Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa

Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa

Strasburgo, 27 aprile 2022

Signor Presidente dell’Assemblea Parlamentare,

Signora Segretaria Generale del Consiglio d’Europa,

Signore e Signori parlamentari,

Ambasciatrici e Ambasciatori,

Signore e Signori,

sono lieto di potermi indirizzare a questa Assemblea che esprime nel modo più largo il sentimento dei popoli d’Europa.

È per me motivo di grande soddisfazione effettuare a Strasburgo – sede di molteplici istituzioni europee – il primo viaggio all’estero da quando il Parlamento italiano e i rappresentanti delle Regioni hanno voluto conferirmi nuovamente l’incarico di Presidente della Repubblica Italiana.

Rendo omaggio al Consiglio d’Europa, alle sue Istituzioni, a voi che siete espressione dei Parlamenti di 46 Paesi membri, in rappresentanza di 700 milioni di cittadine e cittadini europei.

Permettetemi un ringraziamento particolare al Presidente Tiny Kox per questa opportunità che mi offre e mi consente, per le sue parole così gentili; e grazie a tutti voi per l’accoglienza.

Porgo un saluto caloroso alla Segretaria Generale Marija Pejčinović Burić, la cui guida in questa Organizzazione considero preziosa, come ho avuto modo di dirle nel nostro incontro dello scorso novembre, al Palazzo del Quirinale, e di ribadirle nell’incontro che abbiamo avuto questa mattina.

Il Consiglio d’Europa ha sempre avuto la vocazione a essere la “casa comune europea” e ha saputo svilupparla nei decenni che hanno fatto seguito alla sua istituzione, come testimonia anche la sua attuale ampia rappresentatività.

Una casa che, se è stata specchio fedele delle divisioni e delle difficoltà manifestatesi fra le diverse comunità nazionali, ha saputo essere anche, e soprattutto, espressione del coraggio di unità dell’Europa, spesso prefigurando quanto si è potuto successivamente costruire, sotto altri profili e in altri ambiti, come la Unione Europea.

Tanti i traguardi di civiltà conseguiti dal Consiglio d’Europa. Sul terreno della abolizione della pena di morte, della lotta al razzismo, della libertà di espressione, della tutela della diversità culturale, della protezione dei diritti dei bambini, dello sviluppo di politiche per la gioventù.

Inoltre, parafrasando il mugnaio di Potsdam, nel nostro Continente si può dire: “c’è un giudice a Strasburgo”, con l’attività sviluppata dalla Cedu, frutto della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo, sottoscritta a Roma.

Il Consiglio d’Europa ha saputo, cioè, consolidare le prerogative dei cittadini, aggiungendo alla tutela dei singoli ordinamenti statali quella derivante dalla applicazione della convenzione, in casi di violazione di diritti da parte degli Stati. Perché non c’è ragion di Stato che tenga nel caso di violazioni dei diritti della persona.

Più liberi, più sicuri, più coesi. E penso alla Carta Sociale Europea contro le disuguaglianze e le povertà, lanciata in Italia, a Torino, nel 1961.

Questi sono risultati impareggiabili della costruzione tenace di una casa comune quale il Consiglio d’Europa. Progresso per centinaia di milioni di cittadine e di cittadini europei, fieri di ritrovarsi sempre più in un unico demos.

Il Consiglio d’Europa è figlio di quella spinta al multilateralismo che caratterizzò gli anni successivi al Secondo conflitto mondiale, insieme al sistema delle Nazioni Unite. Una spinta basata su una considerazione elementare: la collaborazione riduce la contrapposizione, contrasta la conflittualità, aumentando le possibilità di composizione positiva delle vertenze.

Non fu facile imboccare la strada della riconciliazione. Così come non è stato facile giungere alla condivisione di una comune eredità; avere il coraggio di passare, nel rapporto tra gli Stati, dal diritto della forza alla forza del diritto.

Costruire una pace duratura è stato un processo lento e graduale che ha saputo evitare il rischio di una terza guerra mondiale, sfiorato con la guerra di Corea e il blocco di Berlino, e ha saputo passare, in quegli anni lontani, attraverso la regolazione della condizione dell’Austria sotto clausola di neutralità e il superamento della crisi di Cuba.

Quanto la guerra ha la pretesa di essere lampo – e non le riesce – tanto la pace è frutto del paziente e inarrestabile fluire dello spirito e della pratica di collaborazione tra i popoli, della capacità di passare dallo scontro e dalla corsa agli armamenti, al dialogo, al controllo e alla riduzione bilanciata delle armi di aggressione.

E’ una costruzione laboriosa, fatta di comportamenti e di scelte coerenti e continuative, non di un atto isolato. Il frutto di una ostinata fiducia verso l’umanità e di senso di responsabilità nei suoi confronti.

Come ci ricordava Robert Schuman “la pace non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano”.

Se perseguiamo obiettivi comuni, per “vincere” non è più necessario che qualcun altro debba perdere. Vinciamo tutti insieme.

L’esempio è stato contagioso, tanto da far diventare Strasburgo la meta obbligata di quanti raggiungevano libertà e indipendenza, per rafforzarle e consolidarle. E’ stato così in diversi casi; ma, naturalmente, per stare insieme occorre rispettare le regole che ci si è dati.

Si giustifica per questa ragione la parentesi della Grecia dopo il colpo di stato militare.

Decenni dopo, i popoli centro-europei, baltici e del Caucaso poterono scegliere, a loro volta, di aderire al Consiglio d’Europa e, con questa decisione, di schierarsi per la salvaguardia dei diritti umani, la vigenza dello Stato di diritto, lo sviluppo della democrazia.

Come ha sottolineato il Presidente della Repubblica Italiana, Sandro Pertini – intervenendo dinanzi a questa Assemblea esattamente 39 anni fa, il 27 aprile del 1983 – occorre talvolta saper esercitare il “coraggio della rinuncia”, quando la separazione di un Paese membro del Consiglio d’Europa appare necessaria per non tradire l’ispirazione che ha dato vita a questa istituzione.

L’obiettivo hitleriano che condusse alla Seconda guerra mondiale era quello di fare della Germania la potenza prevalente con un ruolo dominante su altri popoli e altri Paesi.

Fu un disegno che coinvolse regimi di numerose altre nazioni – il Regno d’Italia fra queste – e che fu battuto dalla coscienza civile internazionale.

Ma il registro della storia ci ricorda come stabilità e pace non siano garantite una volta per sempre: ce lo testimoniano drammatiche e tristi vicende nei Balcani, nel Caucaso, nel Mar Nero.

La pace non si impone automaticamente, da sola, ma è frutto della volontà degli uomini.

Viviamo oggi, nuovamente, l’incubo – inatteso perché imprevedibile – della guerra nel nostro Continente.

Si pratica e si vorrebbe imporre l’arretramento della storia all’epoca delle politiche di potenza, della sopraffazione degli uni sugli altri, della contrapposizione di un popolo – mascherato, talvolta, sotto l’espressione “interesse nazionale” – contro un altro.

Imperialismo e neo-colonialismo non hanno più diritto di esistere nel terzo millennio, quali che siano le sembianze dietro le quali si camuffano.

Non è più il tempo di una visione tardo-ottocentesca, e poi stalinista, che immagina una gerarchia tra le nazioni a vantaggio di quella militarmente più forte. Non è più il tempo di Paesi che pretendano di dominarne altri.

L’opzione è stata effettuata da tempo con il passaggio delle relazioni internazionali dalla estraneità agli aspetti giuridici alla civiltà del diritto.

Di fronte a un’Europa sconvolta dalla guerra nessun equivoco, nessuna incertezza è possibile.

La Federazione Russa, con l’atroce invasione dell’Ucraina, ha scelto di collocarsi fuori dalle regole a cui aveva liberamente aderito, contribuendo ad applicarle.

La deliberazione di questa Assemblea parlamentare – del Consiglio d’Europa – di prendere atto della rottura intervenuta è coerente con i valori alla base dello Statuto dell’organizzazione, che indica la strada di una unione più stretta delle aspirazioni comuni dei popoli europei.

La responsabilità della inevitabile sanzione adottata ricade interamente sul Governo della Federazione Russa. Desidero aggiungere: non sul popolo russo, la cui cultura fa parte del patrimonio europeo e che si cerca colpevolmente di tenere all’oscuro di quanto realmente avviene in Ucraina.

Non si può arretrare dalla trincea della difesa dei diritti umani e dei popoli.

Si tratta di principi che hanno saputo incarnarsi nella storia della seconda metà del ‘900 e, a maggior ragione, devono sapersi consolidare oggi.

La ferma e attiva solidarietà nei confronti del popolo ucraino e l’appello al Governo della Federazione Russa perché sappia fermarsi, ritirare le proprie truppe, contribuire alla ricostruzione di una terra che ha devastato, è conseguenza di queste semplici considerazioni.

Alla comunità internazionale tocca un compito: ottenere il cessate il fuoco e ripartire con la costruzione di un quadro internazionale rispettoso e condiviso che conduca alla pace.

Un grande intellettuale, Paul Valery – passato attraverso le due guerre mondiali – richiamava i concittadini europei a prendere coscienza di vivere in un mondo “finito”. “Non c’è più terra libera” – scriveva – nessun lembo del globo è più da scoprire.

Se nessuno è più estraneo a nessuno, si interrogava il Presidente Pertini, non è giunto il tempo che gli uomini apprendano a essere in pace con se stessi?

Potremmo oggi aggiungere: in un mondo sempre più interconnesso, nel quale sono sostanzialmente venute meno le distanze, in cui ciascuna persona può comunicare, e sovente comunica, in tempo reale, con interlocutori in ogni parte del mondo, non c’è posto, è anacronistico parlare di sfere di influenza territoriali.

Il contesto internazionale presenta contraddizioni, a partire dalla stessa Federazione Russa, responsabile della violazione di tutte le principali carte definite nell’ambito degli organismi multilaterali, e che si trova paradossalmente a invocare l’intervento dell’Organizzazione Mondiale del Commercio contro le sanzioni imposte dalla comunità internazionale.

Mentre il conflitto ha ulteriormente indebolito il sistema internazionale di regole condivise – e il mondo, come conseguenza, è divenuto assai più insicuro – la via di uscita appare, senza tema di smentita, soltanto quella della cooperazione e del ricorso alle istituzioni multilaterali.

Sembrano giungere a questa conclusione anche quei Paesi che, pur avendo rifiutato sin qui di riconoscere la giurisdizione della Corte Penale Internazionale, ne invocano, invece, oggi, l’intervento, affinché vengano istruiti processi a carico dei responsabili di crimini, innegabili e orribili, contro l’umanità, quali quelli di cui si è resa colpevole la Federazione Russa in Ucraina, riconoscendo in tal modo il ruolo necessario di quella Corte.

Se la voce delle Nazioni Unite è apparsa chiara nella denuncia e nella condanna ma, purtroppo, inefficace sul terreno, questo significa che la loro azione va rafforzata, non indebolita.

Significa che iniziative, come quella promossa dal Liechtenstein e da altri 15 Paesi, per evitare la paralisi del Consiglio di Sicurezza dell’Onu vanno prese in seria considerazione.

La guerra è un mostro vorace, mai sazio. La tentazione di moltiplicare i conflitti è sullo sfondo dell’avventura bellicista intrapresa da Mosca.

La devastazione apportata alle regole della comunità internazionale potrebbe propagare i suoi effetti se non si riuscisse a fermare subito questa deriva. Dobbiamo saper scongiurare il pericolo dell’accrescersi di avventure belliche di cui, l’esperienza insegna, sarebbe poi difficile contenere i confini.

Dobbiamo saper opporre a tutto questo la decisa volontà della pace.

Diversamente ne saremo travolti.

Per un attimo, esercitiamoci – prendendole a prestito dal linguaggio della cosiddetta “guerra fredda” – a compitare insieme parole che credevamo cadute ormai in disuso, per vedere se possono aiutarci a riprendere un cammino, per faticoso che sia.

Distensione: per interrompere le ostilità.

Ripudio della guerra: per tornare allo statu quo ante.

Coesistenza pacifica, tra i popoli e tra gli Stati.

Democrazia – come ci insegna il prezioso lavoro della Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa – come condizione per il rispetto della dignità di ciascuno.

Infine, Helsinki e non Jalta: dialogo, non prove di forza tra grandi potenze che devono comprendere di essere sempre meno tali.

Prospettare una sede internazionale che rinnovi radici alla pace, che restituisca dignità a un quadro di sicurezza e di cooperazione, sull’esempio di quella Conferenza di Helsinki che portò, nel 1975, a un Atto finale foriero di sviluppi positivi. E di cui fu figlia la Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa.

Si tratta di affermare con forza il rifiuto di una politica basata su sfere di influenza, su diritti affievoliti per alcuni popoli e Paesi e, invece, proclamare, nello spirito di Helsinki, la parità di diritti, la uguaglianza per i popoli e per le persone.

Secondo una nuova architettura delle relazioni internazionali, in Europa e nel mondo, condivisa, coinvolgente, senza posizioni pregiudizialmente privilegiate.

La sicurezza, la pace – è la grande lezione emersa dal secondo dopoguerra – non può essere affidata a rapporti bilaterali – Mosca versus Kiiv -. Tanto più se questo avviene tra diseguali, tra Stati grandi e Stati più piccoli.

Garantire la sicurezza e la pace è responsabilità dell’intera comunità internazionale. Questa, tutta intera, può e deve essere la garante di una nuova pace.

Avviandomi alla conclusione, vorrei sottolineare come la possibilità di rivolgermi a voi di persona – potendo così dare manifestazione del bisogno basilare di comunicazione diretta – è sicuramente un vantaggio.

Abbiamo vissuto una lunga fase di difficoltà a causa della pandemia, con momenti drammatici. Il virus non è ancora debellato, ma abbiamo imparato a combatterlo, ad attenuarne gli effetti.

Desidero, in questa sede, rendere omaggio a tutti coloro che, a costo di rischi personali, talvolta con il sacrificio della vita, hanno contribuito a conseguire i risultati di cui oggi  possiamo giovarci.

Penso in primo luogo al personale medico e sanitario, cui va tutta la nostra riconoscenza, ai ricercatori e agli scienziati, ma anche ai molti operatori, volontari, professionisti che a vario titolo ci hanno aiutato a superare questa prova.

Una volta di più abbiamo avuto conferma di quanto valga la cooperazione internazionale. La comunità scientifica internazionale ha operato al di sopra dei confini, scambiando dati, conoscenze risultati di esperienze, avanzamenti di ricerca.

Non poteva esservi richiamo più convincente; e si sperava che questo esempio di collaborazione contro un nemico comune dell’umanità fosse recepito dai governi degli Stati, sospingendo verso la ricerca del dialogo, della condivisione, della cooperazione.

Tutto questo non fa dimenticare che, se oggi possiamo sperare che il peggio sia ormai alle nostre spalle, è grazie al civismo dei nostri concittadini, al senso di responsabilità che hanno manifestato, alla loro collaborazione nelle misure per attenuare la diffusione del virus e nel garantire il successo delle campagne vaccinali. Senza il loro contributo non sarebbe stato possibile sconfiggere, oltre al Covid-19, il virus pernicioso della disinformazione e della sfiducia nella scienza.

Le nostre istituzioni hanno dimostrato capacità di saper reagire rapidamente, le nostre società hanno evidenziato una resilienza rassicurante.

Vorrei manifestare apprezzamento per il contributo, fornito dal Consiglio d’Europa agli Stati membri, affinché la risposta alla pandemia si svolgesse entro ambiti rispettosi dei diritti e delle libertà fondamentali; ponendo sempre al centro la persona umana e la sua insopprimibile dignità.

È un aspetto da non dare mai per scontato, un successo europeo del quale possiamo andare giustamente fieri.

Signore e Signori,

la Repubblica Italiana ha convintamente contribuito alla nascita di questa Organizzazione, alla sua crescita e alla sua piena affermazione, quale punto di riferimento imprescindibile nel sistema multilaterale in difesa dei valori di libertà e di affermazione dei principi dello Stato di diritto.

E’ una funzione che continua a manifestarsi preziosa, alla quale tutti gli organi del Consiglio d’Europa, e gli Stati membri, sono chiamati a concorrere.

E’ quanto abbiamo puntato a ribadire responsabilmente in occasione di questa ottava presidenza italiana del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa.

La generazione dei fondatori ha saputo edificare, su cumuli di macerie materiali, morali e giuridiche, questa comunità multilaterale, guardando al futuro. Confidiamo di avere custodito fedelmente questo patrimonio; di averlo difeso come un bene prezioso.

Ma se il compito non è esaurito, tocca proprio a noi corrispondere alle sfide di oggi, sviluppandone e attuandone i principi.

Auguri di buon lavoro – quindi – a tutti noi e grazie dell’attenzione.

Luigi BobbaIntervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa
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Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’Istituto Salesiano “G. Bearzi” di Udine

Le parole del Presidente Mattarella – di valorizzazione ed incoraggiamento per la IeFP e per tutta la formazione professionale – pronunciate durante la visita al centro di formazione Bearzi ad Udine, sono una lezione magistrale sul tema del lavoro, sull’importanza della sicurezza, sullo sviluppo umano dell’economia e delle comunità, e sul valore della pace.

Udine, 29/04/2022 (II mandato)

In questo tempo difficile è di conforto trovarsi sotto l’immagine rassicurante di Don Bosco.

Desidero rivolgere un saluto molto cordiale al Presidente della Regione, al Sindaco e, attraverso di loro, a tutte le cittadine e a tutti i cittadini del Friuli e di Udine.

Un saluto a tutti i presenti. Vorrei rivolgermi particolarmente, con intensità speciale, ai familiari di Lorenzo Parelli che ringrazio per la loro presenza e per l’incontro che poc’anzi abbiamo avuto.

Ringrazio Don Teston e il Professor Armano per le parole che hanno pronunziato, per le considerazioni svolte, e anche per l’opportunità di poter visitare poc’anzi i locali del Bearzi, incontrando i bambini e i ragazzi delle elementari e delle medie e, nei laboratori, i ragazzi più grandi, con la dimostrazione di alcune cose di grande interesse che stavano svolgendo.

Matteo Lorenzon, poc’anzi, ha dato voce – a nome di tanti – a un’amicizia che mai verrà meno. Il segno di Lorenzo è destinato a rimanere nella vita di chi lo ha conosciuto, di chi lo ha amato, di chi ha apprezzato la sua passione.

Io sono qui anzitutto per esprimere la mia vicinanza e la mia partecipazione all’immenso e insanabile dolore dei genitori, della sorella, degli amici e dei compagni di Lorenzo.

È una ferita profonda che interroga l’intera comunità, a cominciare dalla quella scolastica di cui era parte, dai ragazzi e dagli insegnanti del suo corso di formazione professionale.

La natura del suo percorso formativo lo aveva portato in azienda. Ma è accaduto quel che non può accadere, quel che non deve accadere.

La morte di un ragazzo, di un giovane uomo, con il dolore lancinante e incancellabile che l’accompagna, ci interroga affinché non si debbano più piangere morti assurde sul lavoro.

La sicurezza nei luoghi di lavoro è un diritto, una necessità; assicurarla è un dovere inderogabile. Questa esigenza fondamentale sarà al centro della cerimonia di dopodomani, Primo Maggio, al Quirinale.

Ma quest’anno anticipiamo qui la celebrazione della Giornata del Lavoro, in omaggio a Lorenzo e a tutti coloro che hanno perso la vita sui luoghi di lavoro, affinché si manifesti con piena chiarezza che non si tratta di una ricorrenza rituale, astratta, ma di un’occasione di richiamo e di riflessione concreta sulle condizioni del diritto costituzionale al lavoro.

Il valore del lavoro, per voi giovani, e per chiunque, non può essere associato al rischio, alla dimensione della morte.

La sicurezza sul lavoro si trova alle fondamenta della sicurezza sociale, cioè del valore fondante di una società contemporanea.

Quando si parla di diritto al lavoro, di diritti del lavoro, di diritti sui posti di lavoro, sovente non sono i giovani al centro delle preoccupazioni.

E, quando è così, è un atteggiamento sbagliato.

Il ritardo – un ritardo che ci mette in coda alle statistiche europee – con il quale gran parte delle nuove generazioni riesce a trovare una occupazione non è condizione normale.

Sono quindi apprezzabili i percorsi che accompagnano i giovani ad entrare nel mondo del lavoro.

Un mondo che deve rispettarli nella loro dignità di persone, di lavoratori, di cittadini.

Che dia ai giovani quel che loro spetta, che consenta loro di esprimere le proprie capacità, affinché possano costruire il domani.

È una necessità per il futuro stesso dell’intera società.

La cronica mancanza di lavoro per le nuove generazioni – particolarmente in alcune aree – è una questione che va affrontata con impegno e con determinazione.

Accorciare la distanza tra giovani e lavoro è condizione indispensabile di sviluppo e di sostenibilità per l’intero Paese, tanto più in presenza di una crisi demografica che ha ridotto in notevole misura la presenza dei giovani nelle comunità.

Occorre liberare le giovani generazioni da quegli impedimenti, da quella compressione di energie, che molteplici fattori strutturali hanno via via opposto al loro naturale cammino.

La crescita complessiva del livello di istruzione e, in essa, della formazione tecnica e professionale qualificata, è fondamentale. Cambia la vita delle persone.

Esperienze come questa in cui ci troviamo, il Bearzi, – come è stato poc’anzi sottolineato opportunamente – sono uno strumento di forte contrasto alla dispersione scolastica e, sovente, sollecitano il raggiungimento di un titolo di studio secondario superiore.

Le risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sono un’occasione da cogliere anche per modificare questi squilibri generazionali che hanno il loro fulcro nel lavoro ma che riguardano anche la casa e il welfare, insomma le condizioni per progettare in autonomia il proprio futuro e dar vita a una famiglia.

Il tempo della pandemia ha colpito fortemente i giovani in età scolare, lasciando in queste fasce d’età l’eredità forse più pesante.

Non tornerà certo il mondo di prima della pandemia. O faremo un deciso passo in avanti, e siamo in grado di farlo, o rischiamo di tornare indietro.

I giovani chiedono scelte lungimiranti, cui è necessario corrispondere.

Anche a loro, naturalmente, viene chiesto impegno. Il futuro si realizza meglio se i giovani ne diventano sin d’ora protagonisti. Come è accaduto in tanti passaggi importanti della nostra storia.

Viviamo una stagione intensa, per molti versi drammatica, ma il modo più efficace per affrontarla è non rinunciare a progettare il futuro, a progettare il domani, a guardare lontano.

Nel momento in cui la ripresa sembrava avviata, anche con ritmi maggiori rispetto a molte delle previsioni, più confortanti, più promettenti, è intervenuta una guerra insensata, provocata dall’aggressione militare russa contro il popolo ucraino, che va sostenuto nella sua resistenza.

Il traguardo di umanità a cui è necessario tendere resta la pace.

Ben lo sanno i giovani, ai quali la Repubblica, in questi 76 anni, ha saputo assicurare la pace.

La pace, che è inscindibilmente connessa alla libertà, al diritto, alla giustizia, allo sviluppo nel benessere dei nostri Paesi e delle nostre città.

Il Primo maggio sollecita a porre il lavoro al centro del nostro agire e del nostro pensare.

Il lavoro, come dice la Costituzione, è la base su cui è vive la Repubblica.

È stato il lavoro degli italiani a consentire nei decenni crescita sociale, economica, civile.

Il lavoro ci ha reso, soprattutto, ciò che siamo.

Ha ampliato i diritti, ha dato concretezza alla grande speranza di pace e sviluppo che animava i giorni della Liberazione.

Con il lavoro si contribuisce al benessere collettivo, si partecipa con pienezza alla vita di comunità.

Il lavoro è motivo di dignità per ogni donna e ogni uomo.

Ne abbiamo tanti esempi, anche in questa terra, intorno a noi.

L’emergenza sanitaria, la guerra, l’aumento dei prezzi dell’energia e di molte materie prime, l’inflazione incidono sulla nostra vita quotidiana e spingono a riflettere sulle responsabilità che gravano sugli Stati per poter garantire la sicurezza della salute e la pace.

Al nostro interno siamo chiamati a operare per ridurre quegli squilibri di struttura di cui da tempo soffriamo.

La transizione ecologica e digitale resta la direttrice delle politiche pubbliche, anche di fronte alle nuove difficoltà.

In gioco non c’è soltanto l’entità dello sviluppo. In gioco c’è la capacità di essere all’altezza delle sfide globali e di esercitare un ruolo di avanguardia. In gioco c’è la riprogettazione dei modelli produttivi sui quali si è assestato il modello di sviluppo europeo e italiano.

La formazione può aiutare a colmare divari importanti.

Non abbiamo tempo da perdere. Qualificare le professionalità, sostenere nuovi profili, aggiornare le competenze lungo tutto l’arco della vita lavorativa: così una comunità può progredire.

La ripresa economica seguita alla fase più acuta della pandemia ci ha permesso una risalita incoraggiante dell’occupazione, unita a una crescita del Pil, delle produzioni industriali, dei consumi. Dobbiamo cercare, malgrado le nuove difficoltà, di garantire questo percorso, che è segno di una società attiva, dinamica, con grandi potenzialità, con grandi risorse umane.

È appena il caso di ricordare che la crescita duratura richiede e impone che il lavoro cresca. In quantità e in qualità.

Diversamente, che senso avrebbe lo sviluppo se al benessere prodotto non avessero a partecipare i nostri concittadini?

Crescere in qualità significa anche affrontare il tema della precarietà. Un problema acuto e una spina nel fianco della coesione sociale.

Continuiamo a registrare lavoro irregolare, che talvolta varca il limite dello sfruttamento, persino della servitù.

Non mancano lavoratori poveri e pensionati poveri, ai quali il reddito percepito non è sufficiente, anche in ragione del carico familiare o dell’assistenza a persone con gravi difficoltà.

La resilienza e la volontà di ripresa, il desiderio dei giovani di “vivere”, sono stati essenziali in questi due anni, caratterizzati da misure di sostegno di carattere eccezionale – sorrette dalla Unione Europea – che hanno riguardato vasti settori sociali e produttivi.

Tante sono le sfide davanti a noi in questi tempi non facili.

L’Italia ha dimostrato nei mesi passati di possedere le qualità morali per non lasciarsi confondere, per non lasciarsi distrarre dal proprio cammino e dai propri valori.

Quando aumentano le difficoltà siamo capaci di trarre una forza supplementare dalla unità di intenti, che pure fa salva la diversità e la ricchezza degli apporti. È parte della nostra cultura, della nostra civiltà.

Il lavoro è espressione di questa coesione, di questa spinta all’unità, di consapevolezza di un destino comune.

Una forza preziosa che ci serve particolarmente in questa stagione, in questo periodo così difficile.

Buon lavoro per l’oggi. Buona preparazione per il lavoro di domani.

Auguri.

Luigi BobbaIntervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’Istituto Salesiano “G. Bearzi” di Udine
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Pd, Delrio: “Governo stanco, il Parlamento lo aiuti. Il proporzionale è utile”

L’ex ministro: “L’esecutivo si è fermato in attesa del voto per il Quirinale. Ora il tempo non va sprecato. Seguiamo l’agenda Mattarella”

ROMA — “In questi mesi il governo è apparso un po’ stanco, un po’ fermo, forse in attesa dell’appuntamento del Quirinale. Un atteggiamento anche legittimo. Ma ora il tempo non va sprecato”. Per Graziano Delrio, ex ministro ed ex capogruppo del Pd, deputato dell’area cattolico-democratica, un occhio al cronometro, alla scadenza della legislatura, dovrebbe tenerlo anche il Parlamento. Non per interessi di bottega. “La politica si innamora del quotidiano, c’è il rischio che l’appello di Mattarella finisca nel dimenticatoio, mentre i partiti si guardano l’ombelico e fanno campagna elettorale. Invece l’agenda del presidente deve spingere tutti a volare alto: lotta alle diseguaglianze, alle sofferenze del precariato, alle discriminazioni, più sicurezza sui luoghi di lavoro. Per questo ci siamo mossi come Pd”.
Giovedì in Parlamento 55 applausi per Mattarella. Ha notato, oltre all’orgoglio per la difesa della rappresentanza parlamentare, anche un filo di ipocrisia da parte delle Camere, che su tanti temi sono state finora assenti o in ritardo?
“Sinceramente no. Mi sembra che gli applausi abbiano voluto ribadire la convinzione di essersi affidati alla guida saggia di Mattarella. E il Parlamento per la rielezione è stato decisivo. Era un riconoscimento, non ipocrita. Ma perché quell’applauso sia sincero fino in fondo serve un’iniziativa vera. Non perdere tempo in una campagna elettorale permanente, ma realizzare gli obiettivi che servono al Paese”.
Quali sono le priorità del Pd?
“La priorità è il lavoro. Oltre allo sforzo del governo sul Pnrr, mi aspetto una svolta decisa per ridurre le diseguaglianze e la precarietà. Il Pd ha messo in agenda già dal 2018 il salario minimo. Un altro punto era la parità salariale uomo-donna e l’assegno unico per le famiglie, per incidere sulla crisi demografica. Il congedo parentale per i papà va portato da 7 giorni a 3 mesi. È fondamentale continuare a ridurre il cuneo fiscale sul lavoro, spostando il carico sulla rendita finanziaria. Va rivisto il sistema dell’alternanza scuola-lavoro. Oggi si fanno solo stage, sottopagati, e poca formazione. C’è naturalmente la riforma della giustizia. Nessuno però deve piantare bandierine”.

L’attivismo di un Parlamento così frammentato può danneggiare il ritmo di marcia del governo?
“Il rischio c’è. Ma dobbiamo evitarlo, è il tempo del coraggio per le forze politiche. La parola dignità pronunciata più volte dal presidente Mattarella va messa ora davanti alla politica. Il Parlamento non avrebbe scusanti se indugiasse in questo momento”.

Grandi manovre al Centro. Brunetta ieri su questo giornale ha parlato di “bipolarismo bastardo”. È finito, dunque, il bipolarismo?
“Per me no. Il progetto del Centro di cui sento parlare è già vecchio, questa società chiede programmi chiari e alleanze per raggiungerli. Non si deve tornare al proporzionale per avere partiti che possono fare indifferentemente scelte di un tipo o dell’altro. Il Pd, per intenderci, non farà mai l’alleanza con chi propone la flat tax. Poi come democratici dobbiamo avere l’ambizione di rappresentare tutti gli strati sociali, dai precari all’imprenditore che vuole pagare meno tasse sul lavoro per i dipendenti. Non deleghiamo ad altri la rappresentanza della società, nemmeno del Centro”.

Renzi è ancora un alleato del Pd?
“Bersani, Renzi e Calenda sono tutte persone uscite dal Pd. Sarebbe un errore pensare che non ci siano prospettive di alleanza con loro. È un filo che non va rotto”.

Il Pd però discute sul proporzionale.
“Il proporzionale è utile per gli equilibri istituzionali e se si ritrova un rapporto diretto elettore-eletto, ma mi auguro che venga conservato uno spirito maggioritario. Nel senso di proporre e realizzare obiettivi con alleanze chiare davanti agli elettori”.

A proposito di alleanze. Lo scontro Conte-Di Maio indebolisce l’asse Pd-M5S?
“Noi non siamo sugli spalti a fare il tifo per qualcuno, ma in un partito maturo la democrazia interna è fondamentale. Quindi difendiamo sempre i dibattiti, rispettiamo i percorsi. Mi pare che la loro discussione non metta in dubbio, almeno spero, l’alleanza con noi. Riguarda altro. E la nostra convergenza con il M5S è sui temi, l’idea di una società che abbraccia l’ecologia integrale, cioè ambientale, sociale ed economica. Certo, abbiamo interesse ad avere al nostro fianco un alleato forte”.

Ci sono margini per approvare lo Ius Soli entro fine legislatura? Il Pd ci proverà?
“Sì, il nostro desiderio c’è. E in Parlamento ci sono diversi progetti di riforma. Ma non dobbiamo essere ipocriti: non è un’operazione facilissima. Sono convinto però che quando si allargano i diritti, per la società sia sempre un guadagno”.

Luigi BobbaPd, Delrio: “Governo stanco, il Parlamento lo aiuti. Il proporzionale è utile”
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Bobba da Mattarella per il “report” di Terzjus

EVENTO / Riforma del 3° settore: «Serve un’accelerazione»

Si è svolto giovedì 1°luglio, l’incontro tra il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e una delegazione di Terzjus, formata dal presidente, Luigi Bobba, il segretario generale, Gabriele Sepio, e il direttore scientifco, Antonio Fici, per presentare e consegnare il primo Terzjus Report sulla Riforma del Terzo Settore, che è stato oggetto di un seminario nella Sala Capitolare del Senato della Repubblica.

«Siamo onorati – commenta Bobba – di avere avuto la possibilità di incontrare il presidente Mattarella e di potergli presentare il rapporto “Riforma in movimento”, redatto in occasione del primo compleanno diTerzjus. Con il presidente abbiamo sottolineato la novità della nuova legislazione, che si è proposta di dare un vestito unitario al mondo del Terzo Settore. Ma non bastano nuove norme per conseguire l’obiettivo di valorizzare quell’“Italia che ricuce”, è necessario infatti camminare tutti nella stessa direzione, solo così il Terzo Settore potrà veramente diventare struttura portante dell’intero Paese. Dai risultati del rapporto – conclude Bobba – viene un invito forte alle istituzioni preposte all’attuazione della riforma, non solo ad accelerare il passo, ma anche ad accompagnare con adeguate risorse questo importante cambiamento».

leggi l’articolo su Corriere Eusebiano di sabato 17 luglio 2021

Luigi BobbaBobba da Mattarella per il “report” di Terzjus
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Luigi Bobba al Quirinale per presentare il primo rapporto sullo stato e sulle prospettive della legislazione sul Terzo Settore in Italia

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella incontra il Sen.Luigi BOBBA,Presidente di TERZJUS
(foto di Francesco Ammendola – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Presente anche il vercellese Gianfranco Astori, Consigliere per l’informazione del Presidente.

Si è svolto ieri, 1° luglio, l’incontro tra il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e una delegazione di Terzjus, formata dal Presidente, Luigi Bobba, il Segretario Generale, Gabriele Sepio, e il Direttore Scientifico, Antonio Fici, per presentare e consegnare il primo Terzjus Report sulla Riforma del Terzo Settore, che stamani è oggetto di un seminario presso la Sala Capitolare del Senato della Repubblica.

“Siamo onorati – commenta Luigi Bobba – di avere avuto la possibilità di incontrare il Presidente Mattarella e di potergli presentare il rapporto “Riforma in movimento”, redatto in occasione del primo compleanno di Terzjus. Con il Presidente abbiamo sottolineato la novità della nuova legislazione, che si è proposta di dare un vestito unitario al mondo del Terzo Settore. Ma non bastano nuove norme per conseguire l’obiettivo di valorizzare quell’”Italia che ricuce”, è necessario infatti camminare tutti nella stessa direzione, solo così il Terzo Settore potrà veramente diventare struttura portante dell’intero Paese. Dai risultati del rapporto – conclude il Presidente Bobba – viene un invito forte alle istituzioni preposte all’attuazione della riforma, non solo ad accelerare il passo, ma anche ad accompagnare con adeguate risorse questo importante cambiamento.”

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel corso dell’incontro con il Sen.Luigi BOBBA,Presidente di TERZJUS e una delegazione
(foto di Francesco Ammendola – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Luigi BobbaLuigi Bobba al Quirinale per presentare il primo rapporto sullo stato e sulle prospettive della legislazione sul Terzo Settore in Italia
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Terzjus Report 2021 “Riforma in movimento” sarà consegnato il 1° luglio al Presidente della Repubblica e presentato, il 2 luglio, al convegno in Senato con Andrea Orlando e Nicolas Schmit

COMUNICATO STAMPA

Luigi Bobba: Terzjus Report 2021 “Riforma in movimento” sarà consegnato il 1° luglio al Presidente della Repubblica e presentato, il 2 luglio, al convegno in Senato con Andrea Orlando e Nicolas Schmit

Terzjus festeggia il suo primo compleanno con l’avvio di una collana di Report – annuali sull’Italia e biennali con un profilo europeo – il 2 luglio alle ore 11, in diretta dalla Sala Capitolare del Senato della Repubblica, con la presentazione al pubblico del Terzjus Report 2021 “Riforma in movimento”.

L’evento, che si potrà seguire in diretta sulla web tv del Senato della Repubblica e sui canali YouTube del Senato e di Terzjus, ha ottenuto anche il contributo del Commissario Europeo per l’occupazione, gli affari sociali e l’integrazione, Nicolas Schmit, che verrà trasmesso all’inizio del convegno. “L’economia sociale – afferma il Commissario Schmit – può svolgere un ruolo chiave nello sforzo della ricostruzione delle nostre economie e società post pandemia che ci trova tutti impegnati a livello nazionale e europeo. Pertanto, il rapporto di Terzjus è particolarmente pertinente in quanto coglie le attuali sfide delle organizzazioni dell’economia sociale.”

Terzjus Report 2021, che si compone di cinque sezioni e racchiude i contributi di accademici, esperti e professionisti del settore, rappresenta sia un utile strumento per analizzare, anche in chiave propositiva, l’evoluzione della legislazione sia un “manuale d’istruzioni” per informare, guidare e supportare tutte le organizzazioni a navigare il nuovo diritto del Terzo settore. Contiene inoltre la survey digitale messa in opera insieme ad Italia non profit, ed è realizzato con il supporto di Fondazione Cariplo, Fondazione Unipolis e dell’Associazione delle fondazioni di origine bancaria del Piemonte, con il contributo di Cattolica Assicurazioni per la pubblicazione a cura dell’Editoriale Scientifica di Napoli

Si parte perciò anche e soprattutto dal basso, dalle sollecitazioni dei soci che hanno dato vita a Terzjus, dalle difficoltà concrete che tutti i giorni gli operatori e dirigenti del Terzo Settore affrontano, dai progetti delle tante realtà associative cooperative e di volontariato, dai cittadini beneficiari, facendo squadra con il Comitato scientifico di Terzjus, guidato da Antonio Fici e un network di accademici e professionisti giuridici, finanziari, economiche sociali per monitorare l’attuazione della riforma più importante del Terzo Settore e formulare proposte e suggerimenti.

Una costante metodologica del Presidente di Terzjus, Luigi Bobba, che ha usato la medesima modalità da promotore della stessa Riforma del Terzo settore, – come Sottosegretario al Ministero del Lavoro nella precedente legislatura – e da poco nominato membro del Comitato Nazionale del Terzo Settore. “Siamo orgogliosi di celebrare questo compleanno così importante – dichiara Luigi Bobba – non solo dando vita al 1° Terzjus Report, ma soprattutto avendo la possibilità di consegnarlo al Presidente della Repubblica il 1° luglio, condividendo con lui le sfide che dal nostro Osservatorio abbiamo colto e provato ad affrontare. Un segnale, quello del Presidente Mattarella, di costante attenzione al riconoscimento e alla promozione del Terzo settore, oggi più che mai “struttura portante” dell’intero Paese.

Il Terzjus Report 2021 potrà essere scaricato gratuitamente dal sito www.terzjus.it a partire dal 2 luglio.

Link per seguire l’evento:
https://www.youtube.com/user/SenatoItaliano
https://www.youtube.com/channel/UC30WOLTsOvgnOCelO-GGI9A
https://webtv.senato.it

Programma dell’evento

Luigi BobbaTerzjus Report 2021 “Riforma in movimento” sarà consegnato il 1° luglio al Presidente della Repubblica e presentato, il 2 luglio, al convegno in Senato con Andrea Orlando e Nicolas Schmit
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Fisco, Terzo settore & Europa: facciamo chiarezza

Equivoci e paradossi nella comprensione delle norme fiscali: il punto sui rapporti tra Italia e Europa per valorizzare il ruolo del Terzo settore italiano. Stiamo pagando l’errore di pensare che gli enti non commerciali e gli enti non profit in senso ampio siano immuni per definizione dal vaglio delle regole UE. Con la riforma del Terzo settore si è scelta una strada diversa, quella della compatibilità con le regole europee. Il tempo dei proclami sul “fermate tutto perché si poteva fare meglio e di più” è ormai superato dal buon senso

Con la legge di bilancio torna alla ribalta il tema fiscale degli enti del Terzo settore (ETS). Abbiamo già vissuto questa esperienza nello stesso periodo di un paio di anni fa quando fu abrogata la cosiddetta “tassa sulla bontà”. In sostanza era stata soppressa la norma che consente di abbattere della metà l’imposta sul reddito degli enti non profit. In quella occasione molte furono le proteste sollevate dal mondo associativo e del volontariato sostenute anche da una buona parte della politica e soprattutto dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che nel discorso di fine anno fece un memorabile richiamo all’essenziale ruolo svolto dal Terzo settore. Da quella vicenda scaturirono due risultati. (continua)

leggi l’articolo di Gabriele Sepio si Vita.it del 14 dicembre 2020

Luigi BobbaFisco, Terzo settore & Europa: facciamo chiarezza
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Luigi Bobba: “Ets come partner di progetto dello Stato”, L’Avvenire, 9 dicembre 2020

Caro Direttore,

Le parole di Papa Francesco e del Presidente Mattarella in due recenti occasioni aiutano mettere a fuoco il ruolo del volontariato e dell’impegno civico dentro questa inquietante crisi pandemica.

Il Pontefice, rivolgendosi a 2000 giovani economisti virtualmente riuniti ad Assisi, ha parlato di quanto sia “cruciale” l’opera del Terzo settore, anche se non sempre è in grado di “affrontare strutturalmente gli attuali squilibri che colpiscono i più esclusi”. Il Presidente Mattarella, a sua volta, in occasione del Giornata internazionale del Volontariato, lo ha definito “volano di solidarietà”, che concorre“alla creazione di una società più equa e priva di pregiudizi…”. Sia Papa Francesco che il Presidente Mattarella attribuiscono al Terzo settore non un ruolo ancillare volto semplicemente a lenire i guai di una società divorata dalle diseguaglianze, bensì ne esaltano la funzione di formazione all’impegno civico e solidaristico.

È proprio da questi assunti valoriali che muove il seminario organizzato da Terzjus – Osservatorio giuridico del Terzo settore – “Promuovere i beni comuni: verso un’amministrazione condivisa” per mettere a fuoco il tema della collaborazione tra Amministrazioni pubbliche ed Enti del Terzo settore. Con l’intento di valorizzare gli articoli 55 e 56 del Codice del Terzo settore – oggetto di una recente sentenza della Corte Costituzionale – che definiscono gli istituti “dell’Amministrazione condivisa”. Non si tratta solo di un’innovazione normativa, ma di un cambio culturale: lo Stato non è più il solo titolare dell’interesse generale, ma, nella messa in campo di risposte ai bisogni della comunità, le Amministrazioni si avvalgono degli Enti di Terzo settore (ETS) non come meri fornitori, ma come “partner di progetto”. C’è una “comunione di scopo” tra Amministrazioni ed Enti del Terzo settore che può essere la base per aprire una nuova stagione. Ma senza un riconoscimento del ruolo originale e trasformativo del Terzo settore, molte energie degli ETS rischiano di rimanere ingabbiate o non valorizzate. è il rischio che si sta materializzando nell’applicazione della riforma del Terzo settore dell’agosto 2017. Infatti, insieme a passi avanti importanti, ci sono non poche misure che sono rimaste sulla carta. Mi riferisco al Social bonus, ai Titoli di solidarietà, a diverse misure fiscali relative agli ETS e alle imprese sociali. Tale ritardo ha già provocato un mancato utilizzo delle risorse del Fondo destinato alla riforma per quasi 70 milioni nel 2019/2020, che diverranno più di 100 nel 2021 in carenza di rapide decisioni. Di qui un forte invito al Presidente del Consiglio ad utilizzare la “Cabina di regia”, prevista dal Codice, per dare impulso alla riforma coinvolgendo i Ministeri interessati, il Forum del Terzo settore, le Autonomie locali e la Fondazione Italia sociale. Perché il Terzo settore non deve essere costretto a giocare sulla difensiva rincorrendo i diversi provvedimenti o contrastando norme irragionevoli e dannose come quella inserita nella legge di bilancio sul regime Iva per migliaia di piccole associazioni di promozione sociale. I tempi urgono: ma prima della approvazione della stessa, è ancora possibile riparare i danni e mettere a mano a poche e concrete modifiche alle norme fiscali che riguardano gli ETS. Infine, il Governo, mentre predispone le linee guida del Recovery Fund, ascolti la sollecitazione rivolta da più parti di attivare un Action plan per il Terzo settore, considerando – come sta facendo la Commissione Europea – l’economia sociale e di prossimità uno dei cluster industriali su cui puntare per un sviluppo più inclusivo del Paese. 

Lettera di Luigi Bobba, Presidente Terzjus, al Direttore de L’Avvenire del 9 dicembre 2020

Luigi BobbaLuigi Bobba: “Ets come partner di progetto dello Stato”, L’Avvenire, 9 dicembre 2020
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Luigi BOBBA: grato al Presidente Sergio MATTARELLA che ha insignito “Global Inclusion. Rinascere insieme 2020” della Medaglia del Presidente della Repubblica

Comunicato Stampa

Luigi BOBBA: grato al Presidente Sergio MATTARELLA che ha insignito “Global Inclusion. Rinascere insieme 2020” della Medaglia del Presidente della Repubblica

Il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha insignito la manifestazione “Global Inclusion. Rinascere insieme 2020” della Medaglia del Presidente della Repubblica alla vigilia della seconda edizione di quelli che sono stati definiti dalla stampa italiana gli “stati generali dell’inclusione”.

“Sono grato al Presidente Sergio Mattarella – dichiara Luigi Bobba, presidente del Comitato Global Inclusion Art.3 – per aver voluto assegnare la Medaglia del Presidente della Repubblica all’evento digitale “Global Inclusion. Rinascere insieme 2020” che si tiene venerdì 11 settembre. Come Presidente del Comitato, accolgo questo riconoscimento del Capo dello Stato come un forte incoraggiamento a proseguire nel cammino intrapreso”.

Infatti, proprio ispirandosi all’Art.3 della Costituzione, il Comitato Global Inclusion intende promuovere nelle imprese e nei luoghi del lavoro, la cultura e la pratica dell’inclusione come via maestra per “rimuovere tutti gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione economica, politica e sociale del Paese”.

“Per tale compito, ci sentiamo direttamente impegnati – conclude Bobba – e gli incontri, i dialoghi, le testimonianze e le buone pratiche che saranno presentate a Global Inclusion, rappresentano piccoli ma concreti passi per rinascere insieme”.

L’evento, che quest’anno si svolgerà in forma digitale [per iscriversi gratuitamente  compilare il seguente form: www.global-inclusion.org/scheda.php], vedrà tra i partecipanti Elena BONETTI, Ministra delle pari opportunità e della famiglia, Antonio MISIANI, Sottosegretario di Stato per l’economia e le finanze, Matteo Maria ZUPPI, Cardinale e Arcivescovo metropolita di Bologna, Stefano ZAMAGNI, Presidente Pontificia Accademia Scienze Sociali, Nando PAGNONCELLI, presidente IPSOS.

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