La conformità costituzionale dell’art. 76 del codice del Terzo settore

La recente sentenza della Corte costituzionale – n. 72 del 15 marzo 2022 – risulta di notevole importanza al fine dell’interpretazione del codice del Terzo settore-CTS (dopo la nota sentenza n. 131 del 26 giugno 2020, attraverso la quale è stato perimetrato il rapporto tra gli enti del Terzo settore e le pubbliche amministrazioni).

Leggi l’articolo di Mario Renna su Terzjus.it del 20 marzo 2022

Luigi BobbaLa conformità costituzionale dell’art. 76 del codice del Terzo settore
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Terzo settore: usiamo il Registro unico come leva per il 5×1000

Il presidente di Terzjus, Luigi Bobba, commenta i primi dati sul Runts: 61mila organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale trasmigrate, 3mila nuove richieste di iscrizione. Propone di realizzare una campagna che convinca quell’italiano su due che ancora non déstina il 5×1000 a farlo e ipotizza un Fondo per la repubblica solidale analogamente a quanto fatto per la povertà educativa

Sono 61mila gli enti già iscritti ai precedenti registri delle Organizzazioni di volontariato – Odv e delle Associazioni di promozione sociale – Aps che sono stati “trasmigrati” nel nuovo Registro unico del terzo settore – Runts.

Il dato arriva da Claudio Gagliardi, vicesegretario generale di Unioncamere, che ha avuto l’incarico dal ministero del Lavoro di curare l’architettura informatica del Runts. Dunque, a tre mesi dalla partenza del Runts, i dati del 70% delle Aps e delle Odv sono stati trasferiti nel nuovo registro e circa 3mila domande di enti, non già precedentemente iscritti, sono arrivate agli uffici delle Regioni a ciò preposti. Appare pertanto ragionevole pensare che entro poche settimane gran parte delle 88mila Aps e Odv saranno “trasmigrate”.

Dunque una buona partenza per il Registro che – come ha scritto Antonio Fici, – presenta tre punti di forza: ha una struttura interamente informatica; è “unico”, nel senso che ricomprende tutte le diverse categorie degli enti di Terzo settore; è “nazionale”, ovvero consente un’uniforme applicazione delle norme del Codice del Terzo Settore – Cts in tutte le diverse Regioni del Paese. Indubbiamente, il risultato più importante dell’azione intrapresa dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando che, diversamente da coloro che lo hanno preceduto in quella responsabilità nei due Governi presieduti da Giuseppe Conte, ha impresso un’accelerazione oltremodo necessaria e alquanto attesa. Lo stesso dicasi per l’emanazione delle Linee guida (D.m. 72/2021) che affrontano compiutamente gli aspetti applicativi degli istituti dell’Amministrazione condivisa (art.55,56,57 del Cts).

Ora, il successo del percorso di formazione incentrato su queste Linee guida e realizzato da Anci su incarico del ministero del Lavoro – che vede una partecipazione di più di 1.000 tra amministratori degli enti locali, funzionari delle amministrazioni territoriali e quadri degli Ets -, attesta la bontà della strada intrapresa.

Resta invece ancora in stand by l’invio da parte del ministro Orlando della notifica alla Commissione Europea di alcune norme fiscali del Cts soggette all’autorizzazione comunitaria prima di essere recepite nel nostro ordinamento. Il tema presenta certo degli elementi di complessità, ma questo atto risulta particolarmente importante, in primo luogo per non lasciare in mezzo al guado il mondo delle Onlus e frenare lo sviluppo e la crescita delle nuove imprese sociali; in secondo luogo, la mancata adozione di tali norme produce un’oggettiva penalizzazione per gli Ets: ogni anno, circa 90 milioni della originaria dotazione di risorse della Riforma, anziché finanziare regimi fiscali più favorevoli, vengono restituiti al bilancio generale dello Stato. E d’altra parte, serve precisare che diversamente da quanto dichiarato dalla vice-ministra all’Economia, Laura Castelli, tale atto ricade unicamente sotto la responsabilità del titolare del dicastero del Lavoro, e non richiede alcun formale concorso da parte del Tesoro (anche se è sempre necessaria una leale collaborazione tra amministrazioni diverse). Se è vero che tali norme presentano alcune criticità e interpretazioni non sempre univoche, non è infondato ritenere che tali criticità si possano superare ricuperando, mediante il decreto “Sostegni ter” ora in discussione al Senato, quegli emendamenti correttivi già concordati con il Forum del Terzo settore, e poi non recepiti nella legge di bilancio.

Dunque notifica alla Commissione europea al fine di ottenere l’autorizzazione comunitaria più il Social bonus (che pare in dirittura d’arrivo) sono i due capitoli da portare rapidamente a conclusione, eliminando o per lo meno riducendo quell’area di incertezza ancora presente e lasciando senza argomenti i critici della Riforma.

Nondimeno si potrebbero metter in campo due azioni promozionali di grande valore simbolico e anche di notevole ricaduta pratica.

Mi riferisco alla più volte auspicata campagna promozionale del 5 per mille. È noto infatti che solo poco più della metà dei contribuenti con tassazione positiva utilizzi la facoltà del 5 per 1000. Perché non provare a raggiungere con un messaggio positivo quell’altro quasi 50% di contribuenti che finora non si è avvalso di questa facoltà di sostenere le attività di uno degli Enti del Terzo settore?

Tra l’altro, questo sarebbe anche il momento più opportuno per una duplice ragione: perché i tempi di erogazione del beneficio sono stati dimezzati (da due anni ad uno) e perché, in forza della nuova regolazione prevista dal Cts, si può presumere che aumenterà il numero degli enti beneficiari, oggi attestato a più di 70mila.

In secondo luogo, c’è da domandarsi se non si debba varare un “Fondo per la Repubblica solidale” analogamente a quanto disposto nel dl. 152/2021, art. 29 con il “Fondo per la Repubblica digitale”. In breve, riprodurre con diversa finalità (formazione e inserimento al lavoro dei Neet, welfare di comunità, inclusione al lavoro dei soggetti diversamente abili) quanto realizzato con successo con il “Fondo per la lotta alla povertà educativa minorile”. Le risorse per “spesare” un consistente credito di imposta da attribuire alle Fondazioni bancarie che aderiranno al Fondo, potrebbero rinvenire dalle somme non spese in diversi provvedimenti che hanno riguardato gli enti del Terzo settore.

Un Fondo per accrescere le ambizioni e le capacità del Terzo settore di essere una struttura portante del Paese e per conseguire risultati qualificanti in termini di inclusione sociale e lavorativa dei soggetti più fragili della popolazione.

Leggi l’articolo di Luigi Bobba su Vita.it del 28 febbraio 2022

 

 

Luigi BobbaTerzo settore: usiamo il Registro unico come leva per il 5×1000
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Terzo settore, rifinanziato il Fondo per le attività di interesse generale

Le risorse appostate pari a 40 milioni di euro si trovano indicate non nel testo della legge di bilancio, bensì nello stato di previsione del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, allegato alla stessa legge. Una buona notizia, che però non cancella lo stallo nell’invio del pacchetto fiscale della riforma del Terzo settore a Bruxelles, il taglio dei fondi per la manutenzione del Registro unico e il mancato rafforzamento strutturale della direzione Terzo settore al ministero del Lavoro

Leggi il mio articolo su Vita.it dell’8 gennaio 2022

La novità più importante per il Terzo settore contenuta nei documenti di bilancio approvati prima della fine del 2021, consiste nell’aver ricostituito la dotazione originaria del Fondo di cui all’art.72 del Codice del Terzo Settore. Si tratta del Fondo, previsto dalla legge delega 106/2016 (art.9, comma1, lettera g) e poi disciplinato appunto dall’art.72 del CTS, volto a sostenere lo svolgimento delle attivita’ di interesse generale di alcune categorie di ETS (Odv, Aps e Fondazioni); fondo che si e’ aggiunto ai preesistenti strumenti finanziari previsti dalla legge 266/91 e dalla legge 383/2000, con una dotazione complessiva pari a 40 milioni di euro. Diversi siti e anche alcuni commentatori hanno riportato la notizia che la legge di bilancio 2022 non contenesse piu’ la disposizione finanziaria di copertura di detto Fondo. Si tratta però di un evidente errore, in quanto le risorse appostate pari a 40 milioni di euro si trovano indicate non nel testo della legge di bilancio, bensì nello stato di previsione del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, allegato alla stessa legge.

Tra l’altro, va annotato che la norma relativa all’art.72 del CTS e’ stata la prima ad essere integralmente applicata, in quanto gia’ nel dicembre del 2017, il Ministero del Lavoro aveva assegnato le risorse ai progetti presentati dagli ETS che avevano concorso al bando delle stesse. Semmai, e pochissimi lo hanno messo in luce, tale Fondo ha subito diversi tagli: nel 2019 di 11 milioni, nel 2020 di 6 milioni e nel 2021 di altri 2 milioni. Per cui la consistenza per l’anno passato, risultava di poco più di 21 milioni.

Merito di questo Governo e’ di aver riportato la copertura al valore della dotazione originaria – 40 milioni- che rappresenta peraltro una misura minima incomprimibile vista la numerosita’ dei progetti presentati negli anni precedenti dagli ETS (che non sempre e’ stato possibile finanziare), ricorrendo poi allo scorrimento della graduatoria nell’anno successivo al bando. Dunque nessuna preoccupazione per gli ETS per l’anno in corso, anche se sarebbe stato necessario accrescere la dotazione del Fondo con le risorse non spese nel 2021, ma strutturalmente attribuite alla Riforma del Terzo settore. Ma cosi’ non e’ stato. Il Parlamento si è limitato a sventare, o meglio a dilazionare di due anni, l’introduzione dell’Iva relativa ai corrispettivi per la vendita di beni o servizi di alcune categorie di ETS. Veramente troppo poco rispetto alla necessita’ di approvare invece alcune norme correttive o integrative al CTS ( presentate nel corso della discussione al Senato da diverse forze politiche), resesi sempre più necessarie per risolvere alcuni problemi applicativi della Riforma e ,peraltro, in parte originate dal confronto tra il Forum e il Ministero del Lavoro.

Ma oltre al ricupero delle risorse non spese nell’anno 2021 – fenomeno ricorrente fin dal 2018 e dovuto alla mancata attuazione di parte delle norme del CTS (social bonus, nuovi regimi fiscali, ecc…) , ci preme evidenziare tre questioni che appaiono del tutto prioritarie e indifferibili.

  1. In primo luogo, l’invio alla Commissione Europea delle norme fiscali soggette ad autorizzazione comunitaria. Il ministro Orlando aveva promesso che entro la fine 2021 ciò sarebbe avvenuto ma cosi non è stato, forse anche per una reiterata prassi dilatoria del MEF. Ad ogni buon conto, tale scelta e’ del tutto indifferibile, sia perche’ questa inadempienza incide sulla possibilita’ che molti ETS – in particolare le Onlus – decidano di iscriversi al RUNTS; sia perche ‘ogni anno una quota pari ad un terzo della dotazione finanziaria della riforma – circa 60 milioni – non va a beneficio degli ETS ma ritorna al bilancio dello Stato.
  2. Poi, c’e’ una questione rimasta fino ad ora non evidenziata. Con il varo del CTS, nel 2017 erano stati appostati 20 milioni di euro – che per la maggior parte vengono ripartiti tra le diverse Regioni – per l’avvio e la manutenzione del RUNTS. Ma gia’ dal 2019, il MEF aveva operato un taglio di 5 milioni su tale dotazione. Ora che il RUNTS e’ stato avviato, ci si sarebbe attesi che le risorse fossero riportate ai 20 milioni originari. Ma così non è. Un incredibile paradosso che potrebbe mettere in discussione la capacità operativa delle Regioni non solo nell’avviare e manutenere il RUNTS, ma anche nell’esercitare le necessarie funzioni di controllo. Un vero e proprio danno alla necessaria trasparenza che il Registro deve assicurare.
  3. In ultimo, poiche’ non si fanno le nozze con i fichi secchi, resta da capire per quale ragione il Ministero del Lavoro non abbia adeguato e rafforzato strutturalmente la propria Direzione del Terzo settore. La riforma ha infatti attribuito al Ministero compiti di implementazione,attuazione e controllo della Riforma particolarmente incisivi e rilevanti ,che richiedono competenze e strumenti del tutto innovativi. Diciamo questo non certo per amore di polemica. Anzi. Se il Ministro Orlando vuole dare piena attuazione alla riforma, (come ha cominciato a fare in questo anno passato) servono nuove forze, anche per evitare di trovarsi costretto a giocare sulla difensiva, come e’ accaduto con la questione dell’IVA. E poi, con all’orizzonte l’Action Plan per l’economia sociale nella UE – associato alla scelta dello stesso Ministro Orlando di assumere per il 2022 la guida del gruppo di Paesi della UE che avevano sottoscritto la Dichiarazione di Lussemburgo -, ciò appare ancor più necessario.
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Sussidiarietà Amministrazione condivisa: disco verde

di LUIGI BOBBA presidente Terzjus e LUCIANO GALLO avvocato esperto di rapporti fra Terzo settore e pubblica amministrazione

La sentenza n. 131 del 26 giugno 2020 della Corte costituzionale ha fornito un’interpretazione particolarmente innovativa degli art. 55 e 56 del Codice del Terzo settore (Cts); sentenza, che ha poi trovato immediato riscontro in una norma del decreto “Semplificazioni”. La Corte ha infatti ricostruito ed affermato il rapporto fra il principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale ed il Cts, che ne costituisce l’organica e strutturata declinazione. Inoltre la particolare relazione che si crea fra Enti di Terzo settore (Ets) ed enti pubblici, in quanto finalizzata allo svolgimento di attività di interesse generale, dà vita alla “amministrazione condivisa”. Si tratta dunque, di una relazione collaborativa che, in ogni caso, deve essere “procedimentalizzata”, ovvero deve rispettare i principi e le regole dei procedimenti amministrativi. A distanza solamente di un paio di mesi, è poi intervenuta la modifica del Codice dei contratti, ad opera della legge 120/2020, che ha “fatto salve” le forme di coinvolgimento degli Ets previste dal Cts rispetto alle ordinarie modalità di affidamento di servizi pubblici in forma esternalizzata e dietro pagamento di corrispettivo. Ecco, allora, che la scelta fra l’amministrazione condivisa o l’affidamento di un servizio mediante appalto è, in primo luogo, di tipo politico.  Nell’ambito dell’amministrazione condivisa, Ets ed enti pubblici diventano soggetti che collaborano per lo svolgimento di attività di interesse generale; nell’ambito di una procedura competitiva concorrenziale, invece, ciascuna delle parti si impegna ad una propria obbligazione (esecuzione del servizio e pagamento del corrispettivo). Ne consegue che l’utilizzo degli strumenti del Cts, rappresentata dalla —  verrebbe da dire naturale —  “convergenza” degli interessi delle parti, accomunate nello svolgimento di attività di interesse generale, genera una vera e propria “comunione di scopo”. L’amministrazione pubblica non è più il solo titolare del bene comune, ma questo si realizza anche mediante una cooperazione con gli Ets. Gli interessi delle parti, dunque quelli pubblici e privati, devono necessariamente convergere nell’attività di collaborazione, che —  come ha ricordato la Corte —  si sostanzia nella “messa in comune” di risorse di vario genere, oltre alla condivisione delle finalità. Viceversa, nell’ambito di una relazione contrattuale derivante da un appalto, gli interessi delle parti sono e restano distinti per tutto il rapporto contrattuale; quello della stazione appaltante ad avere l’esecuzione del servizio a regola d’arte; quello del privato esecutore a maturare l’utile d’impresa, derivante dal corrispettivo pagato dalla prima. Pertanto, partendo dalla ricordata “parità” degli strumenti offerti dall’ordinamento (Cts e codice dei contratti pubblici), la scelta a monte dell’ente non è neutra, poiché emerge chiaramente il diverso ruolo degli Ets quali meri prestatori di servizio o, in alternativa, enti da coinvolgere attivamente, a fronte della meritorietà dell’attività (di interesse generale, dunque caratterizzata dalla non lucratività) da svolgere. Un secondo aspetto —  forse quello maggiormente innovativo —  che merita di essere sottolineato riguarda la dimensione del protagonismo degli Ets, nel senso che il Cts prevede, in termini generali, che l’iniziativa possa anche provenire dal privato sociale. Agli Ets, la Riforma assegna un compito, rilevante anche sotto un profilo culturale, di farsi parte attiva, non assumendo solo un comportamento adattivo alle scelte o alle non scelte degli enti pubblici, ma potendo elaborare e presentare proposte progettuali, ancora una volta nel rispetto della disciplina sui procedimenti amministrativi. L’evidenza pubblica resta sempre la via maestra, ma —  in quest’ultimo caso —  è la conseguenza della valutazione positiva, da parte degli enti pubblici, di una proposta progettuale ritenuta meritevole di accoglimento, in quanto di interesse generale e coerente con gli indirizzi e le finalità degli enti pubblici medesimi. Per essere chiari, è quella proposta progettuale, presentata dagli Ets, che diventa parte della successiva procedura ad evidenza pubblica, con la quale eventualmente misurarsi. L’amministrazione condivisa, sotto altra angolatura, come rilevato dalla stessa Corte costituzionale, determina la messa in comune di risorse di vario genere, pubbliche e private, generando così ricadute positive in termini di qualificazione ed efficacia della spesa pubblica. Inoltre, l’attivazione di rapporti di collaborazione, come dimostrato dalle varie esperienze locali svolte nel Paese, elimina il tasso di conflittualità, tipico delle competizioni concorrenziali nell’ambito delle gare d’appalto, con benefici sia per gli stessi bilanci pubblici, non gravati dal contenzioso, che —  più in generale —  per la generazione di un clima di fiducia reciproco. Non va sottovalutato, inoltre, il livello di trasparenza che procedimenti di co-progettazione, di accreditamento e di convenzionamento, svolti ai sensi del Titolo VII del Cts, possono indurre a beneficio non solo di chi vi partecipa, ma anche degli stessi cittadini. Si tratta, dunque, di procedimenti nei quali l’utilizzo di beni e di contributi pubblici deve avvenire “alla luce del sole” e, come tale, essere rendicontato. In questo modo si rendono possibili anche forme di “controllo diffuso”: l’amministrazione condivisa come strumento di partecipazione attiva della cittadinanza. Sono, pertanto, evidenti le varie e significative ragioni, non solo politiche, per avviare —  nella forma dell’iniziativa pubblica (con la pubblicazione di Avvisi) o in accoglimento di proposte progettuali (a seguito dell’iniziativa privata degli Ets) —  forme di amministrazione condivisa. Verrebbe quasi da dire che, dopo la sentenza della Corte e delle modifiche del codice dei contratti, gli enti pubblici dovrebbero motivare e giustificare la scelta di ricorrere agli strumenti del mercato concorrenziale degli appalti e delle concessioni anziché avvalersi delle forme tipiche di collaborazione con gli Ets.

scarica l’articolo a pag. 80 di Vita.it dicembre 2020

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Riforma del Terzo settore: tre passaggi da fare subito per renderla efficace

Mentre è entrato nella fase applicativa in decreto che istituisce il RUNTS (Registro unico nazionale del Terzo settore) e si stanno delineando le linee guida sull’applicazione degli articoli 55 e 56 del CTS (Codice del Terzo settore), vale la pena cercare di capire se e quanto le attese che la riforma aveva suscitato, hanno trovato concreto riscontro nella dinamiche di cambiamento di questi tre anni. Consapevoli che la riforma del Terzo settore ambiva a conseguire due risultati: dare ordine e certezza ad un mondo regolato da una legislazione frastagliata e contraddittoria; e introdurre un complesso di norme di carattere promozionale in modo da, non solo riconoscere, ma altresì favorire i soggetti di Terzo settore in quanto attori essenziali sia nel rafforzamento della coesione sociale che in uno sviluppo più inclusivo del Paese.

leggi il mio articolo su Vita.it del 3 dicembre 2020

Luigi BobbaRiforma del Terzo settore: tre passaggi da fare subito per renderla efficace
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