Cattolici, l’orizzonte globale tra identità e resilienza. Una riflessione di Luigi Bobba vent’anni dopo il G8 di Genova

Per ricordare il ventennale delle manifestazioni contro il vertice del G8 di Genova e i drammatici fatti di violenza, culminati nella orribile sanguinaria repressione, da parte delle forze dell’ordine, nei confronti dei manifestanti, nella Scuola Diaz, pubblichiamo, per gentile concessione dell’autore, questa riflessione di Luigi Bobba, all’epoca Presidente nazionale delle Acli. Una riflessione, quella di Bobba, che tocca le tematiche, ancora attuali, che portarono i cattolici a scendere in piazza per reclamare una autentica giustizia sociale nei rapporti mondiali*.

pubblicato anche su Rai News Confini del 14 luglio 2021

Nel luglio 2001, alla vigilia del vertice G8 di Genova, anche le associazioni della società civile di area cattolica come le ACLI, riunite sotto lo slogan “Sentinelle del mattino” lanciato da Giovanni Paolo II, fecero sentire la loro voce con una manifestazione pacifica e composta nel capoluogo ligure che appariva già in fermento nell’imminenza dell’evento politico di cui l’Italia del governo Berlusconi era il Paese organizzatore.

Non va dimenticato che il tema sul tappeto era la valutazione politica che il G8 era chiamato a dare sulla globalizzazione dell’economia e della finanza e che in quel momento storico la posizione più diffusa e prevalente tra i movimenti era quella dei cosiddetti antagonisti i “no global” il cui portavoce era allora Vittorio Agnoletto.

Ricordo benissimo che toccò proprio a me come Presidente nazionale delle Acli prendere la parola per dare voce alle Sentinelle del mattino e spiegare le ragioni della nostra originale posizione “new global” che non si limitava a condannare la globalizzazione in quanto tale, ma esprimeva la necessità di un discernimento tra gli aspetti ipositivi e negativi della globalizzazione. Tuttavia veniva rigettata senza mezzi termini una globalizzazione senza regole, non rispettosa dei diritti umani che era soltanto una forma aggiornata di colonizzazione globale. Una posizione chiara e netta sul giudizio degli effetti della globalizzazione ma con la quale, contestualmente, si prendevano le distanze dai movimenti no global per la loro posizione ambigua circa la condanna delle azioni violente perpetuate in diverse manifestazioni.

All’inizio del terzo millennio, quelle associazioni cattoliche volevano esprimere soprattutto la loro volontà di intraprendere un nuovo cammino certamente aperto alla globalità, ma da intendere sempre come pluralità culturale di valori e di colori, come convivialità delle differenze e ricchezza dei punti di vista, mai come omologazione, uniformità e conformismo.

Come denunciavo testualmente nel mio intervento di 20 anni fa, a Genova, “la globalizzazione senza regole aumenta la solitudine del cittadino, lo fa sentire ancor più inutile e impotente, lo indebolisce nella sua identità culturale e nel suo radicamento territoriale, lo rende omologato al sistema e al Pensiero Unico, riducendo la memoria collettiva e il suo legame vitale con il passato. Inoltre, rende più confuse le prospettive di futuro, rinchiudendo il suo orizzonte in un presente statico e piatto, rassegnato e in difesa.”.

Ebbene, il ventennio trascorso ha confermato non solo come la globalizzazione , insieme ad indubbi effetti positivi, quali l’uscita dall’area della poverta’ di centinaia di milioni di persone, abbia ristretto i confini del mondo ma soprattutto come abbia esasperato le sue contraddizioni, gli squilibri economici e le ingiustizie sociali, moltiplicato la crescente presenza delle periferie anche esistenziali e aumentato lo scandalo degli sprechi.

Negli anni più recenti è stato soprattutto papa Francesco a denunciare la perdita di umanità e di civiltà nel mondo attuale, dando voce ad una Chiesa sempre più consapevole di svolgere la sua missione di “ospedale da campo” dove alla già pesante pandemia sociale si è aggiunta quella sanitaria del Covid-19 che ha fatto percepire al mondo intero la minaccia del rischio planetario.

Nelle sue due encicliche Laudato si’ (2015) e Fratelli tutti (2020) ha indicato chiaramente quali siano i passi da compiere per fare spazio agli esclusi, ai non garantiti, agli emarginati, a coloro che sono considerati senza diritti, ai nuovi poveri, agli anziani abbandonati alla loro solitudine, alle donne che restano prive della parità di genere, ai giovani condannati al precariato e all’assenza di futuro, allo sfruttamento minorile e alle forme più vergognose di violenza sui bambini.

A dire il vero, non solo papa Francesco ma la stessa Onu è intervenuta con l’Agenda 2030,che contiene i 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile, un documento politico che è stato approvato da ben 193 Paesi, tra cui l’Italia. Tali sfide globali riguardano le persone, il pianeta, la prosperità, la pace e la partnership. Un’agenda per affrontare i drammi principali che riguardano i sette miliardi e mezzo di persone che abitano oggi sul pianeta e in particolare coloro che sono alle prese con la povertà, la fame, la salute, l’istruzione e la parità di genere.

Per intervenire e ridurre le disuguagliane di ogni tipo che impediscono all’ umanità di vivere in maniera decente e dignitosa si richiedono cambiamenti profondi e radicali. Si tratta di compiere una svolta non solo di natura economica ed ecologica, ma anche culturale e spirituale.  Il Papa stesso parla infatti di un “deterioramento etico e culturale che si accompagna a quello ecologico” (Laudato si’, 162). Ciò che più dovrebbe preoccupare è che “la gente ormai non sembra credere in un futuro felice, non confida ciecamente in un domani migliore a partire dalle attuali condizioni del mondo e delle capacità tecniche” (Laudato si’, 113)

Tutti coloro che per ragioni di studio guardano al futuro ci dicono che gli spazi dell’utopia si sono assai ridotti, mentre sono aumentati, come ha spiegato bene Bauman, gli spazi della retrotopia e, ancor più, soprattutto dopo l’avvento della pandemia, le previsioni catastrofiste della distopia.

Non potrà dunque bastare la conversione economica perché “il mercato da solo non garantisce lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale” (Laudato si’, 109).

È vero che papa Francesco sostiene convintamente le prospettive di tanti economisti di area cattolica impegnati da anni a promuovere una nuova e originale “economia civile” che ha il merito di coniugare insieme la cultura del dono e del bene comune con il principio del profitto e dell’interesse individuale.

Questi economisti spiegano in modo razionale che insieme alla categoria del dono e dell’azione gratuita è possibile valorizzare e fare spazio alle esperienze del non profit, ai soggetti del Terzo Settore, alle molteplici realtà dell’economia civile.

Si tratta di scoprire insieme la bellezza del dono, e contemporaneamente l’interesse per l’altro. Sta qui infatti, l’originalità dell’economia civile, ossia il valore di legame che è proprio del dono. In questo modo, oltre al valore d’uso e al valore di scambio (entrambi già noti all’economia tradizionale) acquista un ruolo di rilievo il “valore di legame” che è tipico dell’economia civile. Ed è ciò che diventa oggi prezioso per generare e rafforzare il legame comunitario.

L’accordo storico raggiunto in questi giorni nell’ultimo vertice del G7 che si è tenuto a Londra prevede, come è noto, una “global tax” del 15% sulle grandi imprese multinazionali. Non si conoscono ancora i dettagli, ma tale decisione dimostra con evidenza che cosa sia in grado di fare la politica quando si fa valere nei confronti della finanza e dell’economia. Inoltre, questa decisione andrebbe accompagnata con l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie speculative. Una proposta nota come “Tobin Tax”,che era stata sposata proprio dai movimenti e dalle organizzazioni del Terzo settore e che si rivela ancora oggi non solo giusta ma necessaria per poter disporre delle risorse necessarie per affrontare le sfide globali come quella ecologica o la mancanza di lavoro.

Alla conversione culturale si richiede poi di abbattere il predominio del paradigma tecnocratico sull’economia e sulla politica. Gli effetti dell’applicazione di questo modello a tutta la realtà umana e sociale si vedono chiaramente nel degrado dell’ambiente e della vita sociale in tutte le sue dimensioni. Occorre riconoscere che i prodotti della tecnica non sono neutri, perché creano una trama che finisce per condizionare gli stili di vita e orientare le possibilità sociali nella direzione degli interessi di determinati e ristretti gruppi di potere.

Così pure, non è affatto sufficiente una conversione ecologica perché sarebbe soltanto una risposta parziale. “Serve uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico. Cercare solamente un rimedio tecnico per ogni problema ambientale che si presenta, significa isolare cose che nella realtà sono connesse e nascondere i veri e più profondi problemi del sistema mondiale” (Laudato si’, 111).

Francesco invita ogni uomo a non chiudersi in se stesso o nel suo piccolo orticello, ma ad avere il cuore aperto al mondo intero. Come non bisogna separare e contrapporre globale e locale, così non bisogna separare e contrapporre l’identità e la differenza.

All’interno di ogni società, la fraternità universale e l’amicizia sociale devono essere alimentati come due poli inseparabili e coessenziali (Fratelli tutti, 144). Sta precisamente qui la conversione spirituale di cui oggi abbiamo urgente bisogno.

Dobbiamo essere leali con noi stessi e riconoscere che esistono narcisismi localistici che non esprimono un sano amore per il proprio popolo e la propria cultura. In realtà ogni cultura sana è per sua natura aperta e accogliente, così che “una cultura senza valori universali non è una cultura senza” (Fratelli tutti, 146).

Senza il rapporto ed il confronto con chi è diverso, è difficile avere una conoscenza chiara e completa di se stessi e della propria terra, perché le altre culture non sono nemici da cui bisogna difendersi, ma sono riflessi differenti della ricchezza inesauribile della vita umana” (Fratelli tutti, 147).

In questa visione aperta e dialogica della cultura umana è veramente difficile comprendere le posizioni che si autodefiniscono “sovraniste”, perché non si tratta di imporsi né di contrapporsi per prevalere sugli altri. L’atteggiamento da sostenere è quello che promuove amore civile e politico, solidarietà umana e amicizia sociale.

“Nessun popolo, nessuna cultura o persona può ottenere tutto da sé. Gli altri sono costitutivamente necessari per la costruzione di una vita piena” (Fratelli tutti, 150)

Che tipo di mondo desideriamo tramettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo? Questa domanda, dice papa Francesco, non riguarda solo l’ambiente in modo isolato perché non si può porre la questione in maniera parziale. Occorre rendersi conto che quello che è in gioco è la dignità di noi stessi. Siamo noi i primi interessati a trasmettere un pianeta abitabile per l’umanità che verrà dopo di noi. È un dramma per noi stessi, perché ciò chiama in causa il significato del nostro passaggio su questa terra (Laudato si’, 160).

Mi avvio a concludere esprimendo questa mia convinzione che è stata rafforzata dall’esperienza collettiva che abbiamo tutti pagato di persona a caro prezzo, ma da cui stiamo forse uscendo definitivamente: la pandemia. Non è vero che per salvare dal naufragio noi stessi, l’umanità e il pianeta non ci sia più niente da fare.

L’esperienza del Covid-19 ci ha aperto gli occhi e ha dimostrato palesemente che quando tutti siamo costretti a vivere una stessa situazione collettiva di paura e- strema e di illimitata fragilità, ciò che prima tutti ritenevano impossibile realizzare, diventa inaspettatamente possibile e alla nostra portata. È appunto questa la “lezione della pandemia”. Come afferma acutamente Mauro Ceruti: “è dalla cura della fragilità che si genera la creatività umana, non dalla forza della guerra contro il nemico”.

Sappiamo bene che ci sono coloro che non credono ai valori universali, né al bene comune e tanto meno alla fraternità globale perché mettono al primo posto il sovranismo e l’ideologia del nemico. Nella società attuale serve innanzi tutto la resilienza come capacità di assorbire l’urto di un evento traumatico e luttuoso, imparando a curare la ferita o il danno psichico per non restare schiacciati dal dolore e dalla sofferenza. La resilienza è molto più della resistenza, è una risorsa necessaria e di vitale importanza per continuare a vivere e a sperare. Come scrive Papa Francesco: “D’altra parte è  grande nobiltà   essere capaci di avviare processi i cui frutti saranno raccolti da altri, con la speranza riposta nella forza segreta del bene che si semina. La buona politica unisce all’amore, la speranza e la fiducia nelle riserve di bene che ci sono nel cuore della gente,malgrado tutto.”(Fratelli tutti,n.196) E’ tempo anche per la nostra Italia, arrocata e ferita, di rialzarsi in piedi e tornare ad avere fiducia nella rinascita, facendo leva su un’etica dei beni comuni e della solidarietà inclusiva, in continuità con la nostra migliore e più bella tradizione civile.

*(Il testo è stato pubblicato nel numero 18 della testata genovese “la Città. Giornale di Società Civile”.  Questo numero della rivista è dedicato, in larga parte, proprio al ventennale dei fatti del G8). 

 

Luigi BobbaCattolici, l’orizzonte globale tra identità e resilienza. Una riflessione di Luigi Bobba vent’anni dopo il G8 di Genova
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“Cattolici, l’orizzonte globale tra identità e resilienza” – articolo di Luigi Bobba su «La città – giornale di società civile» n. 18

Nel luglio 2001, alla vigilia del vertice G8 di Genova, anche le associazioni della società civile di area cattolica come le ACLI, riunite sotto lo slogan “Sentinelle del mattino” lanciato da Giovanni Paolo II, fecero sentire la loro voce con una manifestazione pacifica e composta nel capoluogo ligure.

Toccò a me come Presidente nazionale delle Acli spiegare le ragioni della nostra originale posizione “new global”. All’inizio del terzo millennio, quelle associazioni cattoliche volevano esprimere soprattutto la loro volontà di intraprendere un nuovo cammino certamente aperto alla globalità, ma da intendere sempre come pluralità culturale di valori e di colori, come convivialità delle differenze e ricchezza dei punti di vista, mai come omologazione, uniformità e conformismo. Come denunciavo testualmente nel mio intervento “la globalizzazione senza re­gole aumenta la solitudine del cittadino, lo fa sentire ancor più inutile e impotente, lo indebolisce nella sua identità culturale e nel suo radicamento territoriale, lo rende omologato al sistema e al Pensiero Unico, riducendo la memoria collettiva e il suo legame vitale con il passato. Inoltre, rende più confuse le prospettive di futuro, rinchiudendo il suo orizzonte in un presente statico e piatto, rassegnato e in difesa.”.

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Luigi Bobba“Cattolici, l’orizzonte globale tra identità e resilienza” – articolo di Luigi Bobba su «La città – giornale di società civile» n. 18
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“Se non io, chi per me” – intervista a Luigi Bobba di Vincenzo Saccà su «Strade Aperte – Argomenti» periodico di cultura del MASCI, Luglio-Agosto/2021

Le ragioni di un impegno politico dei cattolici nella società e nelle istituzioni, con i piedi piantati nel presente e con lo sguardo rivolto al futuro (e senza pensare di tornare al passato)

Luigi Bobba, cattolico, impegnato nel sociale e nella politica, ex Presidente delle ACLI, ex Sottosegretario di Stato al Ministero del Lavoro e 7delle Politiche Sociali, “padre” della legge sul Terzo Settore, perché questo suo impegno politico/sociale? in quale contesto si è sviluppato? quale motivazione lo ha animato?

Le radici del mio impegno politico sono interamente in quello che viene chiamato il sociale cattolico. Dall’Oratorio all’attenzione, per quello che negli anni ‘ 70 era chiamato Terzo Mondo; dalla frequentazione della Comunità ecumenica di Taizé a quella di Bose; dall’ esperienza di una scuola popolare per lavoratori adulti che volevano conseguire la terza media, al giornale studentesco “Acido solforico”; dal “Collettivo giovani democratici” alle prime esperienze nelle Acli, con la nascita del circolo nel mio piccolo paese del vercellese. In questo contesto e con questa cultura sono cresciuto, avendo avuto la fortuna sia di potermi abbeverare ad una tradizione culturale ricca e vivace, ma soprattutto di fare esperienza sul campo, di provare ad inverare ciò che mi appariva necessario per un mondo più giusto ed accogliente. Quella spinta era altresì favorita dall’esistenza di luoghi , persone, riviste che contribuivano a imprimerle direzione e solidità; a trasformare le fiammate, tipicamente giovanili, in qualcosa di duraturo, capace di lasciare tracce significative per una vita intera.

leggi l’intera intervista di Vincenzo Saccà a Luigi Bobba su «Strade Aperte» periodico di cultura del MASCI, Luglio-Agosto/2021

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Quando la Chiesa italiana ebbe il coraggio di osare

Dal 30 ottobre al 4 novembre 1976 si è tenuto a Roma il primo grande Convegno nazionale della Chiesa italiana, sul tema «Evangelizzazione e promozione umana». Lo scopo di quel «convenire» era di verificare in che misura il Concilio Vaticano II, a 10 anni dalla conclusione, fosse stato recepito nel nostro Paese. Recentemente p. Bartolomeo Sorge, ex direttore de La Civiltà Cattolica, che fu anche vicepresidente di quell’evento, ha pubblicato su queste pagine, in forma di testimonianza, alcune sue considerazioni su quei momenti, sul perché la svolta iniziata dal Convegno del 1976 fu presto interrotta, e sul motivo per cui quello che Francesco ha definito un «probabile Sinodo» della Chiesa italiana dovrà, in ogni caso, rifarsi a quella prima forte esperienza.

Il rilievo di quello speciale momento ecclesiale ci ha spinto ad approfondire questa traccia, per una memoria che guarda al futuro, intervistando Giuseppe De Rita, il fondatore e presidente del Censis. De Rita è stato un altro dei protagonisti di quell’evento, avendo partecipato intensamente anche alla sua preparazione.

leggi l’intervista di Antonio Spadaio a Giuseppe De Rita su La Civiltà Cattolica del 19 Settembre 2020

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Marta Cartabia: «Diversità e pluralismo, la ricchezza del diritto»

leggi l’intervista a Marta Cartabia sul Messaggero del 13 settembre 2020

 

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“Il Governo spegne la vita spirituale”. Intervista ad Andrea Riccardi

Il fondatore della Comunità di Sant’Egidio all’Huffpost: “La Chiesa non è un servizio essenziale per i tecnici, ma qui è in gioco la vita della comunità cristiana. Conte non ha voluto prendere una decisione politica, ma anche il Pd dov’era?”

leggi l’intervista ad Andrea Riccardi su Huffington Post del 27 Aprile 2020

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Roberto Rossini (Acli): «Noi, minoranza profetica per rinnovare la società»

Il Presidente delle Acli Roberto Rossini si interroga sul rapporto tra cattolici e questioni sociali. Ruoli e nuove sfide nel libro «Più giusto»

leggi l’intervista di Dario Di Vico a Roberto Rossini sul il Corriere Buone Notizie del 17 marzo 2020

scarica l’articolo CORRIERE SERA Rossini Più Giusto 17 03 2020

 

 

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Roberto Rossini: «Cattolici, prendiamoci carico della politica»

Il presidente della Acli: «Si pone una “questione politica”: come ricostruire una grammatica del civile. Costruire insieme una città più umana per tutti è un compito tagliato su misura per noi»

leggi l’articolo di Roberto Rossini su Avvenire del 19 febbraio 2020

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“LA SCOMMESSA CATTOLICA”: GIACCARDI E MAGATTI PRESENTANO IL LORO LIBRO A VERCELLI

Appuntamento mercoledì 11 dicembre alle 18. Gli autori dialogheranno con mons. Marco Arnolfo, Luigi Bobba e Alfonsina Zanatta

“La scommessa cattolica”: è accattivante il titolo del libro scritto a quattro mani dai coniugi Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, noti e apprezzati sociologi che, mercoledì 11 dicembre saranno a Vercelli per presentare la loro ultima fatica letteraria alle 18 nel parlamentino dell’Ovest Sesia in via Duomo, 2. Ancora più indicativo è il sottotitolo scelto per tracciare il percorso che il volume (edito da Il Mulino) intende seguire: “C’è ancora un nesso tra il destino delle nostre società e le vicende del cristianesimo?”. Una domanda impegnativa che parte da alcuni dati di fatto: il cristianesimo ha oltre duemila anni di storia alle spalle, conta un miliardo e 300 milioni di fedeli in crescita grazie alla spinta demografica dei paesi del Sud del mondo. Eppure In Occidente il destino della fede deve misurarsi con un passato in cui si sono intrecciati cristianesimo, modernità, secolarizzazione, e con un presente che vede convivere progresso scientifico e religioni fai-da-te. In che modo allora la Chiesa potrà stare al passo con la vicenda moderna di cui è stata una matrice, ma che oggi la mette in difficoltà? C’è ancora posto per domande che non si esauriscano nelle promesse della tecno-scienza? E, d’altro canto, che futuro ha una modernità che recida completamente il dialogo con la religione?

Chiara Giaccardi insegna Sociologia e Antropologia dei Media presso l’Università Cattolica di Milano, dove dirige anche la rivista «Comunicazioni Sociali». Mauro Magatti Insegna Sociologia presso l’Università Cattolica di Milano. È editorialista del «Corriere della Sera».

Nel corso della serata dell’11 dicembre i due autori dialogheranno con l’arcivescovo di Vercelli, mons. Marco Arnolfo, Luigi Bobba e Alfonsina Zanatta. Modererà il direttore del Corriere eusebiano, Luca Sogno.

Luigi Bobba“LA SCOMMESSA CATTOLICA”: GIACCARDI E MAGATTI PRESENTANO IL LORO LIBRO A VERCELLI
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