“La cultura manageriale nel welfare per la salute globale e di precisione” LUM, 25.02.2022

Venerdi 25 febbraio, alle ore 15:30, live sul canale YouTube della LUM School of Management, si terrà il seminario “La cultura manageriale nel welfare per la salute globale e di precisione. Tra codice Unico del Terzo Settore, Missione 5 del PNRR e Sportello Unico per la Salute”.⁣
In questa occasione ci sarà la presentazione dei Master MISWEPS in Management dell’Impresa Sociale, del Welfare e della Previdenza Sociale e MASWER in Management dei Sistemi Regionali di Welfare e dell’Innovazione Socio Sanitaria.⁣
Qui per seguire la live su YouTube: bit.ly/YouTubeLumschoolofmanagement⁣
Luigi Bobba“La cultura manageriale nel welfare per la salute globale e di precisione” LUM, 25.02.2022
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Il Terzo Settore: importante soggetto per il rilancio del Paese

di Luigi Bobba, Interris.it del 3 febbraio 2022

Nel testo del Pnrr, il Terzo Settore è indicato come uno dei soggetti importanti per questa decisiva operazione di rilancio e resilienza del Paese ed è convolto in diverse missioni, in particolare nella Missione 5 riguardante gli ambiti del lavoro, della formazione del sociale e della famiglia. Dunque, il Pnrr è sicuramente un passo nella direzione giusta. Sorprende invece che – nella lettura dei bandi che finora sono usciti in capo ai diversi Ministeri per l’impiego delle risorse già trasferite dalla Ue all’Italia– la soggettività originale e distintiva del Terzo Settore sia sostanzialmente bypassata, nel senso che i destinatari delle risorse sia di investimento che a fondo perduto del Pnrr, sono solamente le istituzioni pubbliche – Regioni e Comuni –, e le imprese private; a ciò si aggiunge un generico e indefinito “Altro”.

Classificare il Terzo Settore sotto la rubrica “altro”, ne fa un elemento marginale e non paritario con gli altri attori pubblici e privati. Questo è un limite forte a cui bisogna mettere mano, cominciando dal bando per l’utilizzo dei beni confiscati alle mafie emanato dall’Agenzia per la Coesione territoriale. Ora, la stessa Agenzia della Coesione ha emesso un Avviso per il coinvolgimento del Terzo Settore nella progettazione territoriale e questo forse è un indicatore di un cambiamento di rotta che deve essere valorizzato e tenuto in conto. C’è però ancora molta strada da fare; il Terzo Settore – in particolare in ordine agli articoli 55 e 56 del Codice del Terzo Settore – acquisisce una sua originale fattispecie giuridica e dunque può anche essere destinatario di finanziamenti diretti nell’ambito delle iniziative promosse con il Pnrr.  Non a caso il Forum del Terzo Settore è stato coinvolto nell’organismo consultivo – presieduto dal Prof. Tiziano Treu – che ha il compito di verificare se gli indirizzi contenuti nei bandi corrispondono al disegno iniziale.  È necessario che chi rappresenta gli enti del terzo settore contrasti la comoda deriva di considerare il Terzo Settore come soggetto ancillare, marginale o emergenziale, anziché far valere la sua caratterizzazione originale e distintiva.

Riguardo al coinvolgimento del Terzo Settore circa la realizzazione del Pnrr, voglio formulare tre auspici. Il primo riguarda i bandi emanati dai diversi Ministeri, che sono gli attori principali nel perseguimento degli obiettivi esplicitati nelle Missioni in cui è articolato il Pnrr. Qualora gli stessi Ministeri agissero omettendo tale indirizzo, la cabina di regia – che è presieduta dal Presidente del Consiglio – ha il dovere di correggere il tiro e intervenire tempestivamente per far sì che il coinvolgimento del Terzo Settore sia effettivo.

Il secondo auspicio è che i tanti interventi che sono sotto la diretta responsabilità delle autonomie locali – ovvero le Regioni e i Comuni – diventino il luogo ideale dove sperimentare gli innovativi istituti dell’Amministrazione condivisa, anziché rassegnarsi alla logica delle gare e dei bandi. Il terzo auspicio è che anche il Terzo Settore, in particolare gli enti più rappresentativi e qualificati – abbiano la consapevolezza di questo cambio culturale che lo riguarda direttamente. Più puntualmente, mettano in gioco le loro competenze e le loro risorse per dar vita ad una coprogrammazione condivisa in modo da individuare I tanti bisogni che oggi non hanno risposta per poi gestire progetti cooperativi con le amministrazioni pubbliche. A tal fine, analogamente a quanto previsto in una recente norma approvata prima della fine del 2021 relativa all’istituzione di un fondo per una “Repubblica digitale”, si dia vita ad un apposito Fondo per promuovere interventi per una “Repubblica solidale”.

In altre parole, ci si ispiri alla positiva esperienza del Fondo per la lotta alla povertà educativa minorile, che ha coinvolto quasi cinque milioni di bambini e di adolescenti. Lo Stato riconosca un credito di imposta alle Fondazioni bancarie che investono in progetti legati all’inserimento al lavoro dei Neet, al welfare di comunità, all’ inclusione delle persone con disabilità. In questo modo, ossia coinvolgendo anche risorse private, si incentiva una transizione sociale ancora poco tematizzata ma che è altrettanto fondamentale al pari delle transizioni digitale ed ecologica.

Luigi BobbaIl Terzo Settore: importante soggetto per il rilancio del Paese
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Luca Vecchi: “Comuni e Terzo settore alleati per migliorare il Pnrr”

L’Osservatorio sul Pnrr sociale incontra il sindaco di Reggio Emilia e delegato Anci al Welfare e al Terzo settore: «Il Terzo settore ha nei comuni italiani un grande alleato, ce l’ha tutti i giorni e i tanti progetti con cui lavora e costruisce e ce l’avrà anche in futuro mano a mano che svilupperemo il Pnrr e le varie riforme che progressivamente speriamo verranno avanti»

Luca Vecchi è il referente Anci per il Welfare e il Terzo settore. Da sindaco di Reggio Emilia partecipa, insieme ad altri nove capoluoghi di provincia, al progetto Will Welfare Innovation Local Lab, che si propone di individuare interventi che rispondano ai bisogni dei cittadini e che siano in grado di autosostenersi, senza pesare sulle finanze pubbliche locali. Abbiamo incontrato Vecchi insieme ad alcuni dei componenti dell’Osservatorio sul Pnrr sociale che Vita ha promosso insieme a dieci reti di scopo del Terzo settore. Ecco il resoconto del dialogo.

leggi l’intervista a Luca Vecchi su Vita.it del 1 febbraio 2022

Luigi BobbaLuca Vecchi: “Comuni e Terzo settore alleati per migliorare il Pnrr”
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Luigi Bobba: Amministrazione condivisa: 5 leve per portarla a terra

La sfida per rimettere al centro la comunità, per realizzare rapporti collaborativi tra Enti del terzo settore e le Pubbliche amministrazioni e per accompagnare con adeguati provvedimenti e interventi la transizione sociale in corso in modo che sia sostenibile, equa e inclusiva, dipenderà grandemente dalle azioni che intraprenderanno sia i quadri degli ETS che gli amministratori eletti nei Comuni e nelle Regioni

di Luigi Bobba su Vita.it del 24 gennaio 2022

Dal ricco confronto scaturito dall’Agora’ del 10 gennaio scorso promossa dal Partito democratico dedicata all’Amministrazione condivisa e coordinata dall’onorevole Stefano Lepri (che ha gia’ scritto sul tema), sono emerse alcune indicazioni utili certamente per la dirigenza del PD, per gli Amministratori locali ma altresì per gli Enti del Terzo settore.

La sfida per rimettere al centro la comunità, per realizzare rapporti collaborativi tra Enti del terzo settore e le Pubbliche amministrazioni e per accompagnare con adeguati provvedimenti e interventi la transizione sociale in corso in modo che sia sostenibile, equa e inclusiva, dipenderà grandemente dalle azioni che intraprenderanno sia i quadri degli ETS che gli amministratori eletti nei Comuni e nelle Regioni.
Qui, ho provato a riassumere in cinque linee propositive quanto emerso in questo originale confronto; il primo che un partito politico dedica ad uno degli aspetti più innovativi del Codice del Terzo settore.

1. Interventi legislativi di carattere nazionale e regionale
​Lo sviluppo dell’Amministrazione condivisa presuppone che il quadro legislativo emerso dalla riforma del Terzo settore sia attuato, completato ed eventualmente corretto laddove sia necessario. Ne consegue che:

  • la notifica alla Commissione UE delle norme di carattere fiscale del Codice del terzo settore (CTS) soggette ad autorizzazione comunitaria, sia prontamente inviata in modo da poter utilizzare al meglio le risorse messe a disposizione della Riforma e ridurre gli elementi di precarietà e incertezza oggi presenti;
  • introdurre nel primo provvedimento utile gli emendamenti al CTS concordati tra il Forum del Terzo settore e il Ministero del Lavoro volti a dare sia un’interpretazione univoca a determinate norme, sia a correggerne alcune che si sono rivelate inefficaci o difficilmente applicabili
  • promuovere l’adozione a livello regionale di normative che recepiscano le novità contenute nel CTS. Finora , a più di quattro anni dall’approvazione del CTS, solo tre regioni hanno recepito e integrato la nuova normativa con leggi regionali proprie.

2. PNRR e ruolo del Terzo settore
Esiste una significativa discrasia tra le affermazioni di principio del Governo e dei principali esponenti politici e il contenuto dei provvedimenti attuativi del PNRR. Qui il ruolo del Terzo settore appare in alcuni casi inesistente, in altri marginale, in altri ancora meramente ancillare alle pubbliche amministrazioni. Ci sono le imprese, le istituzioni pubbliche ma il terzo pilastro – la comunità – viene poco considerato. Al piu’ viene derubricato ad “Altro…”
Di qui la proposta che si metta mano ad una correzione ai provvedimenti gia’ emananti ed ad una correzione di rotta per quelli in preparazione, attribuendo agli ETS la possibilità di essere destinatari diretti – proprio in forza degli art. 55 e 56 del CTS – dei finanziamenti a fondo perduto e di investimento previsti da Next Generation EU. A cominciare dal bando della Agenzia per la coesione circa l’utilizzo degli immobili confiscati alle mafie in particolare nelle Regioni del Sud.

3. Apprendere dal territorio: la comunità come risorsa per la coprogrammazione
Nel dibattito pubblico e nelle nuove procedure messe in campo dalle istituzioni locali, si è messo spesso l’accento sulla coprogettazione, lasciando invece in ombra la altrettanto importante attività relativa alla coprogrammazione. Questa carenza va colmata in quanto, in non pochi casi, gli interventi di carattere sociale non sortiscono il risultato atteso per le carenze nella individuazione dei bisogni e nella ricognizione delle risorse disponibili nella comunità territoriale.
Proprio qui, il Terzo settore può svolgere un ruolo primario, apportando una conoscenza dei bisogni, dei soggetti e del territorio derivante dal suo essere al centro delle dinamiche della comunità territoriale, come peraltro rilevato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 131/2020.
Lo sviluppo di metodiche e procedure appropriate e l’accrescimento di competenze qualificate per attivare tavoli e processi di coprogrammazione possono consentire una partecipazione effettiva e non puramente simbolica dei soggetti della società civile organizzata e, allo stesso tempo, favorire poi una coprogettazione efficace nella risposta ai bisogni individuati.

4. Formazione diffusa e laboratorio dell’Amministrazione condivisa
Il qualificato piano di formazione dei quadri delle Pubbliche amministrazioni e degli ETS avviato dal Ministero del Lavoro e realizzato dall’Anci rappresenta certamente una strada decisiva per sconfiggere l’inerzia burocratica ed evitare che la mancanza di procedure amministrative adeguate finisca per svuotare la carica innovativa degli istituti dell’Amministrazione condivisa.

In tale contesto sono emerse due linee propositive:

  • allargare ulteriormente le attività formative per l’amministrazione condivisa anche alle diverse realtà territoriali coinvolgendo sia gli amministratori pubblici, i quadri della PA e i responsabili degli ETS in particolar modo le reti associative e i Centri di servizio del volontariato
  • dar vita ad un laboratorio dell’Amministrazione condivisa finalizzato ad una ricognizione delle esperienze già sul campo, alla standardizzazione delle procedure e all’introduzione di criteri di valutazione dell’impatto sociale come elemento discriminane per valutare la bontà e l’efficacia delle attività e dei servizi di interesse generale . A tale fine, l ‘Osservatorio Terzjus può mettere a disposizione le proprie risorse progettuali nonché le proprie competenze giuridico – organizzative per dare consistenza a questo obiettivo.

5. Istituire un Fondo per la transizione sociale
Su indicazione del presidente Giuseppe Guzzetti, sarebbe necessario estendere la normativa già in vigore con la legge 152/2021, art. 29 relativa ad interventi per una “Repubblica digitale” anche ad azioni , progetti ed iniziative volti a sostenere la transizione sociale, ovvero ad affrontare le nuove disuguaglianze nel tempo della post-pandemia.

È infatti importante promuovere la formazione e l’acquisizione di competenze digitali in modo da arginare nuovi processi di esclusione, ma altresì vi sono numerosi campi di intervento – inserimento al lavoro dei Neet, welfare di comunità, povertà educativa minorile, inclusione degli immigrati – che potrebbero essere utilmente affrontati con la metodologia – già sperimentata negli anni passati -, incentrata sul credito di imposta alle Fondazioni bancarie finalizzato alla creazione di uno o più Fondi vincolati allo scopo prescelto. Una prassi che ha visto un pieno coinvolgimento degli ETS, lo sviluppo di una cultura cooperativa con la PA e risultati significativamente migliori rispetto a provvedimenti unicamente incentrati sulle pubbliche amministrazioni.

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Formazione e politiche attive del lavoro: pronto il Piano da 7,2 miliardi

Il decreto interministeriale (Lavoro-Mef) fissa le tre gambe del Piano che ha l’obiettivo di aggredire ritardi e nodi storici nel rapporto tra formazione e lavoro

Arriva il maxi piano del governo su formazione e politiche attive, che tra fondi comunitari del Pnrr e risorse nazionali potrà contare nel complesso su una dote di 7,2 miliardi di euro. L’obiettivo è coinvolgere tutti, dai giovani, con il decollo del sistema duale (600 milioni) ai disoccupati-cassintegrati (programma Gol da 4,9 miliardi tra Recovery Plan e React-Eu), fino ad arrivare ai lavoratori in servizio attraverso il Fondo nuove competenze, rifinanziato fino a 1,7 miliardi (1 miliardo da React Eu e 700 milioni dal decreto fiscale). (continua)

leggi l’articolo e guarda il video su Il Sole 24 Ore del 12 dicembre 2021

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Luigi Bobba: “Nel Trattato Italia-Francia il Servizio civile”

Sono felice che il seme gettato più di cinque anni orsono – e rimasto infruttuoso per le alterne vicende politiche dei governi di Italia e Francia – abbia trovato piena e più autorevole consacrazione in un vero e proprio trattato di rafforzamento della collaborazione tra i due Paesi

“Nel quadro del Servizio civile universale italiano e del servizio civile francese e sulla base di una cooperazione tra le agenzie e gli enti governativi incaricati della gestione dei due programmi e delle opportunita’ di mobilita’ giovanile, le Parti istituiscono un programma di volontariato italo-francese intitolato servizio civile italofrancese. Esse esaminano la possibilita’ di collegare questo programma al Corpo europeo di solidarieta’”.

È quanto si legge all’art.9 del “Trattato per una cooperazione bilaterale rafforzata tra Italia e Francia firmato oggi al Quirinale. Parole che rievocano chiaramente la dichiarazione di intenti – siglata dal sottosegretario Sandro Gozi e dal sottoscritto, in quanto titolare della delega sul Servizio civile durante il Governo Renzi, – nel corso dell’incontro bilaterale tra i due governi tenutosi a Venezia l’8 marzo del 2016. I due Paesi – recitava la dichiarazione di intenti del 2016 – “favoriscono il rafforzamento della loro collaborazione nel settore del servizio civile” e a tal fine “intendono sviluppare un progetto pilota sperimentale per la mobilita’ dei giovani nel quadro del Servizio civile, basato sui valori di liberta’ e democrazia negli ambiti della solidarieta’, del sostegno ai rifugiati…..”. Il documento ipotizzava che il progetto coinvolgesse 100 giovani volontari – 50 per ciascuno dei paesi – in modo da realizzare un esperimento di servizio civile bi-nazionale come primo passo verso una sorta di Erasmus del Servizio civile.

Sono felice che il seme gettato piu’ di cinque anni orsono – e rimasto infruttuoso per le alterne vicende politiche dei governi di Italia e Francia – abbia trovato piena e piu’ autorevole consacrazione in un vero e proprio trattato di rafforzamento della collaborazione tra i due Paesi. Allora si era fatto fatto un lungo lavoro di preparazione con il Ministro per le citta’, la gioventu’ e lo Sport del governo francese, Patrick Kanner ; e quel lavoro – rimasto incompiuto – ha ispirato sicuramente la scrittura dell’art. 9 del Trattato firmato oggi al Quirinale.

Va pure osservato che l’auspico di un Erasmus del servizio civile – evocato nel 2016 -si e’ poi tradotto, almeno come primo passo, nel Corpo europeo di solidarietà , viene opportunamente richiamato nell’odierno trattato, come la cornice entro cui inquadrare questo “servizio civile italofrancese”. La sfida ora sta nel far seguire alle parole anche i fatti e, in tale prospettiva, una quota delle risorse aggiuntive del PNRR – 600 milioni per il servizio civile – potrebbero essere indirizzate a tale scopo. Sara’ altresi importante, – come gia’ si scriveva nel 2016 – che tale originale esperienza sia accessibile proprio per i giovani meno favoriti e che diventi effettivamente uno strumento per promuovere e rafforzare tra le nuove generazioni sia la coscienza europea sia la inderogabile necessita’ di costruire non muri ma ponti.

articolo di Luigi Bobba su Vita.it del 26 Novembre 2021

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Luigi Bobba: Tre sfide per il Terzo settore del futuro

TRE SFIDE PER IL TERZO SETTORE DEL FUTURO

di Luigi Bobba

Il Terzo settore si trova in una singolare temperie. Da un lato, è spinto a misurarsi con la nuova regolazione determinata dalla riforma del 2017 e a coglierne tutte le opportunità per innovare e trasformarsi, dall’altro, questo mutamento viene fortemente accelerato dalla ormai imminente messa in opera del PNRR, che si presenta come un’occasione imperdibile per mettere mano a questioni a lungo irrisolte, ma altresì per delineare quello che il Terzo settore e l’intero Paese vogliono diventare. E questi anni che ci separano dal 2026 – termine entro il quale i progetti e gli investimenti dovranno essere realizzati – sono il momento della prova più difficile. Ovvero, come far percepire la grandezza – e forse la nobiltà – della sfida di Next Generation EU al cittadino comune. 

Per il Terzo settore è un’occasione senza precedenti non tanto per occupare spazi, quanto per avviare processi, facendo innanzitutto leva sulla capacità di stare sulla frontiera della crescita inclusiva, di resistere nei territori interni come nelle periferie più abbandonate, di nuotare nella democrazia digitale senza lasciarsi irretire dal fascino degli algoritmi, ma continuando a credere e a praticare la democrazia partecipativa. Ecco, se dovessimo delineare il ruolo del Terzo settore nei prossimi anni potremmo racchiuderlo in queste tre immagini: vettore della crescita inclusiva, sentinella delle persone vulnerabili e dei luoghi dimenticati, attore non subalterno dello spazio pubblico nel tempo della democrazia digitale. Queste tre immagini individuano i processi da attivare per delineare una “transizione sociale”, ancora poco tematizzata, ma forse altrettanto decisiva rispetto alla transizione ecologica. Come nella transizione ecologica si tratta di ridurre il peso dell’impronta che noi umani lasciamo sul pianeta, di passare dalle energie fossili a quelle solari, e di utilizzare tecnologie sempre più soft. Così nella transizione sociale, la disponibilità dei beni essenziali per la vita non può non essere all’insegna dell’inclusività, ai processi di atomizzazione della vita quotidiana e alla crescente solitudine, bisogna rispondere con la ricostruzione dei legami comunitari, alla crescente invasività delle piattaforme informative, mediatiche e dell’entertainment, si deve anteporre la cura dei processi partecipativi e democratici e la promozione di una società aperta e plurale. 

L’affronto di queste sfide può altresì trovare un contesto di riferimento favorevole in quanto, entro la fine del 2021, sarà varato dalla Commissione Europea, per iniziativa del commissario Nicolas Schmit, un Social Economy Action Plan con l’obiettivo di migliorare gli investimenti sociali, supportare l’innovazione e creare occupazione. La scelta appare convincente, ma servono due condizioni per conseguire i risultati attesi. In primo luogo, per garantire la costruzione di un ecosistema adeguato e forte per lo sviluppo delle organizzazioni di terzo settore a livello europeo, occorre un più preciso perimetro concettuale che consenta di arrivare a una definizione giuridica comune. E poi, addivenire alla creazione di un sistema condiviso di misurazione dell’impatto sociale che venga universalmente accettato e applicato. Solo a queste due condizioni avremo una nuova fioritura di imprese sociali, la capacità di orientare le risorse comunitarie verso le organizzazioni in grado di dare risposte innovative ai bisogni più dimenticati e un riconoscimento del Terzo settore come attore sia dell’economia sociale, sia dello sviluppo dell’inclusione e della cittadinanza attiva. In sintesi, i tre processi prima descritti – accesso ai beni essenziali della vita, ricostruzione dei legami comunitari e cura dei processi partecipativi – possono essere letti come l’individuazione di un orizzonte dell’equità, ovvero una nuova prospettiva sia per le politiche economiche e del lavoro che per quelle sociali e sanitarie. 

La prima sfida per il Terzo settore sta nel come diventare un attore rilevante dell’economia sociale intesa non come segmento marginale, ma componente strutturale di una libera economia di mercato. Come riuscire a generare valore economico e insieme valore aggiunto sociale. Il percorso in questa direzione non si misurerà unicamente nella crescita del PIL prodotto e dell’occupazione generata, ma quanto questa originale forma di produzione di beni e servizi, sia in grado di contaminare le imprese profit. Ovvero quanto queste stesse imprese incorporeranno nella loro reputazione sociale indicatori del benessere che avranno generato per i loro collaboratori, per la comunità circostante e per l’ambiente naturale in cui operano. Tale prospettiva, a fronte di una finanziarizzazione sempre più spinta dei processi produttivi, potrebbe apparire un po’ irenica o del tutto irrealistica. Eppure dopo la crisi pandemica qualcosa si sta muovendo in tale direzione: dalla proposta di una carbon tax a una tassazione minima di base dei giganti multinazionali che estraggono profitto dai territori senza restituire quasi nulla. Oppure, su un piano più microsociale, si pensi al desiderio sempre più forte nelle generazioni giovani di utilizzare le proprie competenze e i propri saperi non unicamente e non principalmente per fulminee carriere e per accrescere il proprio reddito, bensì per realizzare i propri sogni, tra cui quello di svolgere attività professionalmente qualificate e allo stesso tempo socialmente orientate. Ne derivano un’opportunità e un rischio. Un’opportunità perché questo potenziale di persone motivate e preparate può essere un formidabile volano di innovazione; un rischio in quanto le imprese profit appaiono più veloci e capaci di assorbire e utilizzare i processi di digitalizzazione dell’economia. Si pensi alla sharing economy, che, a dispetto della parola, è diventata invece un territorio senza regole dove possono prosperare le forme più sottili e dure di sfruttamento del lavoro delle persone. Ma un’economia della condivisione non è invece l’orizzonte tipico delle imprese sociali, delle imprese non mosse in modo esclusivo dall’imperativo del profitto e del rendimento a breve termine? Ancora nelle grandi imprese evolute, c’è una crescente attenzione alle politiche della “diversity”, ovvero a criteri di gestione delle persone orientate a includere e valorizzare le molte diversità ormai presenti negli ambienti di lavoro (di genere, di razza, di religione, oltre alle molte forme della disabilità). Ora, le imprese sociali che sono state capaci di inventare forme di inserimento al lavoro per quei soggetti che presentavano disabilità e disagi di varia natura potrebbero diventare una piattaforma di expertise e di formazione delle imprese profit proprio per evitare di considerare un problema le differenze o le disabilità, valorizzandole invece in modo inclusivo. 

C’è una seconda sfida che interroga il Terzo settore: come ricostruire legami comunitari in società dominate da un individualismo radicale e dove la solitudine sta diventando una delle più rilevanti patologie sociali. Da un lato, nelle città e nelle metropoli si assiste a una crescente atomizzazione della vita quotidiana e delle relazioni sociali. Dall’altro, i territori interni e le periferie appaiono come luoghi da cui fuggire perché privi di opportunità di vita e di prospettive specialmente per i più giovani. È ben chiaro che la crisi pandemica ha eroso una delle risorse fondamentali delle reti associative, cooperative e di volontariato, ovvero la forza, la persistenza e la qualità delle relazioni interpersonali che sono il capitale invisibile di queste organizzazioni, la miniera nascosta che consente loro di durare e di resistere anche nei momenti più critici. Ebbene, nel tempo del Covid la relazione anziché risorsa e potenziale espansivo, è diventata pericolo, rischio da cui guardarsi. E tanto più la crisi è stata profonda tanto più può affermarsi la convinzione che sia meglio salvarsi prima e da soli. Vale per le persone, come per le nazioni. Vale nel tenersi ben stretto il proprio reddito garantito, come pure per l’irresponsabilità delle nazioni ricche nel non attuare un piano globale di accesso universale ai vaccini. È dentro questo contesto che il Terzo settore può essere foriero di innovazioni nei modi di lavorare, vivere, abitare e condividere culture nell’orizzonte della convivialità delle differenze. È forse il pericolo più grave, la sfida più rischiosa. Eppure, lì vi è un terreno generativo del domani. Lì si gioca la possibilità di far vivere la comunità non come orizzonte nostalgico e ristretto, ma risorsa per superare la crescente incertezza. Vale per le cooperative di comunità che nascono nei nostri borghi abbandonati; vale per l’avvio di nuove forme dell’abitare grazie all’housing sociale; vale per le esperienze di coworking; vale per la resilienza dimostrata dalle Pro Loco nel tempo della pandemia, assumendosi compiti di assistenza sociale e solidarietà elementare prima mai svolti; vale per le nuove imprese sociali che si assumono la sfida imprenditoriale di favorire la transizione ecologica degli immobili del Terzo settore per restituirli alla loro missione originaria; vale per le tante piccole realtà del Terzo settore che decidono, utilizzando le nuove norme della riforma, di unirsi rete associativa non solo per avere più forza e visibilità nella rappresentanza, ma anche per potersi concentrare sulla propria specifica missione; vale per i tradizionali enti di formazione professionale che decidono di ripensarsi per fare della formazione e del lavoro luoghi partecipativi e comunitari; vale infine per i Municipi che anziché limitarsi ad attuare esternalizzazioni di servizi sociali verso soggetti di mercato, decidono di mettere in campo processi più complessi e partecipati per realizzare servizi con enti del Terzo settore sempre più vicini alle persone, dando così un marchio comunitario ad attività di rilievo pubblico. I semi di una nuova stagione comunitaria ci sono, ma non è detto che i venti gelidi dell’individualismo li possano indebolire o far morire. 

Infine, una terza sfida sta di fronte ai soggetti del Terzo settore è forse la più insidiosa, perché più difficile da raccogliere. Sta nel fatto che le tecnologie digitali hanno cambiato la sfera pubblica, ovvero il luogo dell’azione e del confronto democratico. In un recente saggio, anche lo stesso Giuliano Amato, vicepresidente della Corte Costituzionale si è chiesto “Cosa è successo alla democrazia”? La domanda non è né retorica, né scontata. Perché oltre alla sclerotizzazione dei partiti il nostro tempo vede un dominio incontrastato della rete. Le piattaforme informative, della musica, dei film, dei video sono diventate la spina dorsale della sfera pubblica o meglio l’infrastruttura della stessa. Ma non possiamo essere ingenui. Queste piattaforme rispondono a interessi privati e dunque sono strutturate così da attirare l’attenzione degli utenti nel modo tendenzialmente più completo possibile. Rispondono ai bisogni di consumo, di emozioni, di relazioni, di divertimento, di informazione: insomma colonizzano tutta la sfera relazionale. Per di più nella sfera informazioni/ opinioni di carattere sociale e politico tendono a spingere i post che attirano maggiormente l’attenzione: quelli con contenuti conflittuali. Ne deriva una polarizzazione degli orientamenti sociali e politici, che alimenta una crescita del percepito a danno del reale. Cosicché diventa più importante indicare i colpevoli di una situazione di crisi, che cercare soluzioni. Al Terzo settore spettano due compiti nuovi: promuovere un’alfabetizzazione mediatica del cittadino, perché solo un uso consapevole di questi mezzi, può evitare la subordinazione, la passività e soprattutto la crescita del digital divide. Il dato ISTAT relativo all’anno scolastico 2020/21 è inequivocabile: la DAD ha tagliato fuori circa l’8% dei bambini e dei ragazzi, e tale percentuale diventa del 25% in caso di soggetti disabili. L’altro compito è di utilizzare la propria funzione di advocacy per tutelare i cittadini anche nei confronti delle grandi piattaforme obbligando le stesse ad adottare criteri socialmente rilevanti nella proposizione dei contenuti. Insomma, come si fa pagare chi inquina, così si deve tassare chi intossica la vita sociale, emozionale e relazionale. 

In conclusione, le tre sfide sinteticamente illustrate rappresentano un’opportunità formidabile per il Terzo settore per diventare una “struttura portante non di supplenza, ma di autonoma e specifica responsabilità” dell’intero Paese. 

in, Daniele Marini (a cura di), MutaMenti 2021 Friuli-Venezia Giulia e Veneto: ter(re)agenti, Ricerche Marsilio (2021)

 

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Osservatorio CPI: “Quattro punti per una ripresa”

Cosa è emerso dal quarantasettesimo Forum The European House – Ambrosetti che si è concluso ieri a Cernobbio? Impossibile riassumere tutti i temi toccati in tre giorni di intense discussioni cui hanno partecipato politici, imprenditori e accademici italiani. Mi limiterò quindi ad alcune “pillole”.

Prima pillola: la fiducia nelle prospettive di breve periodo della nostra economia resta elevata. Come ha sottolineato lo stesso Draghi, la forte crescita che stiamo sperimentando è un normale rimbalzo dopo la crisi dello scorso anno, ma il rimbalzo è forte: secondo le mie stime, nel primo trimestre del prossimo anno dovremmo aver raggiunto il livello del Pil che avevamo prima del Covid. Il rischio principale nei prossimi mesi è rappresentato da un possibile ritorno alle chiusure. Da qui la necessità di procedere con le vaccinazioni, l’arma principale che abbiamo contro il Covid. Draghi ha parlato di obbligo vaccinale come risorsa finale. Non facciamo polemiche su questo punto. Intanto, come intende fare il governo, procediamo con l’estensione dell’obbligo del Green Pass per accedere ai luoghi relativamente più affollati. Poi si vedrà. Un importante punto emerso nel Forum Ambrosetti riguarda la necessità di procedere con le vaccinazioni in tutto il mondo, se vogliamo stare tranquilli. A livello mondiale il numero dei contagi resta elevato (seicentomila nuovi casi al giorno), non troppo lontano dal picco (di poco superiore agli ottocentomila casi) della scorsa primavera. Se le cose migliorano da noi e nel resto d’Europa, ma non altrove, il rischio che da qualche altra parte del mondo germoglino nuove varianti non è trascurabile. I Paesi avanzati dovrebbero quindi preoccuparsi che sia vaccinata anche la popolazione dei Paesi emergenti e a reddito più basso. Il costo di sussidiare tali vaccinazioni è minuscolo rispetto a quello di un prolungamento della pandemia.

Seconda pillola: il rischio di un persistente aumento dell’inflazione esiste ma, per ora, è considerato dai più sopportabile. Un persistente aumento dell’inflazione sarebbe problematico in sé (a chi piace l’inflazione?) e, soprattutto, per le sue implicazioni in termini di politica monetaria: se le banche centrali, in risposta a uno stabile aumento dell’inflazione, smettessero di comprare titoli di stato e aumentassero i tassi di interesse le conseguenze per paesi come l’Italia, ad alto debito, potrebbero essere serie. L’inflazione è aumentata a partire da gennaio, al di qua e al di là dell’Atlantico, ma, per ora, è l’opinione prevalente che si tratti di un naturale rimbalzo dei prezzi: la domanda torna a livelli normali, dopo la depressione da Covid, i prezzi tornano a livelli normali. Naturalmente questo comporta che si osservi presto un rallentamento dell’inflazione. Dati preliminari sui prezzi di agosto indicano, fortunatamente, una frenata nel Paese che forse è più sensibile al rischio di inflazione: in Germania ad agosto il tasso mensile di inflazione è stato zero (dopo un aumento di quasi un punto percentuale in luglio). Speriamo duri.

Terza pillola: l’opinione prevalente è che il Pnrr rappresenti il primo piano organico di crescita che il nostro Paese ha da tanti anni. Concordo. Alcuni aspetti potranno non piacere, ma nel complesso è un piano valido. I finanziamenti europei ne sostengono l’esecuzione. Non ne garantiscono però l’esecuzione. A questo proposito, la prima incognita è politica. Quanto durerà il governo? Qui i pareri sono discordi, anche se è chiara una cosa: le recenti schermaglie tra i partiti su aspetti specifici (il piano vaccini, gli sbarchi, lo ius soli, eccetera) non sembrano di per sé sufficienti a spaccare l’attuale coalizione: nessuno si prenderebbe la responsabilità. L’unico rischio è legato all’elezione del Presidente della Repubblica che potrebbe diventare l’occasione per puntare a elezioni nella prossima primavera. Qui l’incertezza è massima per cui non mi metto a speculare su cosa accadrà. Il mio auspicio è che il governo continui a lavorare fino alla scadenza naturale della legislatura. Nel complesso sta operando bene ed è necessario che continui a operare per fare in modo che le importanti riforme previste dal Pnrr siano non solo portate avanti, ma mettano radici.

Quarta e ultima pillola: questa riguarda, come avrebbe detto Arthur Conan Doyle per bocca di Holmes, “the dog that didn’t bark”. Con qualche eccezione non si è parlato di debito pubblico. O, meglio, si è parlato di debito solo con riferimento alla necessità di cambiare le regole europee sui conti pubblici, ossia il Patto di Stabilità sospeso nel triennio 2020-22. Il coro è stato unanime da parte dei commentatori italiani sulla necessità di renderlo meno stringente. O quasi unanime, visto che qualcuno (ad esempio Veronica De Romanis) ha ricordato che il vincolo vero è rappresentato non dalle regole europee ma dai mercati finanziari che comprano i nostri titoli di stato. In realtà, finché la Bce, tramite la Banca d’Italia, continua la politica di acquisti di titoli di stato italiani (e non) il problema non si pone. Ma quanto andranno avanti questi acquisti dipende dall’inflazione. Per ora stiamo tranquilli (vedi seconda pillola), ma questi acquisti non dureranno comunque per sempre. Siamo tutti keynesiani, ma, proprio perché siamo keynesiani, una volta assicurata la ripresa anche la politica di bilancio dovrà normalizzarsi, quali che siano le regole europee.

Leggi l’articolo di Carlo Cottarelli su La Stampa del 06 settembre 2021 su Osservatorio CPI

Luigi BobbaOsservatorio CPI: “Quattro punti per una ripresa”
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Le attività diverse e il patrimonio destinato degli enti religiosi civilmente riconosciuti

Le attività diverse e il patrimonio destinato degli enti religiosi civilmente riconosciuti. Note a margine di recenti integrazioni alle norme sul Terzo settore

In sede di conversione del decreto legge semplificazioni-bis e PNRR (n. 77 del 2021) sono state modificate, tra le altre, le norme del Codice del Terzo settore e del decreto sull’Impresa sociale che concedono agli enti religiosi civilmente riconosciuti di accedere al regime del Terzo settore limitatamente ad un ramo della propria attività. Al fine di chiarire alcuni dubbi interpretativi emersi all’indomani dell’entrata in vigore della Riforma, le disposizioni sono state integrate prevedendo esplicitamente: la possibilità di svolgere nell’ambito del ramo anche attività diverse di cui all’art. 6 CTS; l’obbligo di indicare nel regolamento del ramo, o in atto allegato, i beni che compongono il patrimonio a questo destinato; la limitazione della responsabilità per le obbligazioni contratte in relazione alle attività del ramo al solo patrimonio a questo destinato e, al contempo, l’impossibilità per i creditori generali dell’ente religioso di far valere i propri diritti sul patrimonio destinato al ramo.

leggi l’articolo di Alessandro Perego del 31 agosto 2021 su Terzjus.it

Luigi BobbaLe attività diverse e il patrimonio destinato degli enti religiosi civilmente riconosciuti
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