Guardando a Mosca, con la crisi che invece lasciare raddoppia, diventa inevitabile chiedersi: perché proprio ora? È chiaro, ormai, che la partita è tra la Russia e gli Usa e che l’Ucraina, per sua sfortuna, è solo il campo di gioco, come prima lo sono stati i Balcani o la Siria o la Libia. Altrettanto chiaro è che il Cremlino mira a ridefinire gli equilibrii di sicurezza in Europa e perciò ha ingaggiato un braccio di ferro che potrà avere un unico vincitore.
Quindi, di nuovo: perché Vladimir Putin tenta adesso ciò che non ha provato nei precedenti vent’anni o che avrebbe potuto azzardare tra un po’, magari approfittando di un Joe Biden sconfitto alle elezioni di medio termine o di una Ue ancor più divisa su temi di grande rilevanza come, per esempio, quello delle forniture energetiche? Una risposta potrebbe essere: Putin oggi si sente abbastanza forte da sfidare a viso aperto l’intero Occidente.
Ma forte in cosa? È vero, nel settore degli armamenti la Russia è andata molto avanti, ha missili ipersonici d’avanguardia, sistemi antiaerei efficaci, bombardieri strategici di nuova generazione, sommergibili e rompighiaccio atomici. Sono i muscoli del Cremlino, in questi mesi esibiti in una serie quasi infinita di esercitazioni per aria, terra e mare. Ma anche i rivali non scherzano e comunque abbiamo vissuto quarant’anni di guerra fredda all’ombra di arsenali enormi, segno che tra combattere guerre a bassa intensità in casa d’altri e affrontarne una “vera” in casa propria corre ancora una grande differenza.
Ma poi? La Russia è in equilibrio finanziario, ma resta un Paese con un Prodotto interno lordo più o meno pari a quello dell’Italia, e con una dipendenza dal settore energetico assai accentuata: 52% delle esportazioni e 15% del Pil nel 2020, in un settore dove le tensioni internazionali possono fare tanti danni. Ai consumatori, certo, come abbiamo sperimentato in inverno, ma anche ai produttori. Molti dicono: però c’è la Cina.
Vero, nel 2021 i due Paesi hanno realizzato il record negli scambi commerciali, per un valore di circa 150 miliardi di dollari. Ma la Ue, da sola, vale la metà di quella cifra ed è sponda di interazioni finanziare e commerciali che la Cina statalista non consente. Gli oligarchi russi, che se ne intendono, vanno verso Ovest con le loro società, non verso Est. Senza contare che la Cina è amica ma anche rivale. Per esempio in quell’Asia Centrale dove gli interessi di Mosca sono ancora forti, come le recenti vicende del Kazakhstan hanno mostrato. Nel complesso, quindi, non pare che la Russia abbia molte ragioni per sentirsi così forte proprio in questo momento.
Può darsi allora che Putin abbia deciso di agire ora per la ragione opposta: perché si sente debole. Perché pensa: adesso o mai più. Osserviamo le sue mosse e noteremo che sono fatte in grande economia. La Bielorussia lo affianca, ma perché gli è caduta in braccio a seguito delle proteste del 2020, quando il presidente Lukashenko ha temuto di perdere il potere e ha trovato in Mosca l’unico appoggio.
L’annessione del Donbass, perché di questo alla fine si tratta, è costata un tratto di penna e quattro carri armati. La Cina lo appoggia, ma con i limiti di cui sopra. All’interno della Russia la popolarità di Putin resta alta, ma l’insoddisfazione della gente è tanta, tra stagnazione economica, rialzo del costo della vita (tra 10 e 15% per i prodotti alimentari di base, 25% per le automobili o gli affitti) e un immobilismo politico che placa forse il cittadino medio, ma inquieta le élite più creative e intraprendenti. Tutti i sondaggi mostrano che i russi detestano l’idea di una guerra, e più ancora di una guerra con l’Ucraina. Che cosa succederebbe se cominciassero a tornare le bare di giovani soldati e intanto le sanzioni prendessero a mordere?
È possibile, quindi, che la sensazione della Russia di trovarsi con le spalle al muro, nella plastica rappresentazione di un’Ucraina alle soglie della Ue e della Nato, non sia retorica, ma reale angoscia. E detti le mosse di questi ultimi mesi. Non è un caso se i missili Iskander, armabili con testate nucleari, sono stati dislocati a Kaliningrad, l’exclave russa circondata da Paesi Nato.
Nell’uno come nell’altro caso, prepariamoci a una lunga tensione. Soprattutto se l’ipotesi corretta fosse la seconda. Perché in ballo ci sarebbe, in quel caso, non solo il futuro dei rapporti tra Occidente e Russia, ma anche la sorte di un assetto politico e di un gruppo di potere che hanno retto la Russia per vent’anni e che non paiono per nulla intenzionati a passare la mano.