Oltre il Covid-19, il futuro del welfare, il futuro del Paese

Riportiamo qui il testo dell’intervento del Presidente Bobba al terzo e ultimo incontro del ciclo “Oltre il Covid-19: il futuro del welfare, il futuro del Paese” che si è tenuto a Napoli il 18 maggio 2021. Promosso dalle ACLI provinciali di Napoli, i seminari hanno ospitato protagonisti delle istituzioni, del terzo settore, dell’università per fare il punto su come sarebbe cambiato il Paese quando fosse stata superata la drammatica fase emergenziale dovuta al Covid-19.

LUIGI BOBBA

È il padre del Codice del Terzo Settore. Dal 28 febbraio 2014 Sottosegretario di Stato al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nel I Governo Renzi e confermato il 29 dicembre 2016, nel I Governo Gentiloni Silveri. 

Dopo aver conseguito la laurea in Scienze Politiche presso l’Università di Torino nel 1979, ha esercitato l’attività di giornalista pubblicista, di ricercatore sociale ed è stato professore a contratto all’Università di Salerno nel 2002.

È animatore del Terzo Settore e protagonista della sua crescita. Partecipa alla creazione di Banca Etica, di cui è stato Vice Presidente dal 1998 al 2004. Ricopre il ruolo di Portavoce del Forum del Terzo Settore dal 1997 al 2000. Nelle ACLI assume prima la carica di Vice Presidente nazionale (1994-1998) e poi di Presidente (1998-2006).

Nei primi anni ’80 ha creato il Movimento Primo Lavoro ed è stato l’ideatore e il coordinatore di Job&Orienta, la manifestazione che si tiene dal 1991 ogni anno alla Fiera di Verona dedicata ai temi della scuola, dell’orientamento, della formazione e del lavoro.

È autore di numerose opere sui temi del lavoro, del welfare e della formazione, così come di numerosi articoli, saggi e pubblicazioni. 

Nelle elezioni del 2008, viene eletto alla Camera nelle liste del Partito Democratico dove ricopre il ruolo di Vice Presidente della Commissione Lavoro. Candidato alla Presidenza della Provincia di Vercelli per le Elezioni amministrative del 2011, diventa consigliere provinciale. Nella XVII Legislatura è stato rieletto Deputato, ed è stato membro della V Commissione Bilancio e Tesoro nonché della Commissione bicamerale per l’Infanzia e l’Adolescenza. Attualmente è presidente della Fondazione Terzjus. 

La pandemia è terminata, ma siamo ancora dentro questa vicenda che ci ha travolti nella vita quotidiana, travolti nel lavoro, travolti nelle relazioni fondamentali e altrettanto in quelle sociali e associative. Il rischio principale è rappresentato dal leggere questa situazione attraverso due immagini stereotipate.

La prima, quella nata all’inizio della crisi pandemica, per reagire un po’ alla situazione di paura e di incertezza, giacché non si sapeva a cosa si stava andava incontro, riassunta nello slogan “andrà tutto bene”, come a dire “in qualche modo cerchiamo di oltrepassare la crisi” senza andare a rivedere cosa questa metteva in discussione. E l’altra immagine “speriamo che presto tutto torni come prima”, come se il mondo di prima fosse il migliore dei mondi possibili e che la crisi pandemica fosse una semplice parentesi, una parentesi da rinchiudere per tornare a come eravamo. Né una né l’atra metafora possano darci la chiave per andare oltre questa crisi legata al Covid-19.

La prima perché è una metafora buonista ed eccessivamente ottimista, che non vede e forse non vuole vedere che dentro la crisi ci sono delle criticità e dei conflitti molto forti: pensiamo alla condizione dei soggetti più vulnerabili, agli anziani, al tema dell’occupazione (nonostante il blocco dei licenziamenti, si sono persi 444.000 posti di lavoro, in gran parte concentrati nelle fasce giovanili e tra le donne, un dato così evidente che non possiamo trascurare).  Pensiamo a come la solitudine, la mancanza di relazioni abbia colpito in modo preminente le persone con una qualche disabilità, con problemi di disagio, con qualche difficoltà perché non avevano sostegni, soprattutto di carattere familiare. Pensiamo al problema legato ai bambini, costretti in molti casi ad una forma di insegnamento a distanza, la cosiddetta D.A.D., che ha selezionato, a seconda delle condizioni di partenza delle famiglie, la disponibilità degli strumenti e delle connessioni, la cultura per poter non rinunciare ad un’educazione, ad un apprendimento, come elemento fondamentale per la crescita delle persone.

In questa pandemia ci sono state delle criticità forti che hanno ingigantito le diseguaglianze, tema che già condizionava fortemente la nostra società. Tema che rischia di essere un vero e proprio tarlo delle nostre comunità e anche della stessa convivenza democratica.

L’altra immagine usata, “torniamo come prima”, è invece un modo per dire che gli elementi che ci hanno portato ad evidenziare la crescita delle diseguaglianze e dei conflitti dentro la situazione pandemica, avevano già radici nel “come eravamo”. Elementi che non possiamo nascondere, ma dobbiamo portarli in emersione, perché questa “occasione” della crisi può essere occasione di trasformazione, se riusciamo a cogliere le opportunità che ci mette difronte, pur nella drammaticità della condizione di molti.

D’altra parte, questa criticità si è rivelata soprattutto nei legami associativi. Senza le relazioni, senza la costruzione delle reti comunitarie, del fare comunità perdiamo la nostra anima, la nostra missione. Ebbene, dentro la crisi ci siamo accorti di un dato, la relazione, che era la nostra risorsa, la nostra opportunità, la nostra potenzialità, è invece diventata un pericolo, un rischio, è diventato un elemento di inciampo.

Questo ci ha obbligato non solo a ripensare al nostro sistema di relazioni, ma anche ad utilizzare al meglio le potenzialità che le tecnologie ci danno per costruire delle relazioni che non sono così calde e intense come quando ci incontriamo per prendere un caffè insieme e scambiarci idee, pareri e battute, tuttavia ci consentono comunque di mantenere vivo un legame.

In questo momento c’è bisogno di ri-immergersi in una riscoperta dei valori fondamentali sui quali è costruita la nostra convivenza e sono costruite le nostre comunità.  Mi piace utilizzare la parola “ri-nascere”. Un pò come il viaggio controintuitivo che fanno i salmoni per depositare le uova, per generare, per dare vita nuova. Essi, anziché assecondare la corrente, vanno verso la foce, verso le origini, vanno verso la sorgente.

Allora, se la crisi è anche un’occasione per ritornare alla sorgente, per ritornare ai valori che riteniamo formativi per le nostre relazioni, per le nostre comunità, per il nostro fare sociale, evidentemente essa costituisce un’occasione da non buttare via.

Se non ci lasciamo imprigionare dalle due immagini “andrà tutto bene”, un ottimismo di facciata e buonista, e “torniamo presto come prima”, abbiamo però bisogno di immaginare, utilizzando un’espressione dello psicanalista Recalcati, abbiamo bisogno di “innamorarci di un futuro”.

Cosa significa innamorarci del futuro?  Significa che deve esserci qualcosa che ci proietti fuori di noi, che ci proietti fuori dalla crisi, che ci rimetta in gioco, che ci faccia tirar fuori il meglio dei nostri talenti per poter dare forma al futuro.

In tutto questo, cosa centra il Terzo Settore? Un libro dell’ex governatore della banca centrale indiana, Raghuram Rajan, intitolato “The third pillar”, il terzo pilastro, ha un sottotitolo ancora più esplicativo “La comunità dimenticata dallo Stato e dal mercato”. Raghuram Rajan scrive che una società non si regge unicamente sulle relazioni dello scambio, quelle del mercato, e sul comando della legge, lo Stato, ma si regge se c’è un terzo pilastro appunto, un Terzo Settore, che costituisce il tessuto connettivo delle relazioni comunitarie e sociali tra le persone.

Allora forse questa crisi e il Piano Nazionale per il Rilancio e la Resilienza, o mi piacerebbe dire “Piano per la Rinascita del Paese”, non possono dimenticare, ignorare o sottovalutare il terzo pilastro, il Terzo Settore, la comunità entro cui si svolge una parte importante della vita delle persone. Non può farlo poiché, altrimenti, il mercato subirebbe dei contraccolpi competitivi e lo Stato non riuscirebbe a stare dietro alla miriade di bisogni emergenti, largamente insoddisfatti (quanti ne abbiamo visti durante questa situazione di crisi).

La riforma che ha portato all’approvazione del Codice del Terzo Settore aveva queste intenzionalità politico-culturali ovvero riconoscere il “terzo pilastro”. Riconoscere nel senso che già esiste, non lo crea la legge. La legge semplicemente lo riconosce e cerca di potenziarlo, di valorizzarlo, di favorirlo. Di creare delle condizioni per cui quella rete di relazioni comunitarie possa rigenerarsi e possa essere una fonte di produzione di beni comuni, di bene comune. Se il terzo settore non resta rilegato in una nicchia, un pò funzionalistica o emergenzialista – ci si ricorda del Terzo Settore quando ci sono problemi ai quali nessuno sa come dare risposta oppure ci si ricorda del Terzo Settore quando si devono ridurre i costi dello stato sociale, usciamo da questa tenaglia – si può guardare al Terzo Settore come un fattore di trasformazione della vita delle nostre società.

Nel 2020, nell’ambito dell’incontro ad Assisi per il “The Economy of Francesco”, che ha visto la partecipazione di 2000 giovani economisti, il Papa ha usato parole che sono sembrate ad alcun quasi abrasive nei confronti del Terzo Settore. Invece, leggendole nel loro insieme, si percepisce come Papa Francesco voleva attribuire proprio alle organizzazioni del terzo settore il compito di affrontare strutturalmente, e non semplicemente di lenire i guai, gli squilibri che colpiscono le persone più escluse e con quest’opera un pò filantropica magari rischiare di perpetrare le ingiustizie che si vorrebbero contrastare. È una parola un po’ ruvida, come accade ad un Papa che ci dà sempre qualche salutare “pugno nello stomaco”, perché ci obbliga a pensare e a riflettere, ma non è di certo una negazione del ruolo cruciale del terzo settore nella generazione di una società dove questi squilibri vengano combattuti e superati.

Il Piano Nazionale per il Rilancio e la Resilienza, è un’occasione assolutamente unica e straordinaria, grazie alla quale avere a disposizione, nel giro di cinque anni 209miliardi di euro, di cui due terzi in prestito e un terzo a fondo perduto. Esso può effettivamente essere un volano per questa trasformazione.

Allo stesso tempo potrebbe, invece, essere un’occasione persa, rimanendo legati alle contraddizioni e all’incapacità di innovare delle nostre società. Innanzitutto, questo piano non deve  rinchiudere il terzo settore in una nicchia, come se fosse solo legato alla dimensione dello stato sociale, che certo è un elemento importante. Il terzo settore agisce in modo trasversale perché agisce nel campo della cultura, nel campo della sostenibilità, nel campo dell’inclusione lavorativa, nel campo del superamento del digital divide una trasversalità che attraversa un pò tutti i campi di azione della nostra società.

Primo approccio corretto è quello di avere uno sguardo di insieme, diverso dall’approccio utilizzato nei diversi provvedimenti emergenziali a cui abbiamo assistito in questi mesi. Occorre poi, per affrontare questo cambiamento, vedere il terzo settore come un generatore, un produttore di beni comuni: un capitolo importante della riforma è rappresentato dai rapporti della pubblica amministrazione con gli enti del terzo settore.

Il giudice Luca Antonini, che ha stilato la sentenza della Corte Costituzionale n. 231 del giugno 2020, ha individuato un punto cruciale quando ha detto che tra Pubblica Amministrazione e gli enti del terzo settore non c’è un controinteresse, ma c’è una comunione di scopo: entrambi, pure essendo un soggetto pubblico e un soggetto giuridicamente privato, perseguono un interesse generale. L’art. 118 della Costituzione prevede che lo Stato, le amministrazioni, hanno il compito di favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, la sussidiarietà, la capacità di agire con libertà per qualche buona causa, nello svolgimento di attività di interesse generale, cioè di attività che non sono rivolte ad interessi privati o ai pochi, ma sono rivolte a interessi pubblici e ad una dimensione comunitaria.

Un punto chiave nella gestione delle procedure e degli affidamenti che si dovranno fare per gestire queste numerose risorse è rappresentato da una piccola rivoluzione: non è il codice degli appalti che deve regolare il rapporto tra pubblica amministrazione ed enti del terzo, è il codice del terzo settore, cioè la capacità, quindi, di co-programmare, di co-progettare, di costruire qualcosa che ha un fine comune. Poi ciascuno metterà la sua capacità, le sue competenze e le sue risorse. L’amministrazione sicuramente dovrà gestire le procedure con evidenza pubblica e secondo il criterio della trasparenza.

Tutto questo rappresenterebbe una rivoluzione culturale. Il Piano Nazionale per il Rilancio e la Resilienza potrebbe essere un’occasione straordinaria per mettere alla prova gli enti del terzo settore e mettere alla prova un’innovazione forte nella pubblica amministrazione.

Che fine faranno le associazioni? Che potenzialità possono svolgere queste reti associative e comunitarie? Le associazioni hanno davanti a loro una duplice sfida. Da un lato quella di “tornare alle origini”, sentirsi parte della comunità e soprattutto sentirsi uno strumento di servizio di inclusione dei cittadini più deboli. Esse hanno il compito di mettere in campo tutte le risorse che sono in grado di mobilitare, non aspettando qualcuno che dia l’input, ma, secondo il principio di sussidiarietà, di fronte ai bisogni organizzare le risposte.

Durante questa pandemia avevamo di fronte i bisogni, le difficoltà delle persone più deboli, eravamo spinti dalla nostra natura e dai nostri valori, dalla nostra missione, a intervenire, non disinteressandoci delle regole, ma neanche ingessandoci in una dinamica meramente legalistica. Le persone, la vita vengono sempre prima delle regole e della legge. Se le ignoriamo tradiamo la nostra missione. Inoltre, dobbiamo immaginare di costruire una capacità di progettare risposte nuove ai problemi che sono venuti emergendo o meglio, esplodendo con questa crisi. Durante i primi mesi di pandemia mi telefonò una persona che avevo avuto il piacere di conoscere quando ero Presidente delle Acli perché aveva avuto questa intuizione: quella che si potesse utilizzare uno strumento che le Acli conoscono bene, quello del Servizio Civile per mettere in campo delle risorse dei nativi digitali per venire incontro ai bisogni delle famiglie con bambini più disagiati, “tagliati fuori” da quel diritto fondamentale che è il diritto all’educazione e il diritto all’istruzione. Si potrebbe quindi immaginare una forma originale di servizio civile che faccia leva sulle potenzialità e sulle capacità dei più giovani, che sicuramente hanno un rapporto più “amichevole” con le tecnologie, che si metta al servizio delle persone più in difficoltà e per rendere esigibile un diritto, quello all’istruzione per tutti.

Seguendo questa strada, sicuramente non facile, insieme ai tanti provvedimenti, necessari e giusti che sono stati presi, occorrerebbe mettere in capo qualcosa di più strategico, che guardi un pò più lontano, valorizzando quelle forme di imprenditorialità sociale che sono quelle che hanno dimostrato di reggere meglio il momento della crisi, di continuare a includere le persone più in difficoltà, di avere un fondo strategico perché queste realtà sappiano anche innovare, cioè tenersi al passo con i cambiamenti che il mercato e le attività produttive richiedono. Quindi, anziché tanti piccoli interventi servirebbe qualcosa che abbia questa visione strategica.

Negli anni scorsi, in Lombardia, è stato sperimentato il così detto “fondo Jeremy”: se uno investiva 10 euro in un’impresa sociale, l’attore pubblico ci metteva altrettanto in termini di capitale sociale. Se si scommette su un’idea che ha un valore economico produttivo ma che genera anche valore sociale, io, soggetto pubblico, scommetto con te con un intervento concreto.

Negli ultimi anni il Governo italiano non ha risposto in modo adeguato alle sollecitazioni della Commissione Europea. Il Commissario Nicolas Smith ha avuto una delega a costruire un action plan per l’economia sociale di prossimità, cioè ad avere un quadro strategico di riferimento su come gli attori del terzo settore contribuiscono al rilancio, attraverso quella componente di economia sociale di prossimità che si sta rivelando un elemento portante delle nostre realtà. Il Governo Italiano non ha neanche risposto alla lettera inviata alle ex-Ministre Catalfo e Bonetti e oggi il tema è importante.

Questa pandemia porta con sé molti motivi di preoccupazione e di ansia, ma ci sono anche motivi di speranza e di opportunità. Dobbiamo saper governare le preoccupazioni, non lasciandoci travolgere e soprattutto cogliere le opportunità per il nostro futuro e per il nostro futuro insieme.

Durante questa pandemia il Papa ha scritto un’enciclica “Fratelli tutti” che ha un interessante sottotitolo: “Lettera enciclica sulla fraternità e sull’amicizia sociale”. In genere, quando si parla di amicizia si pensa ad una questione personale, ma la fraternità ha come elemento basilare proprio l’amicizia sociale cioè il riconoscere che nell’altro c’è qualcosa di importante.

Ne “Il Visconte dimezzato”, opera del grande letterato Italo Calvino, il visconte che viveva sugli alberi riconosce che nel costruire e fare insieme con le persone si tira fuori non solo il meglio di se stessi, ma anche il meglio dagli altri e che, invece, se si sta isolati, gli uni contro gli altri, si è sempre pronti a “mettere mano alla spada”, a difendersi.

L’amicizia sociale deve essere oggi l’ispirazione che ci deve guidare, avendo due attenzioni, quella di “far lavorar le mani”, far sì che la linea che parte dal cuore e arriva alle mani, la capacità trasformativa e di affronto dei bisogni non si spenga della sua energia e non pensare che tocchi a qualcun altro affrontare i problemi.

E poi, quella di avere un’attenzione per l’innovazione, cioè avere attenzione per ciò che ancora non c’è, ma che intuiamo che potrebbe diventare. Ci sono tanti punti di snodo dove l’innovazione richiede un’iniziativa, non ci viene addosso. Gli strumenti per utilizzarla ci sono ma se non c’è anche una capacità di intraprendere da parte dei soggetti sociali, uscendo un pò anche dai loro schemi antichi e passati, c’è il rischio che l’immolazione corra da altre parti, perché il mondo comunque è in continuo cambiamento. Se viene meno questa anima sociale e solidale delle nostre comunità c’è un impoverimento che riguarda tutti, ma in particolare i soggetti più vulnerabili.

Se ci ispiriamo a quell’enciclica che ha anche un forte valore politico e che ci mette sotto gli occhi, già dai primi capitoli, gli elementi che sono difficili da accettare, ma sono la realtà del mondo. Poi, ci offre anche l’indicazione di una prospettiva e anche degli strumenti possibili. Abbeveriamoci da questa enciclica del Papa perché aiuti anche noi nel fare meglio il nostro antico ma sempre nuovo mestiere.

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Giovedì 10 agosto alle ore 17 a Cogne (Ao) presentazione del libro “Impronte” di Ornella Grazio

Giovedì 10 agosto alle ore 17 sulla terrazza dell’Albergo Belvedere alla frazione di Gimillan di Cogne (Ao) verrà presentato il libro di Ornella Grazio Impronte. Poesie e racconti (Gallo Editore, Vercelli, 2023).
Il libro è dedicato in particolare all’ambiente montano di Cogne, a Gimillan, alla sua gente, alle sue fontane. E non solo. Le poesie evocano il mondo dell’Autrice, i suoi affetti, i luoghi visitati e temi a forte valenza sociale oltreché spirituale.
Condurrà l’incontro Luisa Vuillermoz, Direttrice della Fondation Grand Paradis e interverrà Gianni Nuti, Sindaco di Aosta.
La presentazione del volume sarà aperta dal saluto del Sindaco di Cogne, Franco Allera.
Sarà presente l’Autrice.

Al termine, aperitivo di solidarietà: le offerte raccolte e il ricavato dalla vendita del libro saranno interamente devoluti a sostegno della scuola professionale “Estrela do mar” di Inhassoro in Mozambico.
Info 347 1513947

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La Estrela do Mar cuore pulsante del Mozambico

[articolo pubblicato su Corriere Eusebiano del 15 aprile 2023, pag.12]

Alla metà di febbraio è cominciato l’anno scolastico 2023 ad Inhassoro in Mozambico, dove sono attive sia la Estrela do Mar – Istituto Tecnico industriale nato nel 2014 per iniziativa delle Acli sia il Liceo S.Eusebio, avviato nel 2020. Entrambe le istituzioni scolastiche sono sotto la responsabilità di Padre Geremia, il parroco di Inhassoro che ha preso il testimone nel 2020 dai nostri missionari vercellesi don Pio Bono e Caterina Fassio. Poche settimane dopo l’avvio delle lezioni, il Distretto di Inhassoro è stato investito da violenti piogge. Fortunatamente, si sono registrati solo alcuni danni di modesta entità alle strutture del Centro giovanile della Parrocchia e in alcune aree esterne alla scuola stessa. Ora l’attività formativa procede a pieno ritmo ed è possibile fare un sintetico bilancio dell’anno scolastico 2022 e indicare le prospettive per il 2023.

L’Istituto Tecnico Industriale è stato frequentato nel 2022 da  360 studenti, di cui 114 donne distribuiti nei tre corsi di qualifica: 76 in Contabilità;134 in meccanica industriale e 150 in Elettricità industriale. L’Istituto si avvale di 25 formatori sotto la guida del direttore pedagogico Celso Guissemo. Nello scorso mese di settembre, l’Istituto ha partecipato  alla “Settimana dell’Istruzione tecnica” mettendo in evidenza le proprie potenzialità formative e produttive di fronte alle aziende invitate alla sessione inaugurale. Questa settimana è stata anche l’occasione per confermare o avviare nuovi partnerariati con le aziende che poi ospiteranno i tirocinanti dell’Istituto per un periodo di stage formativo e di lavoro. Sono 13 le aziende che accolgono gli studenti della Estrela do Mar. L’Istituto poi svolge altresì gli esami di ammissione dei propri studenti che vogliono iscriversi  all’Istituto Politecnico Superiore di Songo , dove si tengono corsi universitari di Ingegneria. Una opportunità per gli studenti della Estrela do Mar di proseguire, dopo il diploma tecnico, gli studi universitari. Grazie al sostegno della Ong “Giving Genie”, sono state attribuite 17 borse di studio agli studenti più svantaggiati, onde consentire loro di mantenersi agli studi.

Ma il progetto più impegnativo realizzato dall’Istituto a favore degli studenti del Liceo S. Eusebio riguarda la possibilità di poter accedere  ad una formazione professionale di base aggiuntiva alla formazione scolastica  dei primi tre anni della scuola secondaria. Grazie alle risorse erogate dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Vercelli e a quelle delle Acli di Vercelli e nazionali,  sono stati realizzati nella seconda parte del 2022, tre corsi di formazione professionale di breve durata nei settori dell’Elettricità, della Riparazione di piccoli elettrodomestici  e di Taglio e cucito. Complessivamente hanno partecipato 71 studenti di cui 21 donne, suddivisi nei tre diversi corsi. Una scelta che è stata molto apprezzata dalle famiglie e dalla comunità di Inhassoro e che sarà ripetuta anche nel corso del 2023. Le adesioni ai corsi – quest’anno ci sarà anche quello di tecniche di base di saldatura – sono ormai più di 200 e non sarà facile poter soddisfare la domanda che proviene dai ragazzi del Liceo S.Eusebio. Questa giovane istituzione scolastica – sempre insediata nelle strutture della Estrela do Mar – ha visto nel 2022  una presenza di 705 studenti divisi in 17 classi. Per il 2023 la domanda è cresciuta fino ad arrivare – per i primi tre anni di scuola secondaria – a  971 studenti divisi in 22 classi  su due turni: mattutino e pomeridiano. Una crescita impetuosa che rivela la prorompente domanda di istruzione dei giovani del Distretto di Inhassoro e l’attrattività del complesso scolastico della Estrela do Mar. 

Anche per l’Istituto tecnico si registra per il 2023 un incremento di 125 matricole che porta gli studenti nei tre corsi di qualificazione a quasi 400. Il direttore, Celso Guissemo è impegnato a mantenere in buono stato le qualificate attrezzature tecniche  presenti nei diversi laboratori, fornire assistenza per i corsi di formazione professionale di breve durata, cercare finanziamenti per nuovi progetti  e preparare l’Istituto ad utilizzare  le energie rinnovabili. Nel frattempo, la Estrela do Mar potrà avvalersi di laboratori attrezzati  per la saldatura che l’azienda “Sasol” ha lasciato in dono alla Estrela do Mar in forza di un accordo sottoscritto ancora con don Pio Bono nel 2019. Sfide impegnative che le Acli di Vercelli, attraverso Ipsia Odv Vercelli  e le Acli nazionali vogliono continuare a supportare in quanto credono alla leva strategica della formazione come volano dello sviluppo di quel territorio e occasione di qualificazione dei giovani del Distretto di Inhassoro.

Luigi Bobba

qui il pdf dell’articolo

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Odontoiatria ed igiene dentale solidale: realtà e prospettive

ODONTOIATRIA SOLIDALE

31 marzo 2023

Aula Magna Ospedale Sant’Andrea, Vercelli

15.00 Registrazione

Moderatrice: Fulvia Milano, Direttrice Sanitaria ASL VC

15.15 Saluti autorità
Eva Colombo, Direttrice Generale ASL VC
Chiara Caucino, Assessore Regionale alla Famiglia, Regione Piemonte
Monsignor Marco Arnolfo, Arcivescovo di Vercelli
Virginio Bobba, Presidente Regionale ANDI
Aldo Casalini, Presidente Fondazione CRV
Luigi Bobba, Presidente Fondazione Terzjus

16.00 La nuova Legge sulla Odontoiatria Solidale in Piemonte
Alessandro Stecco, Presidente IV Commissione Sanità Regione Piemonte

16.30 Attività di solidarietà in Piemonte
Don Bruno Capuano, Direttore Pastorale della Salute

17.00 I diritti normativi del malato odontoiatrico e il possibile contributo dal mondo del terzo settore
Enrico Montefiori, Consulente giuridico-amministrativo

17.20 Aspetti odontoiatrici nei soggetti in condizione di vulnerabilità sociale
Vincenzo Rocchetti, Direttore S.C.D.U Odontostomatologia ASL VC

17.40 Il ruolo dell’igienista dentale nella nuova legge Regionale: prevenzione ospedaliera e nelle scuole
Andrea Melle, Igienista dentale e tutor clinico S.C.D.U Odontostomatologia ASL VC

18.00 Il malato odontoiatrico diversamente abile
Sen. Antonio Guidi, Neurologo, già Ministro per la famiglia e la solidarietà sociale

18.30 Tavola Rotonda (Question Time)
Eva Colombo, Alessandro Stecco, Enrico Montefiori, Virginio Bobba, Alberto Libero, Vincenzo Rocchetti, Antonio Guidi

19.00 Questionario ECM

Chiusura lavori

 

 

 

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So.M.S e Pro Loco di Cigliano in aiuto ai terremotati della Siria e della Turchia

Raccolti più di 800 euro  durante le iniziative del Carnevale e della cena sociale della So.M.S. del 25 marzo

So.M.S  e Pro Loco di Cigliano, durante le iniziative legate al Carnevale e alle proprie attività sociali e culturali, non hanno voluto dimenticare il dramma del terremoto che ha colpito il popolo turco e quello siriano.

Per questo, durante le iniziative promosse in occasione del Carnevale e durante la tradizionale cena sociale della So.M.S, è stato chiesto ai partecipanti di dare un proprio contributo a favore di persone e famiglie che hanno perso tutto e versano in condizioni di grave bisogno.

Sono stati così raccolti più di 800 euro che saranno versati al Sermig Arsenale della Pace di Torino che ha lanciato un raccolta di aiuti economici, che sono lo strumento piu’ efficace  per gestire i primi interventi. I fondi raccolti serviranno  a sostenere la rete di aiuti  gestita dal Vicariato dell’Anatolia nella persona del Vescovo Paolo Bizzetti, con sede nella città di Iskenderun, l’antica Alessandretta.

Sul fronte siriano invece, i fondi arriveranno alla realtà della Custodia della Terra Santa che opera ad Aleppo, città gia duramente colpita dalla guerra e che ora si trova a fare i conti con questa nuova ondata di distruzione.

I presidenti della So.M.S, Luigi Bobba, e della Pro Loco, Enzo Autino, ringraziano tutti coloro che hanno voluto aderire a questa iniziativa di solidarietà.

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Dopo un terribile anno di guerra. Politica smetti di suicidarti

di Marco Tarquinio

pubblicato su Avvenire venerdì 24 febbraio 2023

Un anno intero è passato, anzi è finito, anzi è stato finito, letteralmente fatto a pezzi nelle terre orientali d’Europa. Un anno intero di tradimenti, di guerra e di propagande di guerra. Quella russa di Vladimir Putin, innanzitutto, ma non di meno quella d’Occidente. E non si può tacerlo, perché è vero che chi aggredisce ha sempre torto, terribilmente più torto di tutti, ma è altrettanto vero che chi doveva custodire l’aggredito, e non l’ha fatto, non ha ragione.

È ciò che succede quando la politica si suicida e cede il passo alla guerra, che della politica – checché ne dica qualche gran generale del passato e più di un Solone del nostro presente – non è la continuazione, ma l’abdicazione. La guerra è radicale e assassina rinuncia alla politica. E, sì, della politica è il suicidio. Soprattutto oggi, soprattutto nel nostro complicato eppure ancora benedetto pezzo di mondo – temperato, bianco, nordico, istruito, supertecnologico, ma con sempre meno croci e meno lumi. Sì, la guerra è suicidio della politica soprattutto qui, in questo vecchio continente che amiamo e chiamiamo Europa, dove per decenni abbiamo tenuto in piedi e alimentato il più grande e pacifico laboratorio di integrazione delle differenze (e delle storiche inimicizie) e ci siamo illusi, e detti, e ripetuti di aver tutto capito e tutto sistemato, sposando il mercato e lo stato sociale, restando separati ma facendo crescere la sensazione (e la pratica) dell’assenza tra noi (solo tra noi, e tra noi e altri “ricchi”) di confini. E invece eccoci a ballare come mai prima sull’orlo dell’abisso della guerra totale, per una storia di confini armati, etnico-identitari ed esclusivi, tra crudeltà primonovecentesche, incubi digitali e atroci spettri nucleari. E rieccoci, volenti o nolenti, noi europei, tutti iscritti al club degli omicidi-suicidi bellici. Senza scuse, perché non possiamo fingere di non sapere che siamo nell’era in cui le guerre le vincono – almeno per un po’, e col rischio non solo teorico di finire in massa nell’inferno atomico – solo quelli che le tengono ben lontane da casa, le armano guadagnandoci in soldi e dominio e, soprattutto, le fanno con i petti degli altri.

Altri che stavolta sono soprattutto gli ucraini, i più assassinati di tutti e da tutti. Da chi li bersaglia con ferocia da Oriente, ma anche da quelli e quelle (che delusione le troppe donne della politica suicida d’Europa…) che continuano a spiegare che loro, gli ucraini, gente soda e di contadina saggezza, questa guerra la vogliono.

Disperatamente la vogliono. Con tutte le forze la vogliono. E la vogliono fare sino in fondo. E tutti comprendiamo la rabbia e l’orgoglio che animano la resistenza in armi di tanta gente d’Ucraina, ma troppo pochi tra noi – e specialmente tra chi ha potere e dovere – vedono e aiutano a comprendere che il “fino in fondo”, non è il trionfo che non ci sarà per nessuno, né per l’aggressore né per l’aggredito, ma è la vita perduta. La vita di centinaia e centinaia di ucraini, soprattutto giovani, inceneriti ogni giorno, senza tregua, nella fornace atroce dello scontro, che da un anno è veemente e tremendo e per altri otto anni è stato orribile e sordo.

Sì, si sta suicidando l’Europa comunitaria, ridotta a terreno e retrovia di battaglie che non doveva far ingaggiare, a selettivo campo profughi (bianchi e scuri di pelle non sono uguali), a supermarket di armamenti di vecchia e nuova fattura e addirittura, persino con le migliori intenzioni, a sterile e disciplinato battutificio guerrafondaio.

Sì, si sta suicidando la Russia di un non più nuovo ma più arrogante e spietato “zar” che vuol mettere nel cuore di un nuovo ordine globale il suo Russkij Mir, il mondo russo, e che torna ad arruolare i Patriarchi, che imbavaglia e soffoca ogni opposizione anche se non riesce a spezzarne del tutto la voce, che manda al macello e trasforma in macellai i figli più poveri del suo stesso multinazionale popolo e che impedisce persino di vedere ciò che la guerra che ha iniziato di nuovo, e di cui è indubitabilmente primo responsabile, fa anche alla sua gente.

Ne usciremo ancora vivi, se sapremo fermarli e se sapremo fermarci, fermando il massacro. Ne usciremo con l’umiltà di riconoscere la sconfitta che è la guerra. E con l’umiltà di ammettere che le armi non salvano, ma ammazzano e distruggono. Ne usciremo con l’umiltà di chinarci sulle ferite e sui sentimenti delle vittime, tutte, quale che sia la bandiera sotto alla quale vengono schierate a battaglia o trasformate in bersaglio. Ne usciremo se smetteremo di uccidere i morti, secondo il canto straziato di Ungaretti nel cuore crocifisso del Novecento. E smetteremo di ucciderli, i morti, se cominceremo a costruire la pace già rinunciando a esibirli per giustificare ogni azione e ogni maledizione che portano ad accumulare più morti ancora. L’antidoto alla guerra è la politica. Sembra che oggi lo sappiano ricordare e tentare soprattutto gli uomini di Dio, come papa Francesco e il cardinale Zuppi, e quelli senza reggimenti, come il segretario generale dell’Onu Guterres, e quelli senza “blocco”, come il presidente del Brasile Lula. Europa, che cosa farai davvero per la pace, per te stessa e non solo per te stessa?

 

Luigi BobbaDopo un terribile anno di guerra. Politica smetti di suicidarti
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Arturo Parisi: “Due ex Dc stanno riportando il Pd alla Livorno del 1921”

L’intervista di Eleonora Capelli a uno dei padri dell’Ulivo: “Questa costituente è un gran pasticcio, ma non posso disinteressarmene”, La Repubblica del 21 dicembre 2022

“Stanno riportando il Pd nella casa le cui fondamenta sono state messe a Livorno nel 1921, questa costituente è un gran pasticcio. Ma il partito è come un figlio: anche se tentato, non posso abbandonarlo alla sua sorte”. Arturo Parisiè davvero uno dei padri dell’Ulivo e del Pd. Prodiano, classe 1940, in gioventù dirigente di Azione Cattolica, è stato professore di sociologia, ha diretto il Cattaneo e fatto parte del Mulino. È stato in parlamento per 4 legislature e ha avuto il ruolo di sottosegretario alla presidenza del Consiglio con il premier Romano Prodi. Oggi non può restare indifferente di fronte al disagio espresso dagli ex Popolari come Pierluigi Castagnetti, che minacciano di lasciare il partito. E così interviene nel  dibattito sulla crisi del centrosinistra che prosegue sulle pagine di Repubblica e sul nostro sito.

Parisi, come giudica l’attuale fase costituente del Pd, soprattutto in merito al fatto di rimettere in questione i valori di fondo, anche dopo le parole di Castagnetti sul disagio in cui si può trovare una parte dei fondatori?
“Già parlare di “costituente” per un partito che risulterebbe “costituito” oramai da quindici anni definisce il problema che l’iniziativa perseguita da Letta ha aperto al Pd. Valori di fondo, manifesto, sono infatti parole che trovano il loro senso, o invece non ne hanno alcuno, se si ricorda che il cosiddetto Congresso in corso non è il Congresso del Pd ma occasione per la fondazione di un nuovo partito. Un partito figlio dell’unione del vecchio Pd e di Articolo Uno, il partito politico costituito cinque anni fa da D’Alema e Bersani e che ha come segretario Speranza. Un nuovo partito figlio del ritrovamento, uso le parole che sento usare, di una “comunità” che allora si era divisa nei due diversi e, per qualche tempo, contrapposti partiti e che ora si ricongiunge. Detto questo, aggiungo che l’iniziativa di Letta è stata non solo approvata con atti formali dagli organi del Pd, ma acclamata all’unanimità come è uso consolidato del partito. E per ognuna di queste proposizioni aggiungo: purtroppo”.

Quindi secondo lei questo nuovo partito che sta nascendo in qualche modo si allontana dagli assunti originari del Pd?
“Fondato com’è sul ritrovarsi della “comunità” di quella sinistra che si sente originata a Livorno dalla secessione comunista dal Partito Socialista, il nuovo partito è l’antico partito che certo si apre a nuovi apporti come è capitato altre volte nella storia del comunismo italiano. Ma sulla porta della casa, al di là della targhetta, torna a leggersi un nome figlio di una storia con non poche pagine gloriose, ma una storia che la fondazione del Pd intendeva superare per aprire una storia nuova. Una storia nuova figlia di un nuovo inizio, non la continuazione di una passata, né la semplice somma di storie tra loro non solo diverse ma orgogliosamente contrapposte”.

Quindi per il Pd il tentativo di unire le due culture per una sintesi originale è fallito, secondo lei?
“Fallito? Chi avrebbe mai scommesso un centesimo sul fatto che a promuovere un nuovo partito nel quale potesse ritrovarsi la “comunità” della antica sinistra sarebbero stati due democristiani come Letta e Franceschini, con l’apporto, almeno ma non solo a Bologna, di un democristiano orgoglioso come Casini? Certo una cosa è comporre gli organigrammi sommando le componenti. Tutta un’altra sommare le cosiddette culture. Ed è soprattutto un’altra farlo tra la gente, combinandole e aprendole agli apporti crescenti che non hanno mai avuto niente a che fare con nessuna delle due componenti. Se il Pd è fallito, aggrappato all’ottimismo della volontà aggiungo, finora, è stato proprio perché a chi immaginava un partito figlio di una sola storia, si sono affiancati quelli che hanno pensato di risolvere il problema raccontandolo come figlio della somma di due componenti figlie di storie diverse. Messo così, invece di migliorare, il problema si è aggravato. Non è aggiungendo sui muri delle vecchie sezioni tra le gallerie dei ritratti il volto dolente di Moro che si risolve il problema. E neppure evocando Zaccagnini tra i giusti assieme a Berlinguer si garantisce la giustezza del partito”.

Vuol dire che tre democristiani stanno riportando la sinistra a Livorno, cioè al 1921 quando è nato il partito comunista?
“Lasciamo da parte il mitico Casini che si è solo accodato alla fine. E diciamo meglio: stanno riportando il Pd nella casa le cui fondamenta sono state messe a Livorno. Non è peraltro una idea originale”.

Cosa pensa del comitato degli 87 o forse degli 85, visti i primi addii?
“Quello che ho detto. Mi sembra un gran pasticcio. A meno che lo si riconosca come il “comitato costituente” di un nuovo partito, chiamato come minimo a correggere una partenza sbagliata, e per questo motivo guidato come “garanti” alla pari da Letta e Speranza, segretari dei due partiti promotori. Non è un caso che Zanda abbia giustificato le sue dimissioni proprio col fatto di “non aver condiviso la scelta di chiamare costituente quella commissione di lavoro in cui era stato inserito”.

Lei a questo punto non si sente più rappresentato dal partito?
“Io penso che i partiti, nella misura in cui sono democratici, non sono nostri padri, ma nostri figli. Soprattutto chi ha la responsabilità di aver contribuito a metterli al mondo, anche se tentato dall’abbandonarli ad un destino che sembra fatale, non può disinteressarsi della loro sorte”.

Luigi BobbaArturo Parisi: “Due ex Dc stanno riportando il Pd alla Livorno del 1921”
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Auguri di buon Natale e felice anno 2023

Quando si scrive un messaggio di augurio, non è facile trovare parole che non siano retoriche o di circostanza. Ma ugualmente voglio raggiungervi con un breve pensiero augurale. Perché il Natale – segno di una nuova nascita -, ci ricorda che nella vita niente è dovuto e tutto è donato. Un caro augurio anche per l’arrivo ormai imminente nel nuovo Anno, nella speranza di poter “ricominciare” insieme.
Luigi Bobba

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Luigi Bobba su «Avvenire», Mozambico, lavoro e formazione: la lezione di Inhassoro

L’idea di avviare una scuola professionale era stata di un missionario italiano, don Pio Bono, “fidei donum” della diocesi di Vercelli, con alle spalle già 30 anni di presenza in Kenia e che dal 2000 si era insediato in una parrocchia lasciata dai missionari della Consolata a causa della sanguinosa guerra civile, conclusasi poi con gli accordi di pace firmati a Roma alla Comunità di S. Egidio.

Don Pio mi interpellò – ero allora presidente delle Acli – per chiedere un aiuto nel costruire una scuola professionale. Conosceva infatti l’esperienza italiana dell’ENAIP – l’ente di formazione professionale promosso dalle Acli – e riteneva necessario offrire una possibilità di formazione al lavoro per tanti giovani del posto che non avevano altra alternativa che emigrare in Sudafrica per lavorare in miniera o dedicarsi alla pesca o ad una povera agricoltura di sussistenza. Fu l’occasione per celebrare in modo non retorico i 50 anni di fondazione dell’ENAIP, che ricorrevano proprio nel 2002. Grazie al contributo dell’8 per mille della Chiesa cattolica e al sostegno dei soci delle Acli (dedicammo 0.50 euro del costo di ogni tessera a questo progetto), in meno di due anni i primi edifici della scuola furono pronti, insieme ai laboratori di sartoria e di falegnameria. Così, con l’anno scolastico 2014 partirono i primi due corsi con circa 125 studenti. Poi, poco per volta la scuola è cresciuta. Sono stati attrezzati altri due laboratori di elettricità e di meccanica e installata un’aula computer, allora l’unica in tutto il distretto di Inhassoro. Grazie a questi nuovi laboratori, i corsi professionali diventarono quattro e gli allievi circa 400. Le competenze, che le ragazze e i ragazzi stavano acquisendo, erano essenziali per lo svolgimento dei mestieri di base in una comunità interessata da un primo sviluppo economico locale. Poi nel 2009, l’incontro con una Ong italiana, il Celim, che disponendo di un finanziamento della Cooperazione del Governo italiano, decise di inserirsi nella struttura della Estrela do mar, costruendo un moderno laboratorio di cucina. Partì così anche un quinto corso di Hotellerie e turismo, nonché un sesto corso di contabilità. Il Celim realizzò, sempre ad Inhassoro – proprio in riva all’Oceano Indiano –, anche un piccolo ma grazioso resort – Hotel Estrela do mar– diventato poi la struttura dove gli studenti potevano svolgere dei tirocini professionali. Dunque la scuola si andava affermando come una piccola ma qualificata leva di sviluppo locale, oltreché come struttura formativa sempre più apprezzata non solo nel distretto di Inhassoro ma anche in tutta la Provincia di Inhambane. Gli studenti erano ormai più di 600 e nel 2011 la Estrela do marottenne il riconoscimento come seconda miglior scuola professionale del Mozambico. Quello che sembrava un sogno, pur tra mille difficoltà, era diventato una realtà concreta e un’opportunità di buona formazione per tanti giovani mozambicani. Si tratta di una “scuola comunitaria” che opera sotto la responsabilità della Diocesi di Inhambane (a cui le Acli hanno donato l’edificio e i laboratori) ed è regolata ai sensi di un’intesa tra la Chiesa cattolica e il governo Mozambicano. La direzione della scuola è di competenza della Diocesi (il direttore fino al 2019 è stato il missionario don Pio Bono e ora, invece, il nuovo parroco di Inhassoro, p. Geremia dos Santos Moses); il governo assicura il pagamento degli insegnanti, del direttore pedagogico aggiunto e del personale di segreteria. Le Acli, fin dall’inizio, oltre ad aver contribuito alla costruzione di 35 aule e all’allestimento di cinque laboratori, non hanno mai fatto mancare il loro sostegno per la manutenzione e l’aggiornamento dei laboratori, per il pagamento del personale non insegnante e per i costi del materiale di consumo mediante una quota annuale del 5 per mille, con l’opera qualificata di formatori dell’Enaip, con l’appoggio della propria ong Ipsia. Fondamentale è stato (è lo è ancora) il sostegno di Ipsia Vercelli ODV, della Fondazione Cassa di Risparmio di Vercelli che da dieci anni eroga un contributo finanziario, dei molti volontari che hanno prestato gratuitamente la loro opera, dei ragazzi in Servizio civile che si sono succeduti dal 2009 ad oggi (salvo per il periodo della pandemia) e dei tanti anche che hanno fatto donazioni. È grazie a loro che il sogno, nonostante le molte difficoltà, non si è infranto e che ora più di 1000 ragazzi e ragazze hanno un’opportunità di formazione secondaria e professionale. Nel frattempo, a partire dal 2015 sono intervenute importanti novità che hanno accresciuto la capacità della scuola di attrarre studenti anche da province limitrofe e ampliato e diversificato l’offerta formativa. Infatti, dal 2015, la scuola professionale è stata riconosciuta come “Istituto tecnico e commerciale” per cui sono stati attivati gli ultimi anni di scuola secondaria per poter conseguire il diploma superiore ed eventualmente accedere all’Università. Attualmente i corsi di studio sono tre: contabilità, elettricità e meccanica industriale per un totale di 360 allievi di cui 136 sono ragazze. Grazie all’intervento della Sasol, un’azienda sudafricana di estrazione del gas, questi corsi sono ospitati in un nuova struttura realizzata dalla stessa azienda. Il sostegno finanziario di diversi Rotary del territorio vercellese ha consentito poi di aprire nuovi laboratori con attrezzature adeguate alla specializzazione industriale che l’Istituto andava assumendo. È stato altresì attivato un nuovo laboratorio di informatica con più di 40 postazioni. Tutto questo consente di preparare figure professionali con le competenze richieste sia da Sasol sia da altre aziende che si sono insediate nella Provincia di Inhambane, tra cui l’italiana Bonatti o la francese Bolloré. Gli studenti, prima di diplomarsi, hanno la possibilità di fare uno stage presso queste o altre aziende e poi, in non pochi casi, di inserirsi al lavoro nella stessa impresa. Altra importante novità: su richiesta del Governo locale, è nato nel 2020 il Liceo S. Eusebio dove si tengono i primi tre anni di scuola secondaria con la presenza di circa 700 studenti. Infine, per iniziativa delle Acli e dell’Enaip, nel 2019 è partita l’impresa sociale Enaip Mozambico che ha sede a Maputo e che opera per la formazione dei formatori e l’assistenza tecnica di 10 scuole professionali nel campo del turismo e dell’agricoltura. In un paese, dove circa la metà della popolazione ha meno di 25 anni, la leva fondamentale per un’uscita dalla povertà e una crescita equilibrata è rappresentata dall’investimento in formazione e buona scuola. È quello che le Acli, insieme a diverse altre realtà con radici italiane (a cominciare dai Salesiani) stanno provando a fare.

[pubblicato in «L’economia Civile» di «Avvenire» di mercoledì 23 novembre 2022]

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“Leadership Inclusiva. Valorizzare l’unicità delle persone nelle organzzazioni”, con un contributo di Luigi Bobba a Global Inclusion

Leadership Inclusiva. Valorizzare l’unicità delle persone nelle organzzazioni” è uscito sabato 26 novembre in abbinamento opzionale con il Sole 24 Ore, ma dal 29 novembre, in occasione dell’evento di Global inclusion, sarà in vendita nelle migliori librerie fisiche e negli store digitali. Il volume include il contributo di 15 persone leader del cambiamentonell’ecosistema italiano: Giulietta Bergamaschi, Maddalena Berlino, Luigi Bobba, Eva Campi, Giampaolo Colletti, Gianluca Cravera, Paolo Iacci, Cristina Mussinelli, Laura Orestano, Rosy Russo, Donatella Sciuto, Gabriele Segre, Claudia Strasserra, Igor Suran, Riccardo Taverna.

“Questa guida promuove una maggiore consapevolezza dei pregiudizi e degli stereotipi che possono influenzare i nostri atteggiamenti nella gestione di una squadra. Oltre la discriminazione potremo così liberare il nostro potenziale e quello del team di cui siamo responsabili agendo comportamenti di quotidianità che contrastano la cultura alfa. Attraverso un’azione di riconoscimento delle differenze e del principio di equità sosteniamo l’innovazione e la crescita delle organizzazioni, trasformando il lavoro in uno spazio di confronto e preservando le basi che fondano il modello democratico di civiltà e convivenza. Le organizzazioni e i sistemi sociali generano infatti valore quando mettono tutte le persone nella condizione di essere sé stesse, promuovendo autenticità, fiducia e partecipazione.” (dalla quarta di copertina)

Luigi Bobba“Leadership Inclusiva. Valorizzare l’unicità delle persone nelle organzzazioni”, con un contributo di Luigi Bobba a Global Inclusion
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