelles, si tratti di condizioni flessibili: le grandi decisioni del Next GenerationEU sono state infatti prese dopo molti contrasti e dopo che alcuni paesi le hanno accettate solo perché accompagnate da cogenti condizionamenti e diligenti controlli.

E non possiamo nemmeno dimenticare che alcuni di questi paesi, a cominciare dall’Olanda e dalla Germania, sono ormai in campagna elettorale e, spinti dalle loro opinioni pubbliche, saranno quindi guardiani inflessibili dello spirito e della lettera dell’uso del denaro europeo.

Siamo davvero di fronte a un bivio. Se ci discostiamo dagli obblighi assunti, avremo una duplice conseguenza negativa. In primo luogo gli acquisti dei titoli del debito pubblico italiano da parte della Banca Centrale Europea, non potranno proseguire, spingendo l’Italia verso conseguenze drammatiche. In secondo luogo diventerà impossibile riformare il patto di stabilità, con analoghe conseguenze.

Al governo resta una sola scelta: cambiare rotta, respingendo le mille disparate proposte che arrivano da amici, nemici e falsi amici e concentrando l’azione sulle poche grandi decisioni che spingono la crescita e varare le riforme che ne condizionano la messa in atto.

Un compito gigantesco perché, quando si parla di riforme, non si intendono provvedimenti vaghi ma cambiamenti delle leggi, dei regolamenti e dei modi di operare della nostra Pubblica Amministrazione: dalla giustizia alla scuola, dalla ricerca alla sanità, in modo da affrettare il processo decisionale di ogni investimento, sia esso pubblico o privato.

Un compito che deve essere affrontato nel corso di questo stesso mese, da un Consiglio dei Ministri che prenda le decisioni obbligate dalle nostre necessità e dalle norme del NextGenerationEU che, ricordiamolo ancora una volta, non può versare soldi a piè di lista ma solo quando i compiti assegnati vengono eseguiti nelle varie fasi di attuazione.

Visto che è stato sollevato tante volte, e non fuori luogo, il richiamo al dopoguerra, sarà bene ripetere quanto è stato già scritto su queste stesse pagine: il medesimo Consiglio dei Ministri dovrà provvedere alla costruzione di un modello organizzativo nuovo, capace di mettere in atto quanto richiesto.

Si deve in esso prevedere che il potere politico sia in grado di prendere le necessarie decisioni strategiche, alla concreta realizzazione delle quali debbono essere preposti i migliori nuclei della Pubblica Amministrazione affiancati, quando necessario, da una piccola squadra di consulenti esterni in grado di fornire, nei casi straordinari, risorse e specializzazioni non disponibili nel settore pubblico.

Penso infatti che non vi sia né il tempo né la convenienza di creare strutture alternative che già, in tanti casi, hanno reso ancora più complicati i processi decisionali.

Il governo deve, comunque, avere ben chiaro che il tempo delle mediazioni è finito e che la sua stessa sopravvivenza dipende dalla capacità di prendere finalmente le decisioni radicali di cui il paese ha bisogno.

 

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Covid, Fosti: “il disagio cresce, ora più reti di sostegno”

Il presidente di Fondazione Cariplo, intervistato da Carlo Verdelli per L’Economia del Corriere della Sera, richiama la necessità di guardare avanti e costruire le misure del futuro.

“Il presente che stiamo vivendo fa paura. Ma credo che serva guardare avanti. Ci sarà un dopo, anche se adesso è difficile pensarlo, e bisogna cominciare a costruirlo. Governo e istituzioni prendano le decisioni necessarie e lavorino per rispondere all’enorme bisogno di fiducia delle nostre persone“.

A dirlo è Giovanni Fosti, Presidente di Fondazione Cariplo, in una intervista rilasciata a L’Economia del Corriere della Sera. Nel suo dialogo con Carlo Verdelli Fosti ha evidenziato come sia necessario un “vaccino sociale” per affrontare questo virus. In questo senso la Fondazione Cariplo si sta impegnando per moltiplicare le reti di sostegno.

leggi l’articolo di Secondo Welfare del 26 ottobre 2020

leggi l’intervista completa su L’Economia del Corriere della Sera del 25 ottobre 2020

Luigi BobbaCovid, Fosti: “il disagio cresce, ora più reti di sostegno”
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Bobba: così la riforma del Terzo Settore può incoraggiare la filantropia di impresa

Le novità normative e l’emergenza Covid-19 stanno mostrando il valore di un mondo che finora è apparso poco significativo per dimensioni e ruolo, ma che può fornire un contributo importante al nostro Paese

Fondazione Bracco, in collaborazione con Percorsi di secondo welfare, ha deciso di promuovere un ciclo di approfondimenti sulle Fondazioni di impresa italiane coinvolgendo osservatori privilegiati, studiosi ed esperti di varie discipline. L’obiettivo, alla luce delle nuove e complesse sfide sociali sollevate dalla pandemia di Covid-19, è ragionare trasversalmente sul ruolo che le Corporate Foundations del nostro Paese potranno giocare nel prossimo futuro, inserendo tali riflessioni in un una cornice analitica il più possibile ampia e articolata.

Nell’ambito di tale iniziativa abbiamo chiesto a Luigi Bobba di raccontarci in che modo la filantropia di impresa si inserisce nel più ampio quadro della riforma del Terzo Settore. Bobba, già portavoce del Forum Terzo Settore e Presidente delle ACLI, dal 2014 al 2018 è stato Sottosegretario di Stato al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con delega per il Terzo Settore, ed è stato uno dei principali artefici della riforma. Pochi mesi fa ha dato vita a Terzjus, Osservatorio che intende attraverso attività di studio e ricerca intende favorire la comprensione e un’efficace applicazione del nuovo “diritto comune del Terzo Settore” stabilito nato proprio dalla riforma.

leggi l’intervista su Secondo Welfare del 4 settembre 2020

Luigi BobbaBobba: così la riforma del Terzo Settore può incoraggiare la filantropia di impresa
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Borgomeo: «Ripartire da un nuovo paradigma: la centralità del Terzo Settore»

«Il rafforzamento, in chiave territoriale, delle esperienze e dei soggetti, il tema delle competenze, la finanza d’impatto e una nuova coscienza dell’intero settore a percepirsi come attore politico». Sono questi per il presidente della Fondazione CON IL SUD le sfide, le prospettive ed i percorsi da intraprendere da parte del Terzo settore in questa epoca di Covid

leggi l’articolo di Carlo Borromeo su Vita.it del 21 agosto 2020

Luigi BobbaBorgomeo: «Ripartire da un nuovo paradigma: la centralità del Terzo Settore»
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Senza Terzo settore non si esce dalla crisi

In questa crisi del Covid-19, che ci sta perseguitando dal 21 febbraio scorso, due dimensioni hanno attratto la quasi totalità delle attenzioni da parte sia dei soggetti pubblici istituzionali sia della politica e degli stessi cittadini: la dimensione sanitaria e quella economico-finanziaria. Nessuno potrà mai negare che si tratti di dimensioni di centrale rilevanza, ma sono le sole che devono essere prese in considerazione?

leggi l’articolo di Stefano Zamagni, Presidente della Commissione Scientifica di AICCON

Luigi BobbaSenza Terzo settore non si esce dalla crisi
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