Luigi Bobba introduce il convegno “Gli E.T.S.: tra codice del Terzo settore e codice della crisi. Professioni a confronto”

GLI E.T.S.: TRA CODICE DEL TERZO SETTORE E CODICE DELLA CRISI

PROFESSIONI A CONFRONTO

Lunedì 28 settembre 2020 dalle 14.30 alle 17.30

Introduce

Dott. Luigi Bobba

(Presidente Terzjus – Osservatorio di diritto del Terzo Settore, della filantropia e dell’impresa sociale – già Sottosegretario di Stato per il Lavoro e le Politiche Sociali con delega al terzo settore)

Intervengono

Prof. Avv. Guido Bonfante: La probabile risurrezione dell’impresa civile e l’insolvenza. Un problema aperto?

(già Professore Ordinario di Diritto Commerciale, Università di Torino)

Prof. Davide Maggi: Rendicontazioni contabile, economico-finanziaria e sociale negli E.T.S.

(Università del Piemonte Orientale)

Dott. Luciano De Angelis: L’organo di controllo negli E.T.S.

(Dottore commercialista, Revisore legale, membro Gruppo di lavoro per le norme di comportamento del collegio sindacale)

Prof. Avv. Alessandro Monteverde: Le responsabilità dei gestori degli E.T.S.

(Università del Piemonte Orientale)

Prof. Not. Maurizio Cavanna: L’assemblea delle fondazioni di partecipazione, E.T.S. e non.

(Università di Torino)

Modera: Prof. Marina Spiotta 

(Università del Piemonte Orientale)

Responsabile del progetto: Avv. Daniele Capolupo

(Cultore di Diritto Commerciale Università del Piemonte Orientale, Partner dello Studio Legale Cedars Associati)

Il Convegno si svolgerà sulla piattaforma Google Meet

Per informazioni: Avv. Daniele Capolupo e-mail cedars@cedarsassociati.it

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In stampa il primo volume dei quaderni di Terzjus: “I rapporti tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo Settore”

La prossima settimana sarà pubblicato, e disponibile, nelle librerie e nel nostro sito, il primo “Quaderno di Terzjus” dedicato ai rapporti tra enti pubblici ed enti del terzo settore dopo la fondamentale sentenza 131/2020 della Corte Costituzionale. Pubblichiamo qui, in anteprima, la prefazione al volume del Presidente di Terzjus, Luigi Bobba.

LUIGI BOBBA – PREFAZIONE

Forse non è un caso che il primo volume della collana “Quaderni di Terzjus – Osservatorio di Diritto del terzo settore, della filantropia e dell’impresa sociale” sia dedicato al tema dei rapporti tra pubbliche amministrazioni ed enti del terzo settore. Il tema, che ha una valenza generale, è divenuto negli ultimi tempi ancora più attuale e rilevante proprio a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 131 del luglio 2020. E Terzjus – neonata associazione volta a promuovere attraverso attività di studio e di ricerca la comprensione ed un’efficace applicazione del “nuovo diritto comune del terzo settore” – aveva, poche settimane prima della citata sentenza, organizzato, insieme agli “amici dell’articolo 55 del CTS”, coordinati da Gregorio Arena e Felice Scalvini, un seminario con qualificati relatori, indirizzato a rispondere proprio alle problematiche interpretative e applicative degli art. 55 e 56 del Codice del Terzo settore (CTS).

La pubblicazione della sentenza della Corte ci ha convinto non solo a raccogliere e a sistematizzare i contributi presentati nel seminario dell’11 giugno 2020, ma altresì a coinvolgere altri studiosi e qualificati operatori professionali che nel frattempo avevano accolto l’invito a riflettere su questo snodo cruciale della riforma del Terzo settore. Ne è nato così, grazie al prezioso lavoro di coordinamento del Direttore scientifico di Terzjus, Antonio Fici, nonché di Luciano Gallo e Fabio Giglioni, all’azione di indirizzo del Cda di Terzjus e al supporto del Comitato scientifico dello stesso, un volume che per la prima volta esplora, in modo approfondito e da diverse prospettive, una tematica alquanto controversa, offrendo indicazioni interpretative chiare in merito alla concreta applicazione degli art. 55 e 56 del CTS. Insomma, non si tratta di un testo meramente accademico (pur essendo coinvolti autorevoli e qualificati professori universitari), ma di uno strumento finalizzato a supportare la concreta ed efficace applicazione di due articoli fortemente innovativi ma pienamente coerenti con il dettato dell’ultimo comma dell’art. 118 della Costituzione, che introduce, per la prima volta nella Carta, il concetto di sussidiarietà orizzontale.

D’altra parte, Terzjus ha dato vita ad un Osservatorio in grado di mettere a fuoco l’intero campo del Terzo settore con un’attenzione aggiuntiva alla filantropia e all’impresa sociale. Un Osservatorio come strumento di informazione, riflessione critica e approfondimento del diritto del Terzo settore. I “Quaderni di Terzjus” – che, oltre alla versione cartacea, saranno altresì resi gratuitamente disponibili in versione telematica sul sito di Terzjus –, sono una delle modalità attraverso cui l’Associazione intende perseguire il proprio scopo sociale. Terzjus infatti, in ragione anche della variegata compagine dei soci fondatori (Acli, Airc, Anpas, Assifero, Auser, Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, Consorzio Welfare Ambito BR 3, Fondazione Italia Sociale, Forum nazionale del Terzo settore, Italia non profit e Rete Misericordia e Solidarietà), intende misurarsi non solo con il monitoraggio della riforma del terzo settore, ma anche nel delineare linee interpretative e buone prassi da far conoscere e diffondere a tutti i diversi interlocutori interessati.

Non a caso, il Cda di Terzjus farà seguire a questo primo volume dei Quaderni di Terzjus, un seminario di Alta Formazione nel quale analizzare e mettere a confronto le diverse prassi e differenti modelli applicativi nei rapporti tra PA e Terzo settore. Ciò nella convinzione, che al di là del carattere fortemente innovativo – peraltro sottolineato anche nella sentenza della Corte – degli articoli del CTS prima richiamati, esista già una variegata sperimentazione ai livelli comunali e regionali che può costituire un utile bagaglio per trovare soluzioni comuni ed efficaci.

Il modello “dell’amministrazione condivisa”, che trova un autorevole riferimento nel CTS, deve ora diventare cultura e prassi delle amministrazioni territoriali. Allo stesso tempo per gli enti del Terzo settore c’è una transizione non facile da compiere: pensarsi non tanto come semplici fornitori di servizi, ma come “partner” delle amministrazioni nel programmare e progettare interventi e servizi volti a promuovere l’inclusione sociale, il sostegno alle fasce più deboli e la valorizzazione dei territori dimenticati. Insomma il viaggio è appena cominciato: ora bisogna non smarrire la bussola e procedere con passo più sicuro e spedito. Questo “Quaderno di Terzjus” può essere una buona mappa per conseguire la meta.

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Alessandro Lombardi: “Registro unico nazionale del Terzo settore e riforma dell’istituto del cinque per mille”

Con il DPCM del 23/07/2020 è arrivata al traguardo la riforma dell’istituto del cinque per mille, inserita all’interno del più ampio processo di riforma del Terzo settore. La legge delega n.106/2016, nel ricomprendere il tema all’interno delle misure agevolative e di sostegno economico in favore degli ETS, prevedeva, tra i vari principi e criteri direttivi, la razionalizzazione e revisione dei criteri di accreditamento dei soggetti beneficiari e dei requisiti per l’accesso al beneficio nonché la semplificazione e accelerazione delle procedure per il calcolo e l’erogazione dei contributi spettanti agli enti; l’introduzione, per i soggetti beneficiari, di obblighi di pubblicità delle risorse ad essi destinate, in un sistema improntato alla massima trasparenza e rafforzato dalla previsione di sanzioni in caso di inadempimento a detti obblighi [art.9, comma 1, lettere c) e d)].

In sede di recepimento dei principi, il legislatore delegato ha operato una scelta attuativa bifasica, per effetto della quale nella fonte di rango primario (il d.lgs. n.111/2017) hanno trovato posto le regole di portata generale dell’istituto del cinque per mille, lasciando alla fonte di rango secondario l’individuazione della disciplina di dettaglio. Risulta evidente la ratio di tale scelta: in continuità con la pregressa disciplina, il ricorso ad uno strumento normativo più agile, rispetto alla legge, potrà consentire, anche in futuro, una maggiore elasticità della risposta ordinamentale ai mutamenti di contesto.

L’analisi del DPCM del 23/07/2020 può essere affrontata sia sotto il profilo procedimentale che sotto quello di merito. In ordine al primo aspetto, l’articolo 4 del d.lgs. n.111/2017 prevede un procedimento rafforzato per l’adozione del DPCM, il quale, oltre al concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, prevede l’acquisizione del parere delle commissioni parlamentari per materia e per i profili finanziari. 

In questa sede, i contenuti del DPCM vengono esaminati con specifico riguardo agli aspetti che riguardano gli ETS: in tale prospettiva, l’articolo 1 individua, tra le categorie dei beneficiari, gli ETS iscritti nel Registro unico nazionale del Terzo settore, comprese le cooperative sociali, con la sola esclusione delle imprese sociali costituite in forma societaria. L’individuazione della platea dei beneficiari ricalca esattamente quella dei beneficiari delle erogazioni liberali per le quali è prevista la detrazione o deduzione ai sensi dell’articolo 86 del codice del Terzo settore. L’esclusione delle imprese sociali costituite in forma societaria trova la sua giustificazione nella – sia pur limitata – possibilità per queste ultime di operare la distribuzione di utili fra i soci. L’inserimento tra i beneficiari delle cooperative sociali, imprese sociali di diritto, ai sensi dell’articolo 1, comma 4, del d.lgs. n.112/2017, è confermativo del precedente regime giuridico, poiché le cooperative sociali, in quanto ONLUS di diritto ex articolo 10, comma 8 del d.lgs. n. 460/1997, già beneficiano del contributo del cinque per mille.

Tale perimetrazione sarà applicata a partire dal primo anno successivo a quello di operatività del RUNTS, al fine di permettere l’ordinato allineamento della disciplina del cinque per mille con quella attuativa del RUNTS, per il quale l’art. 53 del CTS demanda ad un decreto ministeriale, attualmente n fase di finalizzazione, l’adozione della disciplina di dettaglio relativa al funzionamento del RUNTS, all’interno del quale dovrà ragionevolmente trovare spazio il tema dell’operatività del RUNTS. Nel periodo antecedente, la platea dei beneficiari, riconducibile alla categoria di enti del volontariato, continuerà ad essere individuata sulla base dell’articolo 2, comma 4 -novies, lettera a) del D.L. n. 40/2010: ONLUS, iscritte nella relativa anagrafe, ODV iscritte nei registri regionali del volontariato, ONG, APS iscritte nei registri nazionale e regionali, cooperative sociali, associazioni e fondazioni di diritto privato iscritte nel registro delle persone giuridiche, che operano nei settori delle attività delle ONLUS. 

L’operatività del RUNTS si riflette anche ai fini del radicamento della competenza in ordine alla ricezione delle istanze di accreditamento per beneficiare del contributo del cinque per mille. A regime, gli ETS che intendono beneficiare del cinque per mille esprimeranno tale volontà all’atto della presentazione della domanda di iscrizione al RUNTS, ovvero anche in un momento successivo alla stessa, in fase di aggiornamento delle informazioni depositate presso il RUNTS. Giova al riguardo ricordare che il RUNTS è operativamente gestito su base territoriale dagli uffici incardinati presso le Regioni e le Province autonome, salvo che per quanto riguarda le reti associative, per le quali il legislatore ha individuato una competenza dell’ufficio statale, incardinato presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Sulla base delle istanze di accreditamento, il Ministero del lavoro delle politiche sociali trarrà dalla base informativa del RUNTS l’elenco degli ETS che hanno espresso la volontà di partecipare al riparto del cinque per mille. Fino all’operatività del RUNTS, resta ferma la competenza dell’Agenzia delle entrate per gli enti del volontariato. 

In ordine agli effetti dell’inserimento dell’ente all’interno di detto elenco, trova conferma la previsione già contenuta nell’articolo 6-bis del DPCM 23 aprile 2010, in forza della quale l’accreditamento al riparto del cinque per mille esplica effetti, permanendo i requisiti prescritti, anche per gli anni successivi. Ciascuna Amministrazione competente pubblica l’elenco permanente degli enti che risultano regolarmente accreditati negli esercizi precedenti, aggiornato annualmente con le variazioni intervenute L’iscrizione nell’elenco permanente consente di non dover reiterare annualmente la procedura di iscrizione, ferma restando, beninteso, l’attività di controllo di competenza delle singole amministrazioni coinvolte, in ordine al possesso dei requisiti per l’ammissione al riparto del cinque per mille. Sulla base delle istanze di accreditamento e delle risultanze dell’attività di controllo, ciascuna Amministrazione competente forma gli elenchi annuali degli enti ammessi al beneficio e di quelli esclusi, che sono trasmessi all’Agenzia delle entrate, che provvederà alle operazioni di riparto, quantificando le scelte attribuite e gli importi spettanti ad ogni ente. Anche tali elenchi sono soggetti a pubblicazione. 

La scelta della destinazione del cinque per mille da parte del contribuente può essere generica, attraverso l’apposizione della firma nel riquadro relativo ad una delle categorie di beneficiari, ovvero specifica, se accompagnata dall’indicazione del codice fiscale di un singolo ente. Nel caso di disallineamento tra la categoria indicata dal beneficiario e codice fiscale di un soggetto appartenente ad altra categoria, prevale, in ragione della sua specificità, l’indicazione del codice fiscale.

Di particolare interesse sono le novità introdotte in tema di riparto ed erogazione del contributo. Sotto il primo aspetto, l’articolo 11 del nuovo DPCM innalza dai precedenti 12 euro agli attuali 100 euro la soglia dell’importo minimo erogabile a ciascun beneficiario. Si tratta di una scelta dettata da ragioni di economicità dell’azione amministrativa, finalizzate ad evitare un’insostenibile parcellizzazione della spesa. Il medesimo articolo 11 tratta anche del cd. inoptato, vale a dire della ripartizione delle scelte espresse dal contribuente in forma generica (senza cioè l’indicazione del codice fiscale dell’ente beneficiario) ovvero con l’indicazione di un codice fiscale errato. In tali casi, è stata confermata la soluzione già prevista dalla precedente disciplina, incentrata sulla ripartizione delle somme corrispondenti in misura proporzionale alle scelte espresse nella medesima categoria. Si tratta di una soluzione che affonda le sue radici nelle conclusioni alle quali è pervenuta la giurisprudenza costituzionale, secondo la quale, per effetto della dichiarazione del contribuente, l’importo corrispondente alla quota del cinque per mille viene trattenuto dallo Stato non più a titolo di tributo erariale, ma come somma che lo Stato medesimo è obbligato, come mandatario necessario ex lege, a corrispondere ai soggetti indicati dal contribuente stesso, svolgenti attività ritenute meritevoli dall’ordinamento ed inclusi in appositi elenchi. La riconduzione del rapporto intercorrente tra lo Stato ed il contribuente allo schema civilistico del mandato, fa sì che il primo debba attenersi, nel compimento dell’atto giuridico in nome e per conto del contribuente (id est nel trasferimento delle risorse all’ente avente diritto) ai limiti fissati dal mandante con la sua dichiarazione di volontà. In tale prospettiva, pertanto, nell’attività delle P.A. coinvolte nell’attuazione dell’istituto del cinque per mille (Agenzia delle entrate nella formazione degli elenchi e nella quantificazione delle relative risorse spettanti; amministrazioni erogatrici nel trasferimento delle somme) è assente qualsiasi profilo di discrezionalità. La soluzione recepita nel DPCM appare pertanto la più rispettosa della volontà del contribuente, escludendo qualsiasi margine di discrezionalità in capo alla P.A. Una diversa soluzione, viceversa, proprio in quanto implicante l’esercizio di una discrezionalità amministrativa,  avrebbe determinato una sovrapposizione della volontà della P.A. rispetto a quella del contribuente, in evidente  contrasto la stessa ratio dell’istituto del cinque per mille, che si poggia, in una prospettiva di sussidiarietà orizzontale, sulla libera iniziativa del contribuente di sostenere con un proprio apporto finanziario attività considerate meritevoli di particolare tutela da parte dell’ordinamento giuridico, che vengono in tal modo sussidiate finanziariamente attraverso l’intermediazione necessaria dello Stato, in ossequio alla volontà del contribuente.  

Sempre in tema di riparto, un’importante novità è contenuta nell’articolo 12 del DPCM, il quale, riprendendo l’articolo 6 del d.lgs. n.111/2017, prevede che, al fine di accelerare le procedure di erogazione delle somme spettanti, non si tenga conto delle dichiarazioni integrative, ai fini della ripartizione del contributo: in termini pratici, ciò si traduce nel dimezzamento della forchetta temporale intercorrente tra l’anno in cui è stata resa la dichiarazione dei redditi e l’anno di erogazione del cinque per mille. Tale soluzione, prevista a regime con l’entrata in vigore del DPCM, è stata anticipata dall’articolo 156 del D.L. n. 34/2020, convertito dalla legge n.77/2020 (c.d. “decreto Rilancio”), che ne prevede l’applicazione al contributo del cinque per mille relativo all’anno 2019, da erogarsi da parte delle Amministrazioni competenti entro il 31 ottobre 2020 (Agenzia delle entrate, dal canto suo, ha provveduto alla pubblicazione degli elenchi degli enti ammessi e di quelli esclusi nel rispetto del termine del 31 luglio 2020, posto dall’articolo in esame). Tale previsione rientra nel complesso delle disposizioni previste dalla legislazione emergenziale in tema di Terzo settore ed è mossa dall’esigenza di assicurare, anche attraverso l’istituto del cinque per mille, agli enti beneficiari l’iniezione di liquidità necessaria a permettere loro la continuità operativa, fortemente compromessa dall’emergenza epidemiologica. 

Per quanto concerne la fase erogativa del contributo, il DPCM fissa una cadenza temporale molto precisa, sia dal lato delle comunicazioni obbligatorie da parte degli enti ammessi al beneficio che da quello del  trasferimento delle somme da parte delle amministrazioni competenti. Difatti, gli enti beneficiari sono tenuti a comunicare entro il 30 settembre del secondo esercizio finanziario successivo a quello di impegno contabile delle relative somme i dati necessari per l’emissione del titolo di spesa entro il termine di conservazione dei residui in bilancio (2 anni a decorrere dall’anno di assunzione dell’impegno di spesa). L’omessa o ritardata comunicazione da parte dei beneficiari dei dati occorrenti al pagamento comporto la decadenza dal beneficio finanziario, che pertanto non sarà più esigibile dall’ente. Dette disposizioni in materia di decadenza non si applicano in caso di contenzioso pendente con l’amministrazione erogatrice. Gli importi per i quali è maturata la decadenza andranno a rialimentare, previo  versamento all’entrata del bilancio dello Stato, la provvista finanziaria disponibile per il cinque per mille per le annualità successive.  

Particolarmente significative sono le disposizioni recate dal DPCM in tema di obblighi di pubblicità in capo agli ETS beneficiari del riparto del cinque per mille: esse contribuiscono all’attuazione di uno dei principi basilari della riforma, quello della trasparenza, finalizzato a rendere conoscibili in modo chiaro alla generalità dei consociati (che saranno in tal modo posti in condizione di operare una scelta maggiormente consapevole di sostenere o di non sostenere gli enti del Terzo settore) le informazioni più importanti attinenti alla struttura organizzativa dell’ente, alla titolarità delle cariche sociali, all’impiego delle risorse finanziarie disponibili, al perseguimento dei relativi fini statutari. Per cogliere appieno l’ottica con la quale sono state scritte le nuove disposizioni, pare utile effettuare un raffronto con la disciplina previgente. Orbene, in forza degli artt.11-bis, 12 e 12 -bis del D.P.C.M. 23.4.2010, come modificato ed integrato dal D.P.C.M. 7.7.2016, su tutti gli enti percettori del contributo grava l’obbligo di redigere il rendiconto del cinque per mille, nonché della relativa relazione illustrativa; solo gli enti che hanno percepito un contributo non inferiore ad € 20.000,00 hanno l’ulteriore obbligo di trasmettere detti documenti all’Amministrazione finanziatrice. Quest’ultima, dal canto suo, è tenuta ad un duplice obbligo di pubblicazione, riguardante, rispettivamente, l’elenco dei beneficiari e degli importi agli stessi erogati e i rendiconti e le relazioni illustrative trasmesse dai soggetti ai quali è stato erogato il contributo. Viceversa, sulla base dell’articolo 8 del d.lgs. n.111/2017 e degli artt. 15 e 16 del DPCM del 23/07/2020, nel confermare a carico degli enti percettori del contributo gli obblighi di redazione del rendiconto e della relazione illustrativa, entro un anno dalla data di ricezione delle somme, e di trasmissione degli stessi entro 13 mesi dalla ricezione delle somme, all’Amministrazione erogatrice (quest’ultimo obbligo di trasmissione scatta solo quando l’ente beneficiario ha ricevuto a titolo di cinque per mille un importo di ammontare pari o superiore a d euro 20.000,00) la nuova normativa ha introdotto l’ulteriore obbligo per i beneficiari del contributo di pubblicare sul proprio sito web, entro 14 mesi dalla ricezione delle somme, gli importi percepiti e il rendiconto con la relazione illustrativa dandone comunicazione entro i successivi sette giorni all’Amministrazione erogatrice. Il richiamo che il comma 5 dell’articolo 16 del DPCM fa al termine previsto al comma 2 sembra delimitare l’obbligo di pubblicazione ai soli enti tenuti alla trasmissione del rendiconto all’Amministrazione erogatrice (vale a dire sugli enti che hanno percepito un contributo di importo pari o superiore ad euro 20.000,00) Sulla P.A. erogatrice continua a sussistere l’obbligo di pubblicazione dell’elenco dei soggetti ai quali è stato erogato il contributo ed il relativo importo, laddove l’obbligo di pubblicazione del rendiconto e della relazione illustrativa da parte della P.A. viene sostituito dall’obbligo di pubblicazione del link al rendiconto pubblicato sul sito web del beneficiario. In caso di inadempimento degli obblighi di pubblicazione da parte degli enti percettori, nonostante la preventiva diffida, è prevista l’applicazione di una sanzione pecuniaria pari al 25% del contributo percepito. 

Il citato articolo 16 individua il contenuto minimo del rendiconto, che dovrà riportare, oltre ai dati identificativi del beneficiario e l’ammontare del contributo, l’utilizzo dello stesso a copertura delle spese di funzionamento dell’ente (incluse le spese per risorse umane e per acquisto di beni e servizi), riconducibili agli scopi statutari dell’ente, nonché delle altre voci di spesa comunque destinate ad attività riconducibili agli scopi medesimi. Il rendiconto deve essere redatto secondo il criterio di cassa e pertanto dovrà riportare le spese effettivamente sostenute, in termini di uscite. Unica eccezione riguarda la possibilità di operare degli accantonamenti delle somme percepite, che vengono destinate a sostenere progetti pluriennali: in tale caso, pertanto, il rendiconto evidenzierà tali importi in termini di competenza, in quanto su di essi è stato apposto da parte dell’ente beneficiario un vincolo di destinazione, che ne consente la spendibilità oltre il termine annuale. Naturalmente, l’ente sarà comunque tenuto a fornire successivamente il rendiconto attestante l’utilizzo delle somme accantonate. L’articolo in esame, al comma 4, contiene inoltre il divieto di utilizzare le somme introitate a titolo di cinque per mille per la copertura di spese di pubblicità sostenute dall’ente in relazione a campagne di sensibilizzazione sulla destinazione del cinque per mille: ciò in quanto tale attività è qualificabile di interesse generale e, come tale, meritevole del sostegno finanziario del cinque per mille.

 Sarà molto importante che gli ETS beneficiari interiorizzino la descritta logica di accountability, in quanto strettamente funzionale al consolidamento della relazione fiduciaria tra gli ETS e i cittadini che decidono di sostenerli anche attraverso il cinque per mille: ancora oggi, in media il 16,5% degli enti di volontariato tenuti a trasmettere il rendiconto al Ministero del lavoro e delle politiche sociali adempie a tale obbligo oltre il termine fissato, solo dopo formale sollecito dell’amministrazione erogatrice. 

Proprio una solida e puntuale accountability potrà ulteriormente giovare al peculiare sistema di finanziamento del Terzo settore attraverso l’istituto del cinque per mille, la cui centralità nell’ordinamento giuridico, ha trovato un’ulteriore significativa conferma nei diversi interventi fatti dal legislatore a partire da dicembre 2019  

                                                              Alessandro Lombardi

Direttore generale del Terzo settore e della responsabilità sociale delle imprese del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 

Le considerazioni contenute nel presente testo sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.

Luigi BobbaAlessandro Lombardi: “Registro unico nazionale del Terzo settore e riforma dell’istituto del cinque per mille”
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Registro unico al via: ecco che cosa succede alle organizzazioni del Terzo settore

Dopo la firma del decreto attuativo da parte del ministro Catalfo, ci vorranno sei mesi prima che diventi operativo. Ecco che cosa devono fare in questo periodo associazioni, onlus ed enti

leggi l’articolo di Fabio Chiesa su Corriere Buone Notizie del 17 settembre 2020

Che cosa serve

Innanzitutto uno statuto scritto sulla base delle indicazioni previste dal Codice del Terzo settore. «Il più volte citato termine del 31 di ottobre – precisa Degani – non costituisce termine decadenziale per gli adeguamenti statutari, ma riguarda l’adozione delle modifiche di mero adeguamento con le maggioranze semplificate per gli enti aventi qualifica di Odv e Aps e per gli enti aventi qualifica di onlus.

Poi un indirizzo di posta elettronica certificata (Pec), perché le comunicazioni con il Registro unico avverranno tutte in via telematica. L’accesso al Registro unico impone anche obblighi di trasparenza: per iscriversi, gli enti dovranno presentare il bilancio dell’anno precedente (o dei due anni prima, se nati da più tempo).

 

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Quando la Chiesa italiana ebbe il coraggio di osare

Dal 30 ottobre al 4 novembre 1976 si è tenuto a Roma il primo grande Convegno nazionale della Chiesa italiana, sul tema «Evangelizzazione e promozione umana». Lo scopo di quel «convenire» era di verificare in che misura il Concilio Vaticano II, a 10 anni dalla conclusione, fosse stato recepito nel nostro Paese. Recentemente p. Bartolomeo Sorge, ex direttore de La Civiltà Cattolica, che fu anche vicepresidente di quell’evento, ha pubblicato su queste pagine, in forma di testimonianza, alcune sue considerazioni su quei momenti, sul perché la svolta iniziata dal Convegno del 1976 fu presto interrotta, e sul motivo per cui quello che Francesco ha definito un «probabile Sinodo» della Chiesa italiana dovrà, in ogni caso, rifarsi a quella prima forte esperienza.

Il rilievo di quello speciale momento ecclesiale ci ha spinto ad approfondire questa traccia, per una memoria che guarda al futuro, intervistando Giuseppe De Rita, il fondatore e presidente del Censis. De Rita è stato un altro dei protagonisti di quell’evento, avendo partecipato intensamente anche alla sua preparazione.

leggi l’intervista di Antonio Spadaio a Giuseppe De Rita su La Civiltà Cattolica del 19 Settembre 2020

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Luigi Bobba: Perché è necessario nel 2020 arrivare a un concetto di inclusione globale? Qual è il valore, quali i risultati attesi?

Credo che la crisi pandemica che abbiamo vissuto negli ultimi mesi abbia messo in luce l’opportunità, anzi la necessità, di un principio radicale di giustizia sociale. Se guardiamo alla crisi  non con parametri buonisti (“andrà tutto bene”, “riprenderemo come prima”, …) o come una semplice parentesi che non metterà in discussione i valori che hanno guidato l’ordine mondiale sino ad oggi, allora apparira’ chiaro che il principio di inclusione debba essere globale e non riferito unicamente ad un paese o ad una o più categorie sociali. L’uscita dalla crisi non potrà che essere “insieme”, ovvero rimettendo in discussione alcuni cardini del  nostro sistema economico e sociale.

leggi la mia intervista sul sito di Gruppo TIM

 

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TIM partner di “Global Inclusion 2020”

Il Global Inclusion 2020 è stato un evento per noi particolarmente importante perché dedicato al ricordo di Fabio Galluccio, scomparso lo scorso marzo. In TIM Fabio, con una visione pioneristica, ha gettato le basi per la nascita del diversity & inclusion management in Italia e di un importante sistema di welfare.

Dello spirito che anima lo Statuto e l’evento Global Inclusion 2020 abbiamo discusso con Luigi Bobbapresidente del “Comitato Global Inclusion – art. 3” e protagonista storico del terzo settore italiano.

leggi l’articolo e il ricordo di Fabio Galluccio di Gruppo TIM

Luigi BobbaTIM partner di “Global Inclusion 2020”
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Marta Cartabia: «Diversità e pluralismo, la ricchezza del diritto»

leggi l’intervista a Marta Cartabia sul Messaggero del 13 settembre 2020

 

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GLOBAL INCLUSION: generazioni senza frontiere. Intervento di Sandro Calvani

Intervento di Sandro Calvani* al Forum:

GLOBAL INCLUSION: generazioni senza frontiere

Roma, Milano, Bologna, Bangkok, 11 Settembre 2020

Sono Sandro Calvani. Vivo a Bangkok in Thailandia e lavoro presso la MFL Foundation, la più grande impresa sociale del Sud-Est asiatico che ha fatto della global inclusion un modello di impresa, segnalato dalle Nazioni Unite come una buona pratica di innovazione sociale e di sviluppo sostenibile.

Mi è stato chiesto cosa suggerisce la nuova parola chiave Thrivability (Generatività di prosperità inclusiva). Forse per rispondere basterebbe elencare una ventina di parole chiave espresse da chi mi ha preceduto.

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Ma vorrei guardare a un nuovo orizzonte: vorrei contribuire alla riflessione di oggi aprendo una finestra sulla visione orientale delle sfide di global inclusion.

Come si può visualizzare in un’immagine di Ying-Yang (rischio = opportunità), viviamo un momento di straordinaria minaccia alle prospettive di progresso sostenibile e giusto dell’intera umanità; ma allo stesso tempo si presenta una grandissima e imperdibile opportunità di avviare buone pratiche di prosperità inclusiva.

Dato che l’umanità non ha messo a punto un sistema di governance dei rischi globali, che peraltro sono conosciuti da decenni, uno di essi -la pandemia- ha causato una distopia globale dell’intero bio-universo, un conflitto mondiale che ha sfondato le membrane cellulari dei polmoni dell’umanità, le frontiere tra i popoli, le ossature dei mercati diseguali, le porte delle case e delle nostre strade, dell’economia e della società.

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Il 23 Maggio scorso, oltre 400 scienziati italiani, tra i quali anch’io, hanno firmato una lettera aperta al Presidente della Repubblica e al Presidente del Consiglio con dieci azioni urgenti per un paese sostenibile. Molte di esse richiedono, oltre all’azione politica, anche una forte partecipazione popolare. Sono proposte che in parte può realizzare ciascuno di noi: un’evoluzione nell’agricoltura e nelle forme di alimentazione, incluso un forte taglio ai consumi di carne di allevamenti intensivi, città verdi, energie rinnovabili, riduzione delle emissioni di anidride carbonica e altri gas a effetto serra che causano il cambiamento climatico, turismo sostenibile, lotta all’inquinamento e prevenzione dei rischi per la salute, biodiversità e restauro ambientale, protezione e uso sostenibile delle risorse del mare e della pesca, ricerca e formazione, compresa una profonda riforma della scuola, innovazione verde per la sostenibilità e il benessere nell’industria, nei trasporti, nell’informazione, nell’economia e nelle finanze.

L’allarme suonato chiaro e forte dalla crisi epocale che stiamo vivendo sottolinea che “il tutto è superiore alla parte”. I beni pubblici globali sono più importanti di ogni preoccupazione parziale. Il papa ha citato questo principio nella sua enciclica Laudato si’ sulla cura della casa comune dove, parlando dell’ecologia integrale, afferma che si deve aver cura di tutto l’insieme dei problemi del mondo e non preoccuparsi solo degli animali o delle foreste amazzoniche, ma anche allo stesso tempo dell’uomo, del suo ambiente, dei suoi diritti, del lavoro, della pace sociale…:

«Oggi l’analisi dei problemi ambientali è inseparabile dall’analisi dei contesti umani, familiari, lavorativi, urbani, e dalla relazione di ciascuna persona con se stessa, che genera un determinato modo di relazionarsi con gli altri e con l’ambiente. C’è un’interazione tra gli ecosistemi e tra i diversi mondi di riferimento sociale, e così si dimostra ancora una volta che «il tutto è superiore alla parte» (Laudato si’ n. 141).

Mi pare un chiarissimo appello all’inclusione di tutte le parti in quel tutto globale che le comprende e permette la loro sostenibilità e comprensibilità come succede per ogni piccola tessera di un grande mosaico.

Il capitolo della Laudato si’ che ha per titolo “Il mio appello” è una chiamata all’azione. Forse il capitolo più importante dal punto di vista del che cosa fare adesso.

“Rivolgo un invito urgente a rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta. Abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale che viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti. Il movimento ecologico mondiale ha già percorso un lungo e ricco cammino, e ha dato vita a numerose aggregazioni di cittadini che hanno favorito una presa di coscienza. Purtroppo, molti sforzi per cercare soluzioni concrete alla crisi ambientale sono spesso frustrati non solo dal rifiuto dei potenti, ma anche dal disinteresse degli altri. Gli atteggiamenti che ostacolano le vie di soluzione, vanno dalla negazione del problema all’indifferenza, alla rassegnazione comoda, o alla fiducia cieca nelle soluzioni tecniche. Abbiamo bisogno di nuova solidarietà universale[…]“

“I talenti e il coinvolgimento di tutti sono necessari per riparare il danno causato dagli esseri umani alla creazione. Tutti possiamo collaborare alla cura della creazione, ognuno con la propria cultura ed esperienza, le proprie iniziative e capacità”. La prosperità inclusiva non è un obiettivo economico, né una strategia politica, è un processo continuo di cambiamento di mentalità sulla natura dei sistemi viventi e dei sistemi economici, che comincia dal riconoscere la loro completa interdipendenza globale.

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La prosperità inclusiva è un movimento globale in crescita, con appassionati sociologi, managers di impresa, psicologi ed economisti in tutto il mondo. La definiamo come l’intenzione e la pratica di allineare le organizzazioni sociali, lo stato, le imprese e l’economia al modo in cui le persone e le comunità prosperano se si integrano e includono i sistemi viventi.

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I sistemi viventi, compresa l’umanità e ogni sua forma di organizzazione, sono interdipendenti come le fibre di una palla di rattan: se si rompe una fibra la palla si sfascia e non si può più giocare. Come in cubo di Rubik, per completare l’immenso rompicapo globale con miliardi di interazioni, bisogna governare allo stesso tempo ogni pezzetto e finché anche un solo un pezzetto è lasciato indietro, tutto il resto rimane disordinato. E non dobbiamo nemmeno cadere nella tentazione di sistemare una faccia alla volta, come propongono alcuni ideologi politici, prima la pace, prima i partenariati imprese-terzo settore, prima l’ambiente, prima la produttività o la partecipazione popolare. Chi non lavora in modo inclusivo, sistemando allo stesso tempo ogni tessera dell’immenso mosaico si trova a dover poi rivoluzionare daccapo anche il lavoro già fatto

Secondo Jean Russell, la prosperità inclusiva trascende i modelli di sopravvivenza, sostenibilità e resilienza.

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Essa abbraccia tutto il flusso di crescita sostenibile come fonte di vita, gioia e significato della vita, si unisce al flusso e cavalca le sue onde, piuttosto che cercare di annullarne gli effetti. Ogni strato include e trascende anche il livello precedente, espandendo sia le interconnessioni che la consapevolezza del sistema, mentre ogni strato raggiunge nuovi limiti e scopre che ci sono più forze di quelle che possono essere spiegate all’interno della sua sfera di competenza. Inoltre, la capacità di crescita non è una progressione, in cui si deve sempre passare da una fase all’altra. Al contrario, è possibile avere aspetti dello sviluppo di ogni persona o organizzazione in vari punti della mappa della capacità di crescita e quindi la trasformazione verso la prosperità inclusiva può realizzarsi anche con diversi livelli di avanzamento nei suoi componenti http://thrivable.net/2013/02/resilience-aint-enough/

Grazie e spero re-incontrarvi presto online o di persona.

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*Senior adviser, Mae Fah Luang Foundation, Bangkok, Thailandia. www.sandrocalvani.it

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