Bando Periferie: scontro tra Anci e Governo

Da “Corriere Eusebiano”
Sul “Bando Periferie” si scatena la “guerra” tra i Comuni e il governo con riflessi significativi anche sul dibattito politico locale. La vicenda è nota: il bando periferie è il provvedimento con il quale il precedente governo aveva stanziato 1,6 miliardi di euro per la riqualificazione delle aree periferiche e degradate delle città. Il decreto “Milleproroghe” recentemente ratificato dal parlamento di fatto cancella il bando posticipandolo al 2020: difficile immaginare cosa ne sarà concretamente dello stanziamento. Di certo i porgetti e, in alcuni casi, i cantieri pronti a partire dovranno subire uno stop.

L’Anci, l’associazione che rappresenta tutti i Comuni italiani, non l’ha presa ovviamente bene: la delegazione, composta dal presidente Antonio Decaro (Pd) e dai vicepresidenti Filippo Nogarin (M5S) e Roberto Pella (FI), ha abbandonato i lavori della conferenza unificata e annunciato che le relazioni istituzionali con il governo sono interrotte. «Non abbiamo trovato riscontro all’impegno che aveva preso con noi il presidente del Consiglio Giuseppe Conte sul bando periferie nell’incontro dell’11 settembre. Siamo costretti a interrompere le relazioni istituzionali, nostro malgrado. Torneremo a quei tavoli solo quando il percorso per restituire ai sindaci il miliardo e seicento milioni sottratti, si vorrà avviare davvero».

Come detto il “congelamento” del Bando Periferie ha riflessi pesanti anche in sede locale: il capoluogo Vercelli aveva ottenuto uno stanziamento di 7,5 milioni e approntato progetti per circa 25 milioni di euro. Tanto era bastato all’ex sottosegretario Luigi Bobba e al segretario provinciale Pd Michele Gaietta, per diramare un comunicato stampa dai toni molto aspri: «Con il decreto Milleproroghe – approvato dal Parlamento nello scorso fine settimana – il governo sta togliendo risorse strategiche ai Comuni. Per Vercelli si tratta di un notevole danno (circa 7,5 milioni di euro) che mette a rischio gran parte degli interventi di riqualificazione delle periferie cittadine (tra cui l’ex area Montefibre, cavalcavia Belvedere e magazzini Isola). Un progetto finanziato con risorse fornite dallo Stato, dal Comune di Vercelli e dai privati coinvolti per un importo complessivo di circa 25 milioni di euro».

Alle dichiarazioni di Bobba e Gaietta (ma prima della presa di posizione “bipartisan” di Anci) era stato il parlamentare valsesiano della Lega, Paolo Tiramani, a replicare parlando di «un pasticcio combinato proprio dal suo Pd, che aveva promesso agli enti locali soldi pur sapendo di non poterli spendere. E questo l’ex sottosegretario lo sa benissimo visto che la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale il comma della Legge finanziaria del 2016 che prevedeva fondi per la seconda parte dei comuni finanziati (sentenza n. 74 del 2018). Quello del Pd era solo uno spot elettorale rifilato agli enti locali – Vercelli compresa – nella speranza di rastrellare qualche voto. Per rimediare a questa presa in giro e sulla base della sentenza della Corte Costituzionale, sono stati liberati 2 miliardi di euro (prima bloccati dal Pd con l’assurda austerity imposta dalla Legge di bilancio) con un emendamento al Decreto Milleproroghe votato all’unanimità: quindi – udite udite – anche dallo stesso Pd per salvare evidentemente la faccia. Grazie a noi, tornerà ad esserci possibilità di spesa per tutti i comuni che hanno saputo ben amministrare, non solo per quelli del bando, i quali comunque avranno coperture per i primi impegni presi e anche per altre opere. Allo stesso tempo si tiene viva la graduatoria del bando periferie spostandone il finanziamento al 2020, per trovare risorse reali e spendibili e non inesistenti, con cui realizzarlo legalmente. Ma questo Bobba lo ignora».

La controreplica di Bobba non si è fatta attendere: «Se avesse ragione l’on. Tiramani, non si capirebbe perché l’Anci – che rappresenta la stragrande maggioranza dei Comuni italiani – abbia rotto i rapporti con il Governo in Conferenza Unificata proprio sul Piano Periferie. Su questa questione. Il governo ha detto una montagna di bugie. I fondi sono assicurati da due leggi della Repubblica. I progetti sono stati selezionati in base ad una graduatoria e lo Stato ha stipulato con tutti gli Enti locali una convenzione che ha validità giuridica a tutti gli effetti. L’on. Tiramani confonde le pere con le mele, la cassa con la competenza. I fondi del Piano Periferie sono dello Stato e vengono dati ai Comuni. I fondi degli avanzi di amministrazione (quelli oggetto della sentenza della Corte Costituzionale) sono dei Comuni; quindi con questa operazione, di fatto, lo Stato sottrae risorse ai Comuni: a quello di Vercelli 7.5 milioni di euro. L’operazione è finalizzata a portare in disponibilità di cassa risorse per coprire, nella legge di bilancio 2019, i costi relativi alle tante e onerose promesse elettorali di Lega e 5 Stelle. L’unica verità è questa. Con buona pace delle artificiose giustificazioni dell’On. Tiramani».

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Il Papa: «Il lavoro conferisce la dignità all’uomo non il denaro»

Da Avvenire, 7 settembre 2018

Il solo perseguimento del profitto non garantisce più la vita dell’azienda: servono una formazione ai valori ed un’etica amica della persona. Così Francesco nell’intervista al “il Sole 24 ore”

“Nessuna attività procede casualmente o autonomamente. Dietro ogni attività c’è una persona umana. Essa può rimanere anonima, ma non esiste attività che non abbia origine dall’uomo. L’attuale centralità dell’attività finanziaria rispetto all’economia reale non è casuale: dietro a ciò c’è la scelta di qualcuno che pensa, sbagliando, che i soldi si fanno con i soldi. I soldi, quelli veri, si fanno con il lavoro. E’ il lavoro che conferisce la dignità all’uomo non il denaro”.

Ne è convinto il Papa, nell’intervista pubblicata da “Il Sole 24 Ore”. “La disoccupazione che interessa diversi Paesi europei è la conseguenza di un sistema economico che non è più capace di creare lavoro, perché ha messo al centro un idolo, che si chiama denaro”. “La distribuzione e la partecipazione alla ricchezza prodotta, l’inserimento dell’azienda in un territorio, la responsabilità sociale, il welfare aziendale, la parità di trattamento salariale tra uomo e donna, la coniugazione tra i tempi di lavoro e i tempi di vita, il rispetto dell’ambiente, il riconoscimento dell’importanza dell’uomo rispetto alla macchina e il riconoscimento del giusto salario, la capacità di innovazione sono elementi importanti che tengono viva la dimensione comunitaria di un’azienda”, spiega Francesco.

“Il mondo economico, se non viene ridotto a pura questione tecnica, contiene non solo la conoscenza del come (rappresentato dalle competenze) ma anche del perché (rappresentata dai significati). Una sana economia pertanto non è mai slegata dal significato di ciò che si produce – aggiunge il Papa – e l’agire economico è sempre anche un fatto etico. Tenere unite azioni e responsabilità, giustizia e profitto, produzione di ricchezza e la sua ridistribuzione, operatività e rispetto dell’ambiente diventano elementi che nel tempo garantiscono la vita dell’azienda”.

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Ma non come macchina

Da Avvenire, Sabato, 8 Settembre 2018, pagine 1-2

In un momento storico di grande disorientamento come quello che stiamo vivendo, papa Francesco continua a costituire un punto di riferimento a cui guarda il mondo intero.

In una lunga intervista uscita ieri su “Il Sole 24 Ore”, il Santo Padre si è rivolto agli imprenditori e al mondo dell’economia proponendo una visione positiva che parte dal primato della persona umana rispetto al profittoe alla efficienza.Per nulla a disagio nel confrontarsi con temi in apparenza lontani, Francesco riesce, ancora una volta, a far vedere come il Vangelo e la Dottrina sociale della Chiesa riescono a offrire una chiave di lettura fondamentale per affrontare i problemi che abbiamo davanti. E se si considerano i consensi che l’intervista ha suscitato, si direbbe che Francesco è stato capacedi cogliere nel segno. La linea del Papa è quella già sviluppata nella Laudato si’. Lo sviluppo tecno-economico contemporaneo ha ormai raggiunto un livello di avanzamento tale da rendere inestricabile l’intreccio tra i rischi e le opportunità. La progressiva distruzione dell’ecosistema, le inaccettabili disuguaglianze nei e tra Paesi, il cronico disordine finanziario, i forti squilibri demografici, i violenti conflitti che intrecciano interessi economici e politici sono tutte problematiche che derivano dalla stessa radice: quella che insiste in modo unilaterale su una concezione individualistica dell’esistenza umana, tutta schiacciata sul piano materiale e su soluzioni di tipo tecnico. Una prospettiva che sottovaluta sistematicamente la portata del problema che dobbiamo affrontare. Che è prima di tutti antropologico e spirituale.

Affermare la primazia dell’uomo e della sua singolare esistenza non è una generica formula retorica, ma un criterio per fissare priorità e trovare soluzioni diverse da quelle prevalenti – che hanno creato la situazione nella quale ci troviamo.

È ormai chiaro a tutti che la crisi del 2008 – di cui ricorrono proprio in questi giorni i 10 anni – ha segnato una discontinuità storica. È vero che da allora le economie di tutto il mondo hanno superato i momenti più difficili, dimostrando una buona capacità di resilienza; ma è altrettanto vero che quelle stese economie non sono più riuscite a risolvere i problemi umani da loro stesse prodotti. Da qui la crescita di un forte malcontento che circola in ampi strati della popolazione, che arriva fino a intossicare la democrazia. La crescente insofferenza nei confronti dei migranti è una manifestazione (preoccupante) di questo clima di tensione.

A sconcertare è soprattutto l’assenza, nel dibattito pubblico, di una risposta positiva, capace di guardare avanti e di scorgere le opportunità che pure la crisi nasconde.

Ma se è così, è perché ci si ostina a guardare il problema nella prospettiva sbagliata. A questo proposito, vale la pena citare un grande pensatore (non credente) come Max Weber, il quale – opponendosi al materialismo marxiano – un secolo fa sosteneva che lo sviluppo economico altro non è che la traduzione materiale della crescita spirituale (e culturale) di un popolo.

Francesco ricorda questa verità: l’economia non è una macchina di cui gli uomini sono gli ingranaggi, che va semplicemente resa più efficiente. Essa è piuttosto una costruzione storico-istituzionale che, con soluzioni diverse nel tempo e nello spazio, serve per accrescere il benessere materiale della popolazione, ma soprattutto per valorizzare quella “genialità creativa” che contraddistingue il genere umano. Per questo il tema del lavoro deve tornare al primo posto: è dal contributo di ciascuno che si deve ripartire.

Alla fine, la crescita economica è solida solo se si fonda sulla crescita delle persone. Né ci può essere crescita economica senza sviluppo sociale e culturale. Che concretamente vuol dire: investimento nella educazione e formazione dei giovani, contratti di lavoro sufficientemente stabili e premiali, ragionevole protezione per i rischi della vita (malattia vecchiaia, etc,), forme di solidarietà sociale basate sulla equa redistribuzione della ricchezza; rispetto dell’ambiente e di tutto ciò che economico non è (a cominciare dallareligione).Se ci pensiamo bene, non passa proprio dalla nostra capacità di dare risposta a tali questioni la sfida che la lunga crisi si portadietro?Da qui, allora, l’invito del Papa: tornare a guardare l’economia a partire dall’uomo è una indicazione quanto mai attuale. Di ciò il mondo ha bisogno come il pane. Dato che per poter navigare nei mari tempestosi della globalizzazione avanzata è necessario tornare a produrre insieme valore (economico, ma anche sociale, relazionale, culturale etc.).

A tutti noi – cristiani e uomini di buona volontà – tocca il compito di rendere questa ispirazione il nuovo modo condiviso di guardare ai problemi di questo tempo. Solo così da una situazione difficile potrà fiorire un nuovo rinascimento. Difficile certo. Ma non è forse proprio la capacità di essere lievito uno dei frutti più preziosi della speranza cristiana?

Mauro Magatti

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Speciale Partite Iva – La tassa non è piatta ma iniqua

Da La nuvola del lavoro – Corriere della Sera

Il dibattito iniziato da Anna Soru in merito al primo nucleo di flat tax che il governo sembra deciso a realizzare in legge di bilancio si arricchisce di alcune novità. Si parla di una modifica del regime forfettario per imprese e professionisti ma con tre aliquote: al 5% per le start up, al 15% per chi consegue compensi fino a 65.000€ e al 20% per quelli fino a 100.000€. Di piatto quindi non c’è niente: sarebbe opportuno smettere di chiamarla flat tax. Nonostante ciò, questa piccola riforma fiscale è comunque preoccupante per le distorsioni che produce fra le diverse forme di lavoro.

L’utilizzo di finte partite IVA per evitare i costi (e le tutele) del lavoro dipendente tornerebbe a farla da padrona. Una sbandierata ancorché presunta convenienza fiscale rappresenterebbe un ottimo alibi per richiedere figure autonome, le quali agirebbero poi in regime di mono-committenza e senza stimolare il lavoro professionale di qualità al quale puntava la legge 81/2017, ad esempio con la deduzione fino a 10.000 per le spese di formazione e aggiornamento delle competenze. Anzi: il regime forfettario da questo punto di vista rappresenta un freno per quanti vogliano sviluppare la propria attività, poiché non consente di dedurre le spese di investimento. Senza considerare lo squilibrio ingiustificabile, riconosciuto anche da Mara Carfagna, che si verrebbe a creare tra la tassazione progressiva sul lavoratore dipendente e quella sostanzialmente proporzionale sul lavoratore autonomo.

Per il Partito Democratico la tassa piatta sul reddito delle persone fisiche è sempre sbagliata poiché trasferisce ricchezza dai ceti medio-bassi ai più alti, facendo un enorme favore a chi oggi ha già i mezzi per proteggere e spesso nascondere i propri capitali. Ma anche il piano proposto dal governo è totalmente da rigettare per gli effetti perversi che scatenerebbe nel mondo del lavoro. Il combinato disposto del decreto “dignità”, che abbassa a 12 mesi la durata dei contratti a termine, e di questo nuovo regime forfettario, spingerebbe l’acceleratore verso una nuova stagione di forte precarietà, in particolare per i giovani.

L’esecutivo tace invece totalmente, a partire dal ministro Di Maio, sulla sorte dei decreti attuativi lasciati in eredità dalla scorsa legislatura. L’equo compenso per i professionisti nei confronti dei grandi committenti e in particolare della pubblica amministrazione, ma soprattutto le previsioni della legge 81/2017 in materia di prestazioni di malattia e maternità, ammortizzatori sociali delle Casse. Norme a lungo attese dal mondo del lavoro autonomo. Mentre mancano concrete risposte sul piano fiscale, richieste da tempo, alcune presenti nel nostro programma di governo. L’estensione degli 80€ alle partite IVA, l’aumento della no-tax area, l’abolizione della doppia tassazione sui rendimenti dei contributi previdenziali, l’allargamento ai professionisti del super-ammortamento degli investimenti e l’incentivo alle aggregazioni e specializzazioni, per creare competitor dei servizi capaci di reggere il confronto nel panorama europeo. La strada da prendere è opposta alla flat tax: occorre una vera riforma dell’IRPEF ma con la riduzione delle aliquote più basse, anziché delle più alte. Si tratta di un modo per abbassare le tasse a tutti, ma proporzionalmente di più alle fasce più deboli. Anziché a quelle ricche e super ricche.

Chiara Gribaudo, responsabile lavoro del Partito Democratico

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Vita semplificata per il Terzo settore

Da ItaliaOggi

Gli enti che conseguono ricavi sotto i 220 mila euro (il precedente limite era 50 mila euro) possono approvare un semplice rendiconto di cassa al posto del bilancio di esercizio. E l’obbligo di sottoporsi a revisione legale dei conti sussiste solo per gli enti di maggiori dimensioni.
Modifiche statutarie con le maggioranze dell’assemblea ordinaria entro il 3 agosto 2019, ma solo se finalizzate all’adeguamento alle nuove norme. Conservazione della personalità giuridica ottenuta col sistema concessorio nei casi di fuoriuscita delle associazioni e fondazioni dagli enti del terzo settore. Esclusione di un termine specifico per la redazione ed approvazione dei bilanci i quali, tuttavia dovranno essere presentati non oltre il 30 giugno di ogni anno. Sono le principali novità civilistiche apportate al dlgs 3 luglio 2017 n. 117, recante «Codice del terzo settore» dal decreto correttivo che sarà pubblicato il 10 settembre sulla Gazzetta Ufficiale n. 210 entrando in vigore dal giorno successivo.

Le modifiche statutarie. Le modifiche che le norme transitorie previste dall’art. 101, comma 2, del cts consentono di apportare agli statuti di Odv (Organizzazioni di volontariato), Onlus e Aps (Associazioni di promozione sociale) con le modalità e le maggioranze previste per le deliberazioni dell’assemblea ordinaria (anche in seconda convocazione) subiscono due modificazioni.

La prima si connota in un mero ampliamento dei termini. Come più volte richiesto dal forum del terzo settore, i termini per le modifiche statutarie attraverso maggioranze semplici delle assemblee (anche in seconda convocazione e quindi con la mera maggioranza dei presenti) slittano dal 3 febbraio al 3 agosto 2019, consentendo, di fatto, migliori valutazioni agli enti anche alla luce del correttivo in commento.

La seconda correzione è, invece, finalizzata (così come con la riforma del diritto societario del 2004) a limitare le modifiche statutarie apportabili con maggioranze semplici.

Tali modifiche potranno, infatti, riguardare solo disposizioni inderogabili (oggetto sociale limitato in via esclusiva o principale alle attività di cui all’art. 5, previsione di un organo di controllo al superamento dei previsti limiti dimensionali ecc.) e l’introduzione di clausole che escludono l’applicazione di nuove disposizioni derogabili (es. esclusione delle deleghe assembleari). Tali limitazioni hanno, ovviamente, l’obiettivo di evitare che con maggioranze semplici possano modificarsi arbitrariamente gli statuti degli enti, configurando, a seconda dei casi, abusi di maggioranza o minoranza.

Conservazione della personalità giuridica. Su input del Consiglio di Stato, il decreto correttivo risolve il problema degli enti che avevano ottenuto il riconoscimento giuridico attraverso il sistema concessorio, sulla base del dpr 361/2000 ed essendo iscritti ai registri gestiti da prefetture e regioni, decidessero di iscriversi anche al Runts (Registro unico nazionale del Terzo settore) per ottenere il riconoscimento giuridico attraverso il nuovo sistema ordinario. Questi enti, infatti, rischiavano di perdere definitivamente il primo riconoscimento giuridico nel caso in cui, dopo essere stati iscritti nel Runts, per obbligo (perdita dei requisiti richiesti per essere Ets-Enti del Terzo settore) o per specifica scelta dell’ente, avessero deciso di tornare ad essere disciplinati dalle norme del libro 1° del codice civile. A riguardo il nuovo art. 22, comma 1, prevede che gli enti anteriormente iscritti ai registri regionali o prefettizi durante il periodo di iscrizione al Runts “non perdano la personalità giuridica acquisita con la pregressa iscrizione”. Ne consegue che in caso di cancellazione dal Runts, andrà a riespandersi la pregressa iscrizione, evitando la perdita della personalità giuridica precedentemente acquisita. Tali nuove disposizioni possono ovviamente cancellare una remora per l’iscrizione al Registro del terzo settore di associazioni e fondazioni incentivandone l’adesione.

Bilancio. Con una modifica all’art. 87 del Cts (Codice del Terzo settore) viene previsto che gli Ets non commerciali, che non applicano il regime forfetario e che, nell’esercizio delle attività di interesse generale e diverse di cui agli art. 5 e 6 del Cts, non abbiano conseguito nell’anno precedente ricavi, rendite, proventi o entrate comunque denominate di ammontare non superiore a 220 mila euro (il precedente limite era pari a 50 mila euro), saranno legittimati a redigere, anziché il bilancio di esercizio di cui all’art. 87, comma 1, lett. a) (costituito dalla situazione patrimoniale, dal rendiconto finanziario, con l’indicazione dei proventi e degli oneri e della relazione di missione), il rendiconto di cassa di cui all’art. 13, comma 2. Inoltre, nel novellato art. 87, comma 1 del Cts non si chiede più di riportare in apposito documento, da redigere entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio annuale, la situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’ente. Rimangono tuttavia, i termini di deposito al Runts (art. 48) che non decorrono né dal periodo di chiusura dell’esercizio, né da quello di approvazione del bilancio ma sono fissati in ogni caso al 30 giugno di ogni anno. Con una modifica del co. 6 dell’art. 13 si prevede poi, che il carattere secondario e strumentale delle attività diverse da quelle di interesse generale, può essere esposto, a seconda dei casi come segue:

– gli enti che redigono il rendiconto gestionale indicano le attività diverse nella relazione di missione;

– gli enti che redigono il rendiconto per cassa, lo documentano in un’annotazione in calce allo stesso;

– gli enti che redigono il bilancio, lo documentano nella nota integrativa.

Revisione legale e organo di controllo. Con specifiche modifiche al comma 6 dell’art. 30 viene chiarito che:

1) l’obbligo di sottoporsi a revisione legale dei conti sussiste solo per gli Ets di maggiori dimensioni, cioè per gli enti che superano i parametri previsti dall’art. 31;

2) se, per previsione statutaria l’Ets affidi la revisione legale dei conti – quando essa sia obbligatoria – all’organo di controllo interno (piuttosto che ad un revisore legale esterno), questo possa avvenire a condizione che tutti (e non uno degli stessi come nel precedente disposto normativo) i componenti l’organo di controllo siano revisori legali iscritti nell’apposito registro (art. 2409-bis cc)

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Borghi: “Bando Periferie, i patti tra istituzioni si rispettano.”

Comunicato Stampa
“I patti tra istituzioni si rispettano, e la maggioranza sta commettendo un grave atto apprestandosi a convertire in legge un decreto che azzera il finanziamento del bando periferie del 2017. Ieri i sindaci italiani lo hanno detto chiaramente in audizione, e a nulla valgono le balbettanti giustificazioni dei leghisti. Abbiamo depositato un emendamento soppressivo del provvedimento di taglio dei finanziamenti, tutte le forze politiche lo votino perchè i territori non hanno colore”.
Così Enrico Borghi, segretario d’aula del Pd a Montecitorio e deputato dell’Alto Piemonte, interviene sul dibattito in corso sul taglio del “Decreto Periferie”, lanciando un appello alla maggioranza.
“Nelle prossime ore inizieremo i voti in commissione -osserva l’on. Borghi- e l’Anci ieri ha detto con chiarezza che ci sono moltissimi comuni (Verbania ad esempio è tra questi) che hanno già appaltato le opere, iniziato le procedure, aperto i cantieri. Una legge che tagliasse questi fondi farebbe venir meno la certezza del diritto e il principio di continuità della pubblica amministrazione,e aprirebbe la stura a una sequela di ricorsi e di provvedimenti di danno erariale per il quale inevitabilmente lo Stato verrebbe alla fine condannato ai risarcimenti, con grave danno nel frattempo di imprese, economie di territorio e immagine delle istituzioni”.
“Per rimanere all’alto Piemonte -prosegue Borghi- stiamo parlando di stanziamenti di 27 milioni di euro che, grazie all’azione di cofinanziamento dei Comuni che hanno attivato su queste opere contributi di altri enti quali municipalizzate, RFI o altri soggetti, movimentano investimenti per quasi 50 milioni di euro. Cosa diciamo a imprese, progettisti, cittadini, sindaci? Che lo Stato ha scherzato e adesso loro devono arrangiarsi? E per le opere -come Verbania- dove i lavori sono già in corso, chi paga gli stati di avanzamento lavori?”.
“Va anche smentita -conclude Borghi- una malevola interpretazione che la Lega fa circolare, per giustificare questo scippo: non è vero che il decreto viene fatto perché il provvedimento del 2017 andava sanato sotto il profilo costituzionale. I rilievi di costituzionalità non riguardano la copertura finanziaria, quanto un aspetto meramente formale che è sanabilissimo -come ha proposto l’Anci- prevedendo il coinvolgimento delle Regioni in seno alla Conferenza Unificata. Per un pretesto simile, si vogliono davvero bloccare opere per quasi 3 miliardi di euro? La maggioranza ci ripensi, e così come sta facendo in queste ore sui vaccini torni sui propri passi e aderisca alla richiesta del Pd e di tutte le opposizioni di stralciare il taglio del bando periferie dal Milleproroghe”.
Roma, 5 settembre 2018

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Infrastrutture viarie, investimenti per 800 milioni voluti dalla Regione Piemonte

I temi delle infrastrutture viarie in Piemonte, della loro sicurezza, degli investimenti e delle concessioni autostradali, anche alla luce dei tragici fatti di Genova, sono stati al centro dell’incontro stampa con il presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino, il vice presidente, Aldo Reschigna e l’assessore ai Trasporti e Infrastrutture, Francesco Balocco, che si è svolto nella mattinata di giovedì 23 agosto nella sala Giunta del Palazzo della Regione, in piazza Castello a Torino.

L’assessore Balocco ha presentato nel dettaglio gli investimenti voluti da Regione Piemonte per efficientare la rete viaria, sottolineando come complessivamente si tratti di oltre 330 milioni che, da qui ai prossimi due anni, saranno attivati, attingendo a diverse fonti di finanziamento. Complessivamente, con le risorse stanziate dal precedente Governo o inserite nel Contratto di programma Anas, entro i prossimi due anni saranno 800 i milioni destinati alla manutenzione delle strade, alla realizzazione di nuovi importanti collegamenti (come la Pedemontina Masserano-Ghemme o la variante di Demonte), alla messa in sicurezza delle infrastrutture esistenti (come la ss34 e la ss337). «La Regione ha fatto la sua parte per assicurare le risorse e per accelerare i tempi di approvazione e di espletamento delle procedure autorizzative – ha commentato Balocco -. Ora spetta al Governo, da una parte, ed a Province e Comuni ottimizzare i tempi per l’esecuzione degli interventi».

Sulle concessioni autostradali il presidente Chiamparino
 ha ricordato che «l’accordo raggiunto in sede europea aveva una serie di obiettivi condivisibili: ottenere, in cambio di miniproroghe, investimenti per 8,5 miliardi, tra i quali il completamento della A33 Asti-Cuneo (oltre alla la realizzazione della Gronda di Genova), consentire di superare il vizio di fondo dell’attuale sistema delle concessioni aggiudicate senza gare o senza gare vere, unificando nel 2030 in un unico appalto la gran parte del sistema autoatradale piemontese».
Il presidente Chiamparino ha sottolineato che «semmai il tema è quello del controllo sui concessionari. Nella vicenda di Genova è risultato evidente che la pubblica amministrazione non ha le competenze e le risorse per esercitare i necessari controlli sull’attività dei privati e come non siano adeguate le procedure».

Ha concluso il vice presidente Reschigna: «Occorre individuare un meccanismo unico che garantisca le risorse necessarie per realizzare gli investimenti, migliorando nel contempo i meccanismi di controllo sia dal punto di vista della sicurezza delle infrastrutture, sia per la garanzia del rispetto degli impegni assunti dal concessionario, nella massima trasparenza. La proposta è di affidare questo ruolo a raggruppamenti di Regioni omogenee, che a loro volta possano avvalersi delle competenze universitarie (a partire dai Politecnici), che rappresentano delle eccellenze dotate di strumenti tecnici e di professionalità adeguate».

Questi ed altri temi saranno approfonditi nel corso di un convegno sulle Infrastrutture, che si svolgerà venerdì 28 settembre a Torino Incontra.

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Incontro sulla nuova Legge Delega sul Terzo Settore

Lunedì 9 luglio alle ore 21.00 presso il Castello Sforzesco di Galliate si terrà la prima iniziativa d’area di Futura Novara.

Focus della serata la “Nuova Legge Delega sul Terzo Settore: uno sguardo sull’associazionismo novarese partendo da quello femminile”.

Ne discuteremo insieme all’On. Donata Lenzi, relatrice di tale legge, all’ex. Sottosegretario Luigi Bobba che oltre ad esserne il  promotore  ne ha curato gli aspetti fiscali e all’Assessore Regionale  alle Politiche Sociali Augusto Ferrari.

Introduce il Consigliere Provinciale Stefano Zanzola  e modera il dibattito Mary Longano con delega alla Pari Opportunità e  Conferenza delle Donne nella Segreteria Provinciale, entrambi referenti di Futura Novara.

Intervengono due Presidentesse di due Associazioni molto attive nel nostro territorio: Tiziana Fiorani per AIED Novara e Mouna  Zaghrouk per l’associazione Mobara.

I referenti di Futura Novara concordano entrambi sul fatto che il Terzo Settore occupa un posto prioritario in Italia e in particolar modo è molto attivo e fiorente nel nostro territorio, il più delle volte le associazioni lavorano incessantemente per  garantire beni e servizi alla società.

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